mercoledì 31 dicembre 2008

Gesti che accendono la speranza

Nel 2007 ho finito l'anno con l'anno con questo post che raccontava una storia di quelle che fanno sperare. Così vorrei finire anche quest'anno con un post di buone notizie, o comunque di storie che accendono la speranza.
Fa sperare il gesto del Vescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, che ha creato un fondo di 1 milione di euro per aiutare la famiglie di chi perde il lavoro in questo periodo di crisi. I soldi necessari sono stati reperiti dall'otto per mille, dalle offerte, da alcuni tagli nelle spese della diocesi e anche, pare, da risparmi personali. E' un gesto che non cambia nulla rispetto alle ingiustizie del liberismo economico e rispetto alla indulgenza della Chiesa Cattolica nei confronti dei ricchi, però è un segno concreto di sobrietà e solidarietà che mi fa capire quale dovrebbe essere il vero senso del Natale.
Infine oggi ho letto una storia di quelle che mi piacciono davvero tanto. Tiziana Concu, 43 anni, addetta in un supermercato di Cagliari, ha trovato una cassetta contenente 160.000 euro in contanti e assegni e l'ha consegnata ai carabinieri. La cosa più bella secondo me è la semplicità con cui la signora Concu ha spiegato il suo gesto: "Non erano soldi miei, qualcun altro li ha guadagnati e uno che perde tutti quei soldi può rischiare il posto di lavoro» Ed ha aggiunto: "La mia è una bella famiglia, mi basta e mi avanza."
In Italia ci sono anche persone così. Speriamo che il 2009 sia l'anno degli Italiani come la signora Concu.

mercoledì 24 dicembre 2008

Quelle sì che erano famiglie!

Palermo, inizio anni Cinquanta. La famiglia di mia madre (la quarta da sinistra) il giorno della prima comunione di due delle sue numerose sorelle. Una famigliona, quella di mia madre. Mio nonno faceva il sarto ed era orgogliosissimo delle sue sette figlie e del suo unico viziatissimo maschietto. Mia madre mi racconta di quando andavano al cinema e lui chiedeva contento alla cassa ben 10 biglietti.
Mia nonna ha passato tutta la vita in casa. Anche lei cuciva, oltre ad occuparsi di tutte le faccende e tutte le incombenze che le richiedevano i figli. Quale donna oggi pagherebbe questo prezzo? Non per nulla nessuna delle mie zie ha avuto più di due figli. Hanno tutte lo stesso sorriso le ragazze. Lo stesso sorriso che hanno ancora oggi.


Eccoli d'estate in Corso Tukory, dove vivevano. Deve essere una giornata particolare visto che sono tutti vestiti eleganti. Mia madre è la terza da sinistra, con il vestito a fantasia, i guanti bianchi e la collanina di perle. Mio zio con la cravatta e i capelli ben strigliati. Notate lo sguardo superbo di mio nonno. Simpatico anche lo sguardo scanzonato del ragazzino curioso sulla destra, mentre il passante sulla sinistra ha tutta l'aria del macho mediterraneo. Sullo sfondo a destra e anche a sinistra si intravvedo due auto dell'epoca. Certo direi che il traffico non era ancora un problema.
Mentre oggi...

lunedì 22 dicembre 2008

Sono io il Grinch



Avete presente il film "Il Grinch"? Ecco in questo periodo io mi sento tanto Il Grinch (quello della prima parte del film, prima che si rincoglionisca nel lieto fine).
Detesto il Natale. L'ho sempre detestato.
Da piccola mi piaceva molto l'attesa (fare l'albero e il presepe, sciropparmi per giorni il disco con le canzoni natalizie, ecc.). Poi però arrivava il gran giorno, stracarico di aspettative (più degli adulti che mie, devo dire) e io ero nervosissima. Mi sentivo al centro dell'attenzione e percepivo molta tensione in casa mia tra i miei genitori e la mia nonna.
Da adolescente trovavo di una noia mortale le feste in famiglia e avrei preferito essere a scuola con i miei compagni.
Il più bel Natale che ho passato è stato l'anno in cui eravamo soli io e quello che sarebbe diventato mio marito e, approfittando della bella giornata, abbiamo fatto una bella escursione su Monte Morello con il nostro panino, in barba alle tradizioni.
Unica pausa positiva sono stati gli anni in cui avevo i figli piccoli e mi divertivo a far scrivere loro le lettere a Babbo Natale e a preparare i pacchetti per loro.
La cosa che mi dà più noia in realtà è che, già da novembre, cominciano a fracassarci gli zebedei (per usare una tipica espressione di Anna-MissKappa) per indurci allo shopping. Si percepiscono già un mese prima gli ormoni del consumatore in circolo.
Sarò ancora più antipatica: non mi piace fare regali a comando e soprattutto non mi piace riceverli. Lo trovo un rito assurdo. Sono grata a Frida per avermi ricordato il significato storico del dono che credo però oggi si sia perso. E' così raro indovinare i gusti e i desideri del destinatario! Nella maggior parte dei casi, dopo esserci arrovellati il cervello per un po', si compra la prima cosa che capita e per di più facendosela incartare dal negozio così non si perde tempo. Ammiro molto quelli (spesso e volentieri "quelle") che sanno fare regali originali e di buon gusto. Io sono una vera schiappa. Me ne rendo conto. Quando scarto un regalo poi mi sono sempre sentita imbarazzata perché temo di non saper fingere se non mi piacerà.
Tra l'altro sento spesso persone che si lamentano di tutto questo ma nessuno ha il coraggio di rompere la tradizione.
Faccio una proposta: aboliamo il Natale, aboliamo questa farsa. Che sia solo una ricorrenza religiosa per chi è credente (e se lo fossi sarei ancora più arrabbiata per questa mercificazione del Natale).
Lo so che sono poco politically correct.
Ebbene, il Grinch sono io (prima della ceretta ;-) ).

domenica 21 dicembre 2008

Abbiamo bisogno di buoni esempi

Se come me siete stufi di notizie deprimenti, guardatevi la puntata di Le Storie-Diario Italiano del 1 dicembre scorso.
Ospite di Corrado Augias è il generale dei carabinieri in pensione Roberto Jucci, che dal 2003 è Commissario per l'Emergenza della valle del Sarno (500 kmq, 1 milione di abitanti) e, con una squadra di tecnici, la sta risanando dai veleni costruendo depuratori, collettori e reti fognarie soprattutto impiegando pochissime risorse a cominciare dal suo compenso: zero.
"Ho avuto molto dalla vita.", dice l'ottantatreenne generale, "Ho sistemato i figli. Ho una pensione dignitosa. Vorrei che quello che mi spetterebbe fosse dato ai figli dei carabinieri caduti."
Alla domanda sulle eventuali infiltrazioni camorristiche, il generale ha risposto, con tutta tranquillità, di aver passato il primo anno e mezzo a parlare con i giovani della zona ed aver instaurato un tale buon rapporto con la popolazione grazie al quale, tranne in pochissimi casi, non ha dovuto respingere le imprese che si proponevano.

