sabato 25 ottobre 2014

Serve protestare? I dubbi di oggi e quelli di ieri

Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare,
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.
Questa frase di Epitteto racchiude nella sua semplicità il dilemma che mi tormenta da sempre. Come si fa a distinguere ciò che può essere cambiato da ciò che non si può far altro che accettare?
Non mi piace come sta andando il mondo, non mi piace la cosiddetta "riforma del lavoro" che abbatte gli ultimi sparuti diritti per i pochi che ce li hanno, ma serve andare a Roma sabato? Si può cambiare questa che io reputo una deriva? O forse è il progresso ed io non lo capire? Non so rispondere.
Dall'episodio dei 101 vivo in una sorta di quarantena autotutelante e più che altro vivo del passato. Cerco di stare lontano dalle notizie perché tanto so che non mi piaceranno e non ci potrò fare un bel nulla. Vivo con lo sguardo rivolto al passato. Per questo non andrò alla manifestazione di sabato a Roma (alla quale pure auguro ogni successo) e, con tutti i dovuti distinguo del caso, mi viene da associarvi gli scioperi dei primi di marzo 1943.
Dall’1 all’8 marzo 1943 i Comitati segreti di agitazione del triangolo industriale Genova-Torino-Milano organizzarono lo sciopero generale che doveva coinvolgere tutti i lavoratori dell'Italia occupata dai nazisti. Il sostegno di tutti i partiti del C.L.N. fu unanime e il Partito comunista clandestino vi profuse uno straordinario impegno organizzativo. Le fabbriche furono bloccate, tecnici e impiegati scesero in sciopero al fianco degli operai. Le rivendicazioni erano di natura politica e fu considerato il più grande sciopero generale dell'Europa occupata dai nazisti.
Eppure sulla riuscita dello sciopero leggevo in questi giorni un giudizio piuttosto pessimista dal diario della Marchesa Origo, proprietaria terriera nel senese e antifascista, del 6 marzo del 1943:
"Lo sciopero, che avebbe dovuto interessare tutti gli operai del territorio occupato dai tedeschi, è cominciato il 1° marzo. Secondo Radio Roma, vi hanno partecipato duecentocinquantamila lavoratori (di cui centoventimila a Milano, trentamila a Torino e dodicimila a Firenze); secondo Radio Londra, un numero cinque volte maggiore. Quello che è certo, è che non vi è stata l'auspicata protesta universale e in molte città il numero degli scioperanti è stato tanto piccolo da permettere al governo d'infliggere severe punizioni contro chi ha avuto il coraggio di parteciparvi."
Infatti la repressione nazifascista fu durissima. 215 lavoratori vennero catturati in fabbrica e a casa, 211 vennero deportati nei lager nazisti, 163 vi morirono, 2 vennero fucilati al Poligono di Cibeno (Carpi - Modena), 5 morirono dopo il loro rientro per le conseguenze della deportazione. 


Ben altro coraggio avevano avuto quei lavoratori rispetto ad alzarsi semplicemente alle quattro di mattina per andare a sentire la Camusso!
Eppure, forse quel sacrificio non fu vano perché fu da quell'esperienza che maturò l'unità delle maggiori forze politiche antifasciste e l'azione unitaria delle grandi masse operaie e popolari.
Altri tempi, lo so, altra situazione (per fortuna), ma comunque non dimentichiamo mai da dove siamo venuti.

Firenze, Piazza Duomo, 22 ottobre 2014

mercoledì 22 ottobre 2014

Spazi di democrazia da difendere


Bazzicando la scuola pubblica come genitore ormai da sedici anni, mi ha sempre colpito la scarsa partecipazione alle elezioni dei rappresentanti dei genitori nel consiglio di classe (non parliamo poi di quelle per il consiglio di istituto). Se decente alle elementari, essa subisce un tracollo alle medie, per diventare sparuta alle superiori. 
Quest'anno, con la classe di mio figlio minore (quinta liceo) si è toccato il fondo: mio marito si è trovato solo, faccia a faccia con l'insegnante coordinatrice.
E' vero che questo tipo di riunioni sono alle cinque del pomeriggio e tanti non possono assentarsi dal lavoro a quell'ora.
E' vero che i ragazzi sono rimasti solo in dodici (a causa della fuga generale dovuta "al troppo studio richiesto").
E' vero che l'avviso della riunione è passato durante l'autogestione e in classe vi erano pochissimi alunni.
Quindi l'assenza di molti è dovuta alla mancanza di informazione più che al disinteresse. Eppure... eppure non riesco a non vedere un segnale pericoloso in questa parabola. Prima di tutto si può leggere come un messaggio di disinteresse per il lavoro degli insegnanti. Non tanto nei confronti del proprio figlio o della propria figlia, perché i colloqui individuali sono sempre affollatissimi, anche in orari lavorativi.
Probabilmente riflette quanto sta diventando individualista la nostra società. Mi preoccupo di mio figlio o di mia figlia, mi vado a raccomandare con l'insegnante perché abbia un occhio di riguardo, però dei problemi della classe come "comunità" me ne frego.
E' vero che quest'anno sono quasi tutti maggiorenni ma, anzi, questo mi farebbe rinunciare piuttosto ai colloqui individuali perché ho fiducia sappia gestire da solo lo studio (come dovrà fare all'università), mentre di ciò che succede nella scuola pubblica italiana vorrei almeno essere informata.
Il fatto di avere dei rappresentanti dei genitori (ed anche degli studenti) in consiglio di classe (e poi anche in consiglio di istituto) non è una prerogativa scontata, ma uno spazio di democrazia partecipativa conquistato negli anni Settanta e della cui importanza ci accorgeremo quando non ci sarà più.

