Che io possa avere
la forza di cambiare le cose che posso cambiare,
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.
Questa frase di Epitteto racchiude nella sua semplicità il dilemma che mi tormenta da sempre. Come si fa a distinguere ciò che può essere cambiato da ciò che non si può far altro che accettare?
Non mi piace come sta andando il mondo, non mi piace la cosiddetta "riforma del lavoro" che abbatte gli ultimi sparuti diritti per i pochi che ce li hanno, ma serve andare a Roma sabato? Si può cambiare questa che io reputo una deriva? O forse è il progresso ed io non lo capire? Non so rispondere.
Dall'episodio dei 101 vivo in una sorta di quarantena autotutelante e più che altro vivo del passato. Cerco di stare lontano dalle notizie perché tanto so che non mi piaceranno e non ci potrò fare un bel nulla. Vivo con lo sguardo rivolto al passato. Per questo non andrò alla manifestazione di sabato a Roma (alla quale pure auguro ogni successo) e, con tutti i dovuti distinguo del caso, mi viene da associarvi gli scioperi dei primi di marzo 1943.
Dall’1 all’8 marzo 1943 i Comitati segreti di agitazione del triangolo industriale
Genova-Torino-Milano organizzarono lo sciopero generale che doveva coinvolgere tutti i lavoratori dell'Italia occupata dai nazisti. Il sostegno di tutti i partiti del
C.L.N. fu unanime e il Partito comunista clandestino vi profuse uno
straordinario impegno organizzativo. Le fabbriche furono bloccate,
tecnici e impiegati scesero in sciopero al fianco degli operai. Le
rivendicazioni erano di natura politica e fu considerato il più grande sciopero generale dell'Europa occupata dai nazisti.
Eppure sulla riuscita dello sciopero leggevo in questi giorni un giudizio piuttosto pessimista dal diario della Marchesa Origo, proprietaria terriera nel senese e antifascista, del 6 marzo del 1943:
"Lo sciopero, che avebbe dovuto interessare tutti gli operai del territorio occupato dai tedeschi, è cominciato il 1° marzo. Secondo Radio Roma, vi hanno partecipato duecentocinquantamila lavoratori (di cui centoventimila a Milano, trentamila a Torino e dodicimila a Firenze); secondo Radio Londra, un numero cinque volte maggiore. Quello che è certo, è che non vi è stata l'auspicata protesta universale e in molte città il numero degli scioperanti è stato tanto piccolo da permettere al governo d'infliggere severe punizioni contro chi ha avuto il coraggio di parteciparvi."
Infatti la repressione nazifascista fu durissima. 215 lavoratori vennero catturati in fabbrica e a casa,
211 vennero deportati nei lager nazisti, 163 vi morirono, 2 vennero
fucilati al Poligono di Cibeno (Carpi - Modena), 5 morirono dopo il loro
rientro per le conseguenze della deportazione.
Ben altro coraggio avevano avuto quei lavoratori rispetto ad alzarsi semplicemente alle quattro di mattina per andare a sentire la Camusso!
Eppure, forse quel sacrificio non fu vano perché fu da quell'esperienza che maturò l'unità delle maggiori forze politiche antifasciste e l'azione unitaria delle grandi masse operaie e popolari.
Altri tempi, lo so, altra situazione (per fortuna), ma comunque non dimentichiamo mai da dove siamo venuti.
Firenze, Piazza Duomo, 22 ottobre 2014 |