Alla puntata ha partecipato anche il presidente di Legambiente Sicilia, Mimmo Fontana, che ha illustrato un altro buon esempio. Nell'agrigentino l'impianto di Siculiana smaltisce i rifiuti senza emissioni pericolose nell'ambiente, recupera il gas e fornisce energia a circa 2000 famiglie. L'impianto è gestito da Giuseppe Catanzaro, vicepresidente della Confindustria in Sicilia, che, manco a dirlo, si sottrae dal pagamento del pizzo.

Non so voi, ma io di queste notizie ho bisogno come il pane.

venerdì 19 dicembre 2008

Vohabolario Fiorentino

Ringrazio gli amici blogger che sono stati al gioco. Spero che lo abbiate trovato divertente come io ho trovato le vostre risposte. Mi sembra confermato che, dialetto o come lo si voglia chiamare, ci sono parole ed espressioni fiorentine che non sono comprese nel resto d'Italia. D'altra parte è anche vero che, sottoponendo il test ai miei figli, il risultato è stato disastroso e ciò forse fa riflettere. I ragazzi di oggi hanno un linguaggio omologato che sembra aver perso molto delle tradizioni locali. E' così anche da voi?
Ed ecco le soluzioni (le note tra parentesi sono mie):

BULLETTA: Chiodo. (evvai Julo!)

BOLOGNA: Mortadella (con sorpresa ho scoperto che si usa in tutta l'Italia tranne a Bologna).

CINCI: Pene.

DESINARE: Il pasto principale della giornata, di solito a mezzogiorno. “Dopo desinare”, Dopo pranzo.
(Questa la conoscono in diversi)

IMPIANTITO: Pavimento della casa. (Non solo di legno!)

INCIGNARE: Il primo taglio che si fa su qualcosa come una forma di formaggio, un prosciutto, un salame…
“Incigna i’ prosciutto”, Inizia il prosciutto.
(bravo Julo! Giam ci dice che esiste un analogo napoletano).

LAMPREDOTTO: È uno dei quattro stomaci dei bovini, quello più grossolano, che viene cotto a lungo (lessato) in acqua con pomodori, cipolla, prezzemolo, sedano, sale e pepe e altre spezie che non è dato sapere, segreto di ogni buon cuoco.
(Conosciuto da qualcuno di voi, anche assaggiato? E' buono, parola di vegetariana!)

MIDOLLA: Mollica del pane. (Pare assai sconosciuta)

SÌSTOLA: Tubo di gomma o di plastica che si usa per annaffiare.
(Anche questa sconosciuta anche se noi Fiorentini siamo convinti che sia italiano)

TAMBURLANO: Simbolo di oggetto ingombrante e antiestetico. Usato anche per “Mi hai fatto una testa come un tamburlano”, Mi hai rintronato con le chiacchiere o col frastuono.

TROMBAIO: Operaio addetto alla riparazione di tubature e condutture d’acqua nelle abitazioni. [da tromba nel significato antico di ‘pompa’]. Per estensione, idraulico in genere, fontaniere.
(Nonostante questo termine ispiri le più turpi congetture e faccia sbellicare dal ridere i miei figli, è abbastanza usato a Firenze e, a quanto ci racconta Dario, anche in Lombardia).

DA’ DI BARTA: Ribaltare, capovolgersi, anche perdere la testa. “A preso la ‘urva a tutto spiano e gl’ha da’o di barta”, A preso la curva molto velocemente e si è capovolto. “Ma te t’ha da’o di barta...”, Hai proprio perso la testa...
(Chissà perchè molti di voi hanno pensato ad un significato a luci rosse!)

DI BUZZO BONO: Di buona volontà, con impegno. (Questa pare sia nota)

FA’ A MICCINO: 1) Usare qualcosa con parsimonia, poco alla volta. “Fa’ a miccino ce n’è poco!”. 2) Essere avari nel comprare qualcosa, “T’ha’ fatto a miccino!”.
(Vi confesso che anch'io fino a poco tempo fa non conoscevo questa espressione. Carinissima l'ipotesi di Julo: fare le fusa)

TRA NINNOLI E NANNOLI: Tra una cosa e un’altra. “Perdersi tra ninnoli e nannoli”.
(Indovinata da Belphagor)

VOLECCI LE BINDE: Con grande sforzo e tempo. Da binda, argano [dal tedesco antico ‘winde’, argano].
(Fantastica l'ipotesi di Seneca52: "mi viene in mente "desiderare la Bindi (nel senso di Rosy) ma mi sembra impossibile!!!")

Queste definizioni sono tratte dal divertente "Vohabolario del Vernaholo Fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi" (edizione: Maggio 2008) che vi consiglio di scaricare e sfogliare (notare anche le illustrazioni).

Ed infine il premio (quello sì a luci rosse):

NÀCCHERO: Letteralmente: Piccolo uomo sciancato ma utilizzato quasi sempre per richiamare vivamente l’attenzione di qualcuno. “Oh nàcchero, ma chi tu credi di piglia’ pe’ i’ culo!”, Ehi te ma chi credi di prendere in giro!

BOLLORE: Quando fa molto caldo, “L’è un bollore oggi”, Oggi fa veramente molto caldo.


Il complemento oggetto.... ve lo lascio immaginare.

giovedì 18 dicembre 2008

Ma icchè tu mi dici?

Noi fiorentini abbiamo la fortuna (o la sfortuna) di non avere un dialetto, cioè una vera e propria lingua parallela all'italiano. Grazie all'illustre concittadino Alighieri, ci sentiamo un po' autorizzati a pensare che tutte le parole che usiamo fanno parte comunque della lingua italiana. Magari sono definite "toscanismi" sul Devoto-Oli, però sono italiane, ovvia!
Invece talvolta mi sono accorta, parlando con colleghi di altre città e anche da qualche commento ricevuto qui sul blog, che il significato di alcuni comuni termini o espressioni fiorentine non è affatto noto nel resto d'Italia. Questa cosa devo dire che mi diverte assai.
Così ho pensato di fare un giochino con voi amici blogger (gli amici toscani sono esclusi per ovvi motivi). Riporto qui alcune parole e alcune espressioni che per un fiorentino non hanno misteri (o almeno spero) e vi chiedo gentilmente di farmi sapere se ne conoscete il significato ma soprattutto se sono usate anche dalle vostre parti.
Pronti?