"Al fine di realizzare […] la partecipazione della gestione della scuola dando ad essa il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica, sono istituiti, a livello di circolo, di istituto, distrettuale, provinciale e nazionale, gli organi collegiali."(articolo 1 del D.P.R. 416/1975)

domenica 19 ottobre 2014

La forza della vita che prorompe dove non ti aspetti

In questo periodo nel quale la morte fa sentire il suo alito, mi conforta stupirmi ancora della forza di questa pianta di cui ho parlato in altri post. Innumerevoli le volte che l'ho vista rinascere dalle sue varie membra. Stavolta non pensavo proprio che riuscisse a 


ributtare nel mezzo di un tronco ormai molto adulto



o persino da due tronchetti abbandonati sul cemento e destinati al camino.

lunedì 13 ottobre 2014

Ciao, Giulio.


L'avevamo intuito che eri stanco di vivere.
In ogni caso, ci mancherai tanto.


domenica 12 ottobre 2014

Come d'autunno sugli alberi le foglie

Un periodo strano dell'anno, questo. Giornate tiepide colme di luce dorata, bella ma dall'inquietante sapore di qualcosa che volge al termine: l'estate, che io adoro tanto, il sole, il caldo. 
Si assapora ogni attimo perché potrebbe essere l'ultimo prima del freddo, umido, grigio inverno.
Come nella vita. 
Esattamente come scriveva Ungaretti.


lunedì 6 ottobre 2014

Viaggio della memoria al confine orientale

Partiamo da qui. Il 28 luglio 1914 l'Impero Austroungarico dichiarò guerra alla Serbia dando inizio a quella carneficina chiamata anche Grande Guerra. In quei giorni migliaia di giovani Triestini furono chiamati ad arruolarsi per andare a combattere con la divisa austriaca in Galizia. Non deve sorprendere quindi che per Trieste la memoria di lutti e di sofferenze legata alla Prima Guerra Mondiale sia "dall'altra parte" rispetto alla nostra, non per questo meno dolorosa.


Ecco una delle cose che ho imparato nello scorso finesettimana partecipando ad un "viaggio della memoria" su quello che era "il confine orientale" (o per dirla in asburgico: "il litorale") organizzato dall'Istituto Storico della Resistenza di Reggio Emilia.


Nella splendida luce che solo ottobre sa dare, abbiamo visitato Gorizia (quanto sangue è costata questa cittadina ormai un tutt'uno con la sua corrispondente slovena, Nova Gorica!), il sacrario di Redipuglia, che pur essendo una monumentale opera fascista riesce a rendere l'idea della dimensione del massacro, le trincee e le doline carsiche, la mostra "Trieste 1914" di cui sopra, i monumenti ai cinque fucilati dai fascisti al poligono di tiro e quello ai settantuno ostaggi a Opicina.


Tutto molto interessante, ma soprattutto mi ha colpito come questa zona abbia da sempre vissuto i complessi problemi e i conflitti di una terra di confine: il bilinguismo, le identità contrapposte, le dominazioni succedutesi, le strumentalizzazioni, la sovrapposizione della toponomastica, ecc. Non è solo una questione di identità nazionale (che oggi si spera superata con l'Europa) ma, per lunghi anni, qui passava anche la cortina di ferro. Nel mio piccolo, ricordo infatti negli anni Settanta il passaggio in treno verso Spalato con un'inquietante perquisizione accuratissima da parte della polizia ferroviaria yugoslava.
Dove la storia si fa più complessa, come ci ha detto l'eccezionale presidene dell'ANPI triestina, Stanka Hrovatic, è ancora più importante capire e ricordare.


Qui altre immagini del viaggio