BULLETTA
BOLOGNA
CINCI
DESINARE
IMPIANTITO
INCIGNARE
LAMPREDOTTO
MIDOLLA
SÌSTOLA
TAMBURLANO
TROMBAIO
DA’ DI BARTA
DI BUZZO BONO
FA’ A MICCINO
TRA NINNOLI E NANNOLI
VOLECCI LE BINDE

Naturalmente in un prossimo post troverete la soluzione. Chi ci sta?
Ai più bravi in omaggio la traduzione della scritta della foto ;-)

martedì 16 dicembre 2008

Sei una bestia Viskovitz

Il sesso? Non sapevo neanche di averne uno. Figuratevi quando mi dissero che ne avevo due.
"Noi lumache, Visko", mi spiegarono i miei vecchi, "siamo ermafroditi insufficienti...".
"Che schifo!", strillai. "anche noi di famiglia?".
"Certamente, figliolo. Siamo in grado di svolgere sia la funzione maschile che quella femminile. Non c'è nulla di cui vergognarsi". Con la radula mi indicò dove si trovavano i due arnesi."


"Com'era papà?", chiesi a mia madre.
"Croccante, un po' salato, ricco di fibre".
"Prima di mangiartelo, voglio dire".
"Era un tipino insicuro, ansioso, nevrotico, un po' come tutti voi maschietti, Visko".


"Papà, voglio smettere di bere".
"Non dire sciocchezze, Visko, sei una spugna".
"Che significa? Che dovrei stare tutta la vita appeso a questo scoglio a filtrare e vorticare acqua, come un vegetale?".
"Tu sei un vegetale, Visko, o comunque uno zoofita. Che discorsi...".


Io, Viskovitz, ero un microbo.
"Non sono le misure che contano, Viskovitz", sentivo dire. "L'importante è esser se stessi".


Sono alcuni degli spassosi incipit tratti dai racconti del libro "Sei una bestia, Viskovitz" di Alessandro Boffa. In questo periodo sono troppo stanca per le solite letture impegnate e quindi mi sono concessa questa piccola raccolta che mi ha divertito moltissimo. Il protagonista è ogni volta un animale diverso ma si chiama sempre Viskovitz (Visko in famiglia), prova immancabilmente una passione difficile e sofferta per Ljuba, mentre gli amici/rivali si chiamano sempre Zucotic, Petrovic e Lopez. In realtà l'autore, dietro il puntuale gergo scientifico del biologo, cala in questi animali vizi e virtù umanissime.
"Una lumaca con due sessi, un pappagallo che parla d'amore, un ghiro che fa sogni erotici, un cane antidroga buddista, un microbo con un complesso d'inferiorità, un leone innamorato di una gazzella, un camaleonte alla ricerca di sé stesso, uno squalo, un verme, uno scarafaggio... Viskovitz è ognuna di queste bestie e molte altre ancora." Così recita la quarta di copertina.
Se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di leggerlo.

domenica 14 dicembre 2008

Angela esiste



Finesettimana a Collevecchio in Sabina ospite nel Convento di Sant'Andrea, ex convento di Cappuccini ristrutturato e gestito dall'associazione Progetto continenti.
Ospitalità ottima, persone squisite.

Angela esiste?


Per fortuna, esiste.
Grazie Angela!

giovedì 11 dicembre 2008

E tornare al disimpegno degli anni Ottanta?

Impressioni degli ultimi giorni in ordine sparso.
Ieri sera, dopo tanto tempo, ho visto il TG3: Berlusconi vuole cambiare la Costituzione (aridaje!), l'Italia è al quarantaquattresimo posto per le emissioni di CO2 seguita solo da Polonia e Cina, nel PD non hanno di meglio da fare che accoltellarsi tra correnti, quelli della sinistra sono ancora a guardarsi l'ombelico per decidere chi ce l'ha più bello, intanto la gente perde il lavoro, peggiorano i servizi ai cittadini, i giovani hanno poche speranze di un futuro migliore. Insomma ce ne sono di motivi per spararsi o per chiudersi in un eremo in montagna.
Domani c'è lo sciopero generale. Sarò ancora una volta in piazza. Sto preparando altri slogan da "indossare", anche per mio figlio quindicenne ed i suoi compagni. Gli farò scegliere tra un "Non rubatemi il futuro" e un "Quando la scuola è in vendita, ribellarsi è giusto".
Marco da Londra mi scrive: "A mio parere i cortei lasciano il tempo che trovano" Invece io ci credo, caro Marco. Può darsi che non servano. In ogni caso ho bisogno di sentirmi circondata da persone che condividono la mia preoccupazione, il mio sdegno, la mia rabbia. Mi sento meno sola. Come dice Marco-Lupo in un bellissimo sofferto post: "Esserci. Rioccupare gli spazi anche fisicamente, esprimendo il proprio dissenso in modo forte."
Oggi nel bar dove facevo colazione ho visto Daniela Lastri, una dei candidati alle primarie per il sindaco di Firenze. Una persona che stimo e che ho apprezzato per quello che ha fatto come assessore alla pubblica istruzione. Avrei voluto avvicinarla e dirle: "Mi raccomando a lei che è una persona perbene: basta liti, odi e colpi bassi tra di voi. Fate che la gente veda che il vostro interesse primario non è la poltrona bensì la città. E poi basta cemento! Voglio un sindaco come Renato Soru. Per favore, rinunciate ai soldi che potete spillare al privato se questo significa altri metri cubi di cemento." Avrei voluto dirle queste ed altre cose. Ma le primarie sono rimesse in discussione e verranno fatte per coalizione e non per partito. Meglio? Peggio? Non lo so. Staremo a vedere!
Il mio fegato riceve colpi tutti i giorni eppure non riesco a chiudermi nella mia torre dorata. Sì, perché lo ammetto: per fortuna e per il momento, non ho di che lamentarmi nella mia vita. L'altro giorno accompagnando in auto mio figlio dodicenne a lezione di musica, gli spiegavo che la coda che trovavamo era dovuta ai fessi che ancora si ostinano ad andare in centro a fare shopping natalizio con l'auto. "Alla faccia della crisi!", ho esclamato. "Perché? Siamo in crisi?" mi chiede lui. Meno male che almeno lui non se ne è accorto!
E allora perché rimetterci domani un'altra giornata di lavoro? Potrei chiudermi nel mio confortevole privato e passare il tempo a guardarmi l'ombelico, come facevo negli anni Ottanta. Già, gli anni ottanta, anni dell'edonismo reaganiano, della Milanodabere, della DC e del PSI. Anni anche di preoccupanti crack finanziari, come mi stanno ricordando le puntate di Crack. Storie di uomini, capitali e poteri (Alle otto della sera, Radio2): il Banco Ambrosiano, Calvi, Sindona, ecc. Ma io in quegli anni ero impegnata a capire me stessa, a risolvere i miei problemi sentimentali, a resistere alla mia capoufficio che mi faceva mobbing e mi informavo poco, non mi interessavo di politica, non mi importava nulla che non fosse la mia vita. Disimpegno puro. Chissà, forse stavo meglio.

lunedì 8 dicembre 2008

Trappole mentali

Lo sapevate che quando proviamo disgusto, anche morale, si attiva quella parte del nostro cervello che si chiama insula? Lo sapevate che da questo viene l'espressione "masticare amaro"? Lo sapevate che quando facciamo del bene proviamo piacere tanto che si attiva la stessa parte del nostro cervello che entra in gioco quando gustiamo un buon cibo o sniffiamo cocaina o facciamo sesso? Lo sapevate che esistono "trappole cognitive" che traggono in inganno la nostra razionalità in modo analogo a quello che fanno le illusioni ottiche?
Queste ed altre cose interessanti le ho imparate ascoltando l'intervento che ha tenuto Matteo Motterlini al Festival della mente: Intrappolamenti. Come il cervello prende le nostre decisioni e che vi consiglio caldamente di ascoltare o, ancor meglio, di vedere in video (sono entrambi scaricabili).
Secondo Motterlini, professore di Logica e Filosofia della Scienza, a tutti noi piacerebbe avere l'infallibile razionalità del dottor Spock di Star Trek mentre in realtà siamo più simili a Charlie Brown quando dice: "La mia testa è calda e stupida". Durante la lezione il relatore sottopone al pubblico diversi giochi per dimostrare l'illogicità di certe scelte comuni. Quello che ci mette veramente nei guai nella vita di tutti i giorni, dice Motterlini, non è quello che non sappiamo, per quale siamo prudenti, ci informiamo, chiediamo consigli, bensì quello che crediamo di sapere e che invece non sta affatto così. I nostri comportamenti irrazionali però non sono casuali, hanno un metodo che è stato studiato recentemente dagli scienziati cognitivi. E' stato scoperto che i nostri errori cognitivi sono persistenti, sistematici e generali (cioè sbagliano allo stesso modo sia i profani che gli esperti).
Uno dei vari giochi che propone il professor Motterlini è quello del pallone e delle scarpe da calcio che costano complessivamente 110 Euro. Se le sole scarpe costano 100 euro in più del pallone, quanto costa quest'ultimo? La maggior parte delle persone risponde subito istintivamente che il pallone costa 10 euro. Perché?
Il motivo è che nel nostro cervello ci sono due sistemi: il sistema 1, istintivo, veloce, costa poco sforzo, fa fare tante cose insieme e ci porta ad ingannarci, e il sistema 2 più accurato ma lento, pigro, richiede sforzo, concentrazione e quindi ci impedisce di fare più cose insieme, basato su regole apprese con fatica. Il nostro "pilota automatico" (il sistema 1) parte subito e ci fa rispondere che il pallone costa 10 euro e solo dopo aver attivato il sistema 2 ci correggiamo e capiamo che costa 5.
Motterlini propone poi altri giochi tratti da esperimenti dello psicologo israeliano Daniel Kahneman atti a dimostrare come, alla stessa questione, rispondiamo diversamente a seconda che ci venga posta secondo il rischio di vincita o secondo il rischio di perdita. Siamo molto più avversi al rischio quando si tratta di vincere e molto meno quando si tratta di perdere perché perdere fa molto più male di quanto piacere faccia vincere. Gli esperimenti sulle scimmie cappuccine dimostrano come l'avversione alla perdita sia più un fatto evolutivo che culturale.
Altri esperimenti citati studiano invece i comportamenti dal punto di vista del senso morale e utilizzano la risonanza magnetica per scoprire quali parti del cervello si attivano durante le nostre scelte. Potete averne un'idea dal Moral sense test Harvard di Marc Hauser
Il professore conclude affermando che non esiste il Dottor Spock e che nessuno, tranne chi avuto lesioni particolari in certe parti del cervello, può fare a meno di essere condizionato dalle emozioni nelle proprie scelte. L'importante è riconoscere onestamente i propri limiti ed accettare gli errori per conoscerli meglio.
L'amico Belphagor mi perdoni per l'invasione di campo.

Per chi preferisce la lettura: i libri di Matteo Motterlini.

sabato 6 dicembre 2008

Le chiavi di casa in tasca

I miei genitori, per nulla convinti della scuola media di quartiere, mi iscrissero ad una situata nel centro della città. Correva l'anno 1973, non avevo ancora undici anni e già imparai a prendere l'autobus per andare a scuola. Se penso a quanto era (ed è ancora) ansiosa mia madre mi meraviglio un po' di questa scelta. Quell'abbonamento in tasca però mi dava un gran senso di libertà. E non venite a dirmi che allora c'erano meno pericoli. Sull'autobus era abbastanza frequente essere palpata da uomini che, come ho capito solo da grande, si potevano definire tranquillamente "pedofili".
Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media mi sembra che sia vissuto oggi come un trauma più per i genitori che per i ragazzi. Fino alla quinta elementare la maggior parte dei bambini non fa neppure un chilometro da solo. Vengono "scortati" ovunque. Poi, trascorsa l'estate, si ritrovano alle medie, l'orario non copre tutto il tempo lavorativo dei genitori ed allora subentra la rivoluzione nell'organizzazione familiare. E' normale che questo passaggio a noi genitori faccia un bell'effetto ansiogeno ma perché non dare più fiducia ai ragazzi?
Davanti alle scuole medie noto tanti genitori che accompagnano in macchina i loro figli e me ne chiedo il motivo. Se abbiamo scelto di iscrivere il nostro bambino o la nostra bambina in una scuola fuori del nostro quartiere e non facilmente raggiungibile autonomamente, beh, allora ce la siamo andata a cercare. Se invece li accompagnamo in auto perché ci facciamo scrupoli a svegliarli la mattina quel quarto d'ora prima necessario per andare da soli, chiediamoci se davvero i ragazzi non preferirebbero andare da soli per sentirsi grandi e anche magari per incontrarsi lungo il tragitto con altri compagni e condividere tratti del percorso.
Vi sono poi genitori (soprattuto mamme, come una mia collega) che si incasinano la vita perché che non concepiscono che il figlio torni a casa senza trovare il pranzo pronto. Francamente non li capisco. I miei figli sembrano essere contenti di arrangiarsi da soli scaldandosi qualcosa con il forno a microonde senza la mamma tra le scatole. Chi accende Virgin Radio a tutto volume, chi si guarda i Simpson, chi invita il compagno a mangiare un panino con il kebab comprato alla rosticceria egiziana. Insomma una parte della giornata del tutto autogestita (a patto che ripuliscano tutto).
Certo che a noi genitori questo crea un attimo di smarrimento, ma posso assicurare che bastano pochi mesi per scoprire che il nostro bimbo o la nostra bimba non sono più tali.
Le chiavi di casa in tasca sono, a mio parere, sono il simbolo della libertà conquistata e della conseguente accresciuta autostima.

mercoledì 3 dicembre 2008

Che ne sarà della piana fiorentina?


L'inchiesta sullo sviluppo urbanistico di Castello e la conseguente bufera in casa PD sono arrivate alle cronache nazionali. In realtà la storia di questo progetto edilizio e le polemiche annesse sono note ai fiorentini da molto tempo. Non mi voglio di certo addentrare in esse ma semplicemente proporvi un reportage fotografico per darvi un'idea del luogo di cui stiamo parlando.
Come ho imparato all'ultima visita degli Amici dei Musei con l'archeologo Daniele Gregori, Firenze sorge in una piana che un milione di anni fa era coperta dal mare. Mentre il mare si ritirava, l'Arno, grazie alla sollevazione di alcuni monti, invece di scorrere verso il Lazio deviò il suo corso verso questa pianura che, all'epoca, era insalubre, acquitrinosa e inospitale. La popolazione del Neolitico con il tempo ne bonificò alcuni tratti e si trasferì dalle colline sempre più in basso costruendo dei villaggi.
La cosiddetta "area di Castello" in realtà si riferisce alla pianura che si estende alla periferia ovest di Firenze ed e' delimitata dalla ferrovia, dal Viale XI Agosto (data della liberazione dai nazifascisti), dalla pista dell'aeroporto di Peretola e dall'autostrada Firenze-Mare. Essendo circondata da territori già molto antropizzati (Peretola, Sesto Fiorentino, ecc.) questa zona non poteva non essere oggetto di appetiti urbanistici.
Passandoci tutti i giorni per recarmi al lavoro e per tornare a casa, mi sono affezionata a certi scorci di questa zona che richiamano un ambiente rurale che ormai non c'è più. Ecco perché ho pensato di fotografarlo prima che sparisca.
Tra la fine della pista dell'aeroporto di Peretola e la ferrovia ci sono due ruderi che molto probabilmente danno il nome alla Via delle Due Case:


Guardandoli bene da vicino però si capisce che non erano affatto due semplici case di contadini ma edifici di un certo pregio architettonico (balcone con ferro battuto, loggia, tracce di affreschi, ecc.).
Ho scoperto anche una piccola cappellina che dà il nome a Via della Cappella:


Tutti intorno campi, canneti, fossi dove si postano gli aironi e questi bellissimi alberi:



Ancora più vicino alla pista degli aerei c'è uno stagno dove un gruppo di cacciatori tiene dei germani da richiamo. L'ambiente intorno fa dimenticare la città vicina:


Se alziamo il nostro sguardo appena più in là non vediamo altro che gru ed edifici in costruzione, sia verso Firenze


sia verso Sesto Fiorentino.

Consiglio di dare un'occhiata anche alle altre immagini contenute in questo album.

Un giorno probabilmente tra Firenze e Pistoia non ci sarà più alcuna interruzione di territorio antropizzato e vi sarà un'unica grande metropoli.
E' proprio necessario questo cemento? Cosa sarà dell'aria e del clima di questa piana tra qualche anno?

domenica 30 novembre 2008

Gli oggetti che raccontano un'epoca

Oggi vi propongo un viaggio nel tempo che fu. Niente preistoria, siamo agli inizi degli anni Sessanta.

Qui avevo pochi mesi. Dall'abitino leggero di mia madre e dalla capote tirata giù si capisce che siamo in piena estate. Sono "alla guida" della Cinquecento di mio padre: la sua prima auto. Una grande conquista allora per un giovane avere un'auto. Forse i ragazzi di oggi la danno un po' troppo per scontato. Particolare piccante: noto che avevo già il neo sulla coscia sinistra.


Questa foto purtroppo è un po' sciupata ma l'ho voluta pubblicare per l'oggetto che vedete in primo piano: un giradischi con tanto di 45 giri. Siamo sempre nell'estate del 1963 ed io, seduta sul seggiolone ancora non mi dilettavo ad inserire i 45 giri nel mangiadischi come avrei fatto di lì a qualche anno.
A proposito di apparecchi elettrici ecco spuntare, in quest'altra foto, dietro le mie gambine nude una grossa radio a valvole, che faceva bella mostra sul mobile. Anche il vestitino di mia madre (sulla destra) ci rivela la moda di quel tempo (e anche la sua magrezza). Se penso che mia nonna Vanda (sulla sinistra) aveva l'età che io ho oggi!


Ci avviciniamo a Natale ed ecco i giocattoli di quarantacinque anni fa. Un automobilina di metallo (la plastica ancora non imperversava del tutto)e un paperotto di gomma tra le mani di mia nonna.

Sulla destra troneggia il primo e mitico frigo dei miei genitori, un possente e indistruttibile FIAT. Sul frigo si intravvede appena un vaso di ceramica regalato da mio nonno che viveva a Montelupo Fiorentino (zona di ceramisti) e che ho ancora (grazie a mia madre che non butta via nulla).

Ma ecco le vetrine natalizie della mia infanzia: molte palle di vetro per l'albero, qualche bambola e diverse macchinine. Niente Winx o Gormiti.
Di questa foto non so bene l'anno.
Presumo di avere circa tre anni e stringo la bambola preferita del momento. Si chiamava Roberta e, portento della tecnologia, cammina! Come sono orgogliosa di questo vestitino (insolito per me sempre sportiva) che mi fa sembrare più bambola di Roberta! Ma almeno così gli estranei una volta tanto non mi prendono per un bambino, io che ho sempre i capelli corti e i pantaloncini. Sono sulla terrazza della nostra casa (nostra si fa per dire in quanto siamo in affitto e solo dopo molti anni e molti sacrifici i miei riusciranno a comprarsi un appartamento). Siamo al settimo piano di un palazzo di periferia ed infatti la vista è costituita soprattutto da altri palazzi fine anni cinquanta inizio anni sessanta (anche se essa si estende fino al Cupolone ed alle colline).
Questa foto invece porta dietro l'annotazione della data: 1966 (chissà perché andava tanto di moda fare fotografie davanti allo specchio).

Sono nella camera dei miei genitori. Si nota l'arredamento delle camere da letto che dovevano durare tutta una vita. Armadio di legno lucido con un grande specchio e tappezzeria a fiori. Sapete cosa è l'oggetto misterioso sullo sfondo a sinistra? L'unico televisore di casa: a valvole, in bianco e nero, talmente prezioso che veniva coperto perché non prendesse polvere.


Ed infine eccomi un po' più grandicella (ma neanche tanto visti gli incisivi mancanti) con il mio vestito cucito dalla mamma. Sono sempre nella sua camera ma davanti al cassettone questa volta, su quale spicca un orologio carillon a forma di gondola veneziana. Mi ricordo che, mentre suonava, il gondoliere e la ballerina si muovevano a tempo.
Spero che questo viaggio nel tempo, in questa domenica grigia e piovosa, col giornale pieno di notizie deprimenti, abbia distratto e rilassato anche voi quanto me.

Grazie ad Unodicinque per l'idea.

venerdì 28 novembre 2008

La frustrazione di chi fannullone non è

In questo periodo sono particolarmente stanca. Avverto dei segnali allarmanti di mancanza di lucidità (tipo versare le lenticchie nel bicchiere anziché nel piatto). Spero sia semplicemente la stanchezza e la mancanza di un adeguato numero di ore di sonno, altrimenti c'è veramente da preoccuparsi.
Una delle cause della mia stanchezza (certamente non la sola) è che da qualche mese (direi dal rientro dalle ferie) mi ritrovo un carico di lavoro maggiore del normale: e' un continuo fare le corse per rispettare le scadenze, grane da risolvere, conflitti da mediare, complicazioni anche per le operazioni di routine. Un'emergenza dopo l'altra. Mi sembra di non riuscire mai a mettermi in pari. Per esempio ultimamente abbiamo fatto di tutto per far rientrare numerosi pagamenti entro una certa data passata la quale sarebbero slittati, per motivi fiscali, all'anno nuovo. Ho fatto le corse per portare questi pagamenti ieri alla banca presso la quale abbiamo la tesoreria, ma, arrivata lì, ho appreso che, non essendoci il funzionario addetto a queste operazioni, questi mandati di pagamento non ce li potevano prendere in considerazione. Ma la banca è privata o pubblica?
Io continuo a prendermela e ad arrabbiarmi, poi improvvisamente, come un flash, mi viene in mente il ministro Brunetta e la sua crociata contro i cosiddetti "fannulloni".
Eh no, caro ministro, non solo io, come tanti dipendenti pubblici, non mi sento fannullona ma mi offendo pure. Anzi, sono proprio stufa di questi luoghi comuni secondo i quali i dipendenti pubblici non fanno un tubo. Certo che ci sono i fannulloni nella pubblica amministrazione! Ma tutti sanno benissimo chi sono. I dirigenti lo sanno per primi, ma allargano le braccia. Preferiscono non affrontare il problema e caricare gli altri del loro lavoro. E gli altri? Bischeri? Onesti? Coglioni? O semplicemente gente a cui piace fare le cose con un minimo di amor proprio? Gente che non riesce a tenere le pratiche lì ferme per dedicarsi ai fatti propri perché sa che quella pratica ferma potrebbe mettere in difficoltà la ditta o il collega che aspettano quel rimborso o quel compenso?
E comunque che strumenti hanno i dirigenti per far lavorare i veri fannulloni? Oltre ad una bella ramanzina che possono fare?
Talvolta con la mia collega che, come me, è capufficio ci sfoghiamo. Ci sono nostre impiegate che non rispettano l'orario di lavoro. Niente di eclatante, per carità. Ci saranno casi ben peggiori. Ad esempio, dilatano la pausa pranzo (che sarebbe prevista di mezz'ora, leggasi MEZZ'ORA) per andare dal parrucchiere o andare a casa a preparare il pranzo alla figlia, ecc. Che fare? Fare una telefonata anonima ai carabinieri? Denunciarle alla magistratura?
Non ci siamo. Caro ministro, non è con i suoi spot che si rimedia ai mali dell'amministrazione pubblica.
I dipendenti pubblici non si dividono in fannulloni di sinistra iscritti alla CGIL da una parte e onesti lavoratori di destra dall'altra. Non è così. I lavoratori pubblici (ma anche privati a quanto di mi dicono amiche che lavorano in grandi aziende) si dividono in quelli che si prendono a cuore quello che fanno e quelli che se ne fregano. Stop. E' solo incoraggiando e incentivando i primi che si combatte i secondi. Non c'è verso: il senso del dovere, la capacita' di iniziativa o ce l'hai o non ce l'hai. Non c'è coercizione che tenga.
Scusatemi per questo sfogo. Era tanto che ce l'avevo sullo stomaco.


Civil servant, il mio primo post sull'argomento scritto in era ante-Brunetta.
Caro Brunetta, quanta miopia...
, un'interessante (anche se un po' lunga) e accorata lettera di un funzionario pubblico.

Nella foto: il luogo del mio sudore (si fa per dire)

mercoledì 26 novembre 2008

Essere madre e precaria oggi

La incontro spesso sull'autobus al ritorno dal lavoro. Con il suo zaino di tipo scolastico, la sua aria un po' a secchiona. E' una collega ricercatrice. Il suo contratto con l'ente scadrà a fine gennaio e dopo non si sa se sarà rinnovato oppure no. Non sappiamo nemmeno se ci saranno concorsi per assumere a tempo indeterminato. Il nostro presidente sta trattando con il ministro Brunetta e nessuno ad oggi può dare alcuna certezza.
Di solito parliamo del più e del meno. Lei e il marito hanno una casa vicino all'istituto ma non hanno a chi lasciare la bambina, che ha meno di un anno. Allora lei si è trasferita dai genitori che abitano a ottanta chilometri da Firenze. Tutte le mattine si alza alle cinque, prende l'auto fino alla stazione, poi il treno e poi il bus. Il pomeriggio al contrario. Infatti è sempre in ansia che il bus ritardi e le faccia perdere il treno. Il marito vede la figlia nel finesettimana.
L'altro giorno la vedo particolarmente nervosa e capisco che ha voglia di sfogarsi. Mi racconta che ha avuto una proposta di lavoro in una grande azienda ma sempre a tempo determinato per un anno e con un orario sicuramente meno favorevole per la sua situazione familiare. "D'altra parte", mi dice, "e se a gennaio rimango senza lavoro perché non mi possono rinnovare questo contratto? E poi in questo periodo non sono in grado di dare il meglio di me con la vita che faccio. Non sono neanche più tanto giovane. A trentacinque anni non posso contare su tante altre proposte di lavoro."
Salutandola pensavo alle mie maternità vissute con la massima tranquillità del posto garantito. Pensavo a chissà quanti casi come il suo ci saranno. Mi chiedevo come fanno i giovani a pensare di fare figli in situazioni così. Mi chiedevo perché bisogna sempre contare a tutti i costi sulla famiglia di origine per poter crearne una propria. Non è naturale. Non è giusto. E mi è salita una gran rabbia.

lunedì 24 novembre 2008

Il punto sull'antimafia

Sabato scorso sono andata al vertice sullo stato della legalità e della lotta alle mafie organizzato dalla Fondazione Antonino Caponnetto, vertice che si tiene ormai da undici anni a Campi Bisenzio. Vi erano, oltre alla vedova Caponnetto, quasi tutti i principali esponenti dell'antimafia, tutti sotto scorta.
Fuori uno schieramento di polizia, carabinieri, vigili urbani. Vicino al palco dei relatori una folla di guardie del corpo. La sala era gremita. Hanno parlato Beppe Lumia, Rosario Crocetta, Piero Grasso, Lorenzo Diana ("l'unico politico di cui Saviano parla bene", così è stato presentato), due imprenditori, Bruno Piazzese di Siracusa, a cui hanno bruciato il pub numerose volte, e Roberto Molinari di Lamezia Terme, che combatte da dieci anni contro il racket. Maria Grazia Fortugno ha detto che, nonostante si sia vicini alla sentenza di primo grado per i presunti assassini di suo marito, siamo molto lontani ad intaccare quella zona grigia di connivenze tra mafia e politica che sta dietro anche a questo assassinio.
Si è parlato di unificare le stazioni di appalto per individuare meglio le infiltrazioni mafiose, di rendere finalmente più veloce e più facile l'utilizzo dei beni confiscati ai mafiosi.
L'avvocato Luigi Li Gotti, senatore dell'Italia dei Valori ed ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi, ha detto una cosa allarmante: la richiesta bipartisan di inasprire il 41 bis, pur essendo un provvedimento sicuramente condivisibile, non è accompagnata da altrettanti segnali di sensibilità antimafia, tanto da far pensare ad una "mafia che fa antimafia" cioè ad un provvedimento ispirato dai mafiosi fuori per avere la meglio su quelli in carcere.
Federico Gelli, vicepresidente della Regione Toscana, ha ribadito che la mafia è un problema anche della nostra regione perché, per esempio, solo il 40% delle ditte che vincono gli appalti sono toscane e che ci sono fior di beni confiscati a mafiosi come la splendida villa di Suvignano, nelle Crete Senesi. Improvvisamente mi sono ricordata di esserci passata vicino a questa villa durante un trekking nella Val D'Orcia e mi sono ricordata di che posto fantastico si tratti. La villa e l'azienda agricola di Suvignano pare sia il più grande bene confiscato alla mafia del nord d'Italia ma, per difficoltà burocratiche, ancora non si riesce ad utilizzarlo.
Ma la cosa più bella della serata è stata la partecipazione dei ragazzi di alcune scuole del basso Lazio (Latina, Formia e Gaeta). Questi ragazzi avevano ospitato soci della Fondazione Caponnetto che fanno opera di sensibilizzazione sulla legalità e si erano fatti un discreto viaggio in pullman per portare, con le loro insegnanti, il loro entusiasmo. Li sentivo accanto a me parlare di questi temi, del libro Gomorra, ecc. Al solito la speranza va riposta nei giovani come loro.

venerdì 21 novembre 2008

Viaggio all'ecostazione

Una trasmissione carina su Controradio (emittente locale ma di cui potete ascoltare alcune cose in podcast) si intitola "Questioni di stili", sottotitolo "buone pratiche del vivere quotidiano". Dopo le divertenti puntate nelle quali le conduttrici, Sabrina Sganga e Camilla Lattanzi, hanno fatto irruzione in casa di alcuni personaggi fiorentini per bracare (per dirla alla fiorentina) sulla sostenibilità delle loro abitudini quotidiane, un paio di puntate sono state dedicate invece alle Ecostazioni, quella di Scandicci e quella di San Donnino, alla periferia di Firenze. Si tratta di luoghi dove il cittadino può "conferire" (guai a dire "buttar via") i rifiuti suddividendoli correttamente, grazie all'assistenza degli operatori, nelle varie tipologie riciclabili. Che vantaggio c'è per il cittadino? I rifiuti vengono pesati e al raggiungimento di un certo punteggio o viene fatto uno sconto sulla T.I.A. (è la soluzione migliore, secondo me) oppure gli viene dato un omaggio.
Siccome sono curiosa, ho voluto provare l'esperienza. Ho dato una sistemata alla mia cantina scoprendo un sacco di roba non utilizzata da tempo e destinata a non essere più usata. Ho caricato questi oggetti sulla macchina e un sabato mattina sono andata alla Ecostazione di San Donnino.
Il posto, al contrario di quello che dicevano le due conduttrici, è abbastanza desolato. Si trova accanto al vecchio inceneritore in disuso, tra capannoni industriali e autostrada. All'arrivo una operatrice del consorzio Quadrifoglio, dai modi simpatici e abbastanza spicci, mi ha invitato a suddividere il materiale per categorie sciogliendo alcuni dubbi che avevo. Ho messo la roba su tre carrelli, ho dato il mio nome e indirizzo e lei ha registrato il peso di questo materiale sul computer.
Tanto per avere un'idea ho conferito:
- un bel po' di fogli di carta modulo continuo che erano destinati ai miei figli quando ancora facevano disegni e scarabocchi; una serie di classificatori di cartone e alcuni scatoloni (il tutto in un grosso container per la carta);
- un sacchetto di indumenti inutilizzabili (quelli ancora usabili li porterò al mercatino dell'usato di Mani Tese di cui ho raccontato in un altro post) che ho introdotto in un cassonetto apposito della Caritas;
- un videoregistratore e un ferro da stiro rotti in un container dedicato ai RAEE;
- un cesto di vimini nel contenitore del legno;
- un paio di barattoli di vernici e due lampadine a basso consumo rotte nell'angolo dei rifiuti pericolosi (lo sapevate che le lampadine a basso consumo sono altamente inquinanti?);
- un portapacchi da bici, un portaasciugamani, una griglia e un tubo di scarico della caldaia nel container dei metalli;
- una piscina gonfiabile, dei palloni di gomma sgonfi e della gommapiuma in un contenitore detto "degli ingombranti" dove c'erano giocattoli ed altra roba che, a quanto ho capito, non è affatto riciclabile.
Nel frattempo sono arrivate diverse altre persone (l'operatrice si disperava per l'eccessivo afflusso dovuto al fatto che era sabato), alcune erano esperte e sapevano già cosa fare, altre come me avevano bisogno di aiuto.
Un'esperienza interessante per imparare a differenziare i rifiuti correttamente ed anche per avere un'idea di come funziona la raccolta. Certo non è comodo andarci tutte le settimane e per poche quantità ma di tanto in tanto, per esempio quando si fa un'operazione di ripulisti in casa, è senz'altro da tenere presente. Le ecostazioni o isole ecologiche sono presenti in molte altre parti d'Italia.

martedì 18 novembre 2008

Bagni di folla

Essere tra la folla. Sentire altri corpi vicini. Corpi di sconosciuti. La folla può rassicurare o può spaventare. Può dare fastidio ma può anche esaltare. Dipende dal nostro temperamento, più o meno solitario, dalle circostanze e anche un po' dall'età. Quando ero ragazza mi piacevano i bagni di folla, mi piaceva il rumore e mi mettevano tristezza i luoghi solitari. Adesso è quasi il contrario. Però ci sono delle eccezioni.
Stare in un luogo chiuso affollato mi dà ansia e senso di soffocamento. E' il caso di un bus strapieno oppure dei gremiti subway quest'estate a Londra. Dovevo scacciare il pensiero di trovarmi sotto terra con tutta quella gente che mi avrebbe impedito di scappare in caso di pericolo.
La folla di un mercato o di una strada sotto Natale non mi piace. Mi sento un'anonima consumatrice nell'indifferenza generale. Camminare scansando continuamente corpi mi fa sentire ubriaca e mi fa desiderare dopo poco la calma e il silenzio. Mi sale quasi subito un forte desiderio del silenzio di un bosco o di una cima. Questo tipo di insofferenza l'ho sviluppata con l'età.
Diverso è il caso di una folla con cui sento di condividere qualcosa.
Come nei cortei di protesta dove, tra l'altro, difficilmente ci sentiamo compressi fisicamente. Di solito si cammina un po' diradati per permettere di mostrare gli striscioni e i cartelli. Lì mi sento a mio agio. Mi riconosco come parte di un gruppo umano che condivide una passione. Non ci conosciamo ma ci scambiamo sorrisi, battute, ci fotografiamo a vicenda. E' bello anche scandire slogan tutti insieme o dar fiato al fischietto.
Ma il senso di condivisione che si prova nei concerti pop o allo stadio è unico. Sento di non avere più l'età per queste cose, ma talvolta mi lascio convincere ad accompagnare i miei figli. Al concerto di Jovanotti dove portai mio figlio piccolo nel 2005, mi lasciai trascinare dall'entusiasmo dei fan e ballai tutto il tempo. Recentemente invece mi è capitato di trovarmi nel bel mezzo della curva allo stadio, dove non c'è verso di stare seduti e dove se non canti vieni subito rimproverato. Confesso che non me ne importava un fico secco delle sorti della partita però è stato divertente farsi coinvolgere e cantare a squarciagola: "Finché vivrò, sosterrò la Fiorentina!" sulle note di Bandiera Gialla. Per una volta ho dimenticato tutti i detestabili aspetti del calcio (soldi e violenza) per lasciarmi andare in uno sfogo liberatorio.
Per una volta si può fare.

lunedì 17 novembre 2008

Auguri!


Sessant'anni insieme sono davvero un bel traguardo!

Ai miei suoceri i migliori auguri e un grazie per tutto l'affetto che mi hanno sempre dimostrato.

Artemisia

sabato 15 novembre 2008

Cronaca di una giornata di protesta


Sveglia alle quattro per essere in piazza Stazione alle cinque. Partiamo con il pullman che la città è ancora buia e deserta. Colazione presso l'autogrill dove incontriamo i colleghi che sono partiti da Firenze con altri pullman. Ci scaricano tutti davanti alla stazione della metropolitana a Rebibbia. Non riusciamo a prendere il primo treno ma subito arriva il secondo. Usciamo alla fermata del Circo Massimo e ci incamminiamo verso piazza Bocca della Verità dove è previsto il concentramento del corteo del sindacato. Gli studenti si stanno radunando in altri tre punti della città.
Il tempo sembra mite. Qualche nuvola ma nessun rischio di pioggia.
Piazza Bocca della Verità è piena di palloncini colorati della CGIL e di striscioni dei vari enti di ricerca e delle varie università. Aspettiamo più di un'ora prima di partire perché devono arrivare altre delegazioni (almeno così dice l'altoparlante).
Il nostro ente ha ben quattro striscioni di cui uno dei precari del Buconero che indossano tutti una maglietta bianca e distribuiscono questo simpatico badge:


Finalmente e lentamente si parte. Grande successo dello slogan che mi porto appeso al collo e che mi ha suggerito Cristiana. In molti mi chiedono di fotografarlo. Lungo il percorso è un continuo incontrare colleghi di altre città, spesso più lontane, e la prima domanda che sorge spontanea è: "Ma a che ora sei partito stamani?" Catania, Bari, Venezia, Trieste, Genova, Napoli. Una grande passione spinge questa gente a saltare la notte, a rimetterci la giornata di sciopero, a tornare tardi la sera. Per esserci. Per manifestare la propria preoccupazione e il proprio dissenso.

Arriviamo in Piazza Navona e cominciano i comizi dei sindacalisti e le testimonianze di alcuni precari. Ogni tanto l'altoparlante ci annuncia che il corteo degli studenti sta arrivando. Aspetta, aspetta, ma questi studenti non si vedono arrivare. Finiscono gli interventi.
Ci incamminiamo verso Torre Argentina ed eccoli là gli studenti: tanti, molti più di noi, belli, giovani, rumorosi. Corre voce che vogliano andare verso i palazzi del potere, ma il dispiegamento di poliziotti antisommossa che abbiamo visto a chiudere la strada che porta a Palazzo Madama ci preoccupa. State attenti ragazzi!
Una mia collega mi fa: "Non potevamo tornare a casa senza vederli. Sono la cosa più bella della giornata!"
Ha ragione. Non potevamo non vederli. Sono la nostra speranza, speranza che illumina il volto radioso e sorridente di Belphagor. Peccato che non mi sono potuta fermare che solo per un saluto (sarà per un'altra volta, Belphagor!).
Ritorniamo a Rebibbia, riprendiamo il pullman e ripartiamo.
A casa arriviamo verso le 20.30. L'unico TG ancora disponibile è quel cesso del TG2. Della manifestazione parlano due secondi quasi alla fine. Che vergogna!
Non importa quanti eravamo. Cinquecentomila, duecentomila, trentamila. Non è questo l'importante. L'importante è che l'Onda non si fermi.

P.S. La prima foto è tratta dal sito de L'Unità.
Le mie foto invece sono visibili in questo album.

giovedì 13 novembre 2008

Domani sono a Roma

Sono assai preoccupata della rottura dell'unità nel fronte sindacale. E' un film già visto nel 2002 quando CISL e UIL firmarono lo scellerato "Patto per l'Italia". La risposta fu la memorabile manifestazione del 23 marzo quella detta "dei tre milioni". Speriamo bene.


Tra i tanti articoli apparsi in questi giorni mi e' piaciuta per la sua chiarezza questa lettera apparsa su Aprile online.

Ragazzi vi stanno ingannando
I baroni hanno vinto ancora una volta. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che premia lo status quo e azzera ogni possibilità di svecchiamento dell'università. Una buona notizia per i dinosauri accademici, ma l'ennesimo schiaffo al movimento di protesta.

Insomma alla fine i baroni hanno vinto ancora una volta. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che sblocca i concorsi per 1800 tra professori, associati e ordinari, e 320 ricercatori.

Si è proprio così: un giovane assunto dall'esterno tra le migliaia di precari che lavorano negli atenei ogni 6 promozioni di docenti già in servizio. Anzi ogni 12. Si perché i concorsi per ordinari ed associati sono 1800 ma per ogni concorso oltre al vincitore c'è la possibilità di chiamare in servizio anche un idoneo, ovvero 3800 posti di ordinari e associati e solo 320 posti per decine di migliaia di giovani.

E' questo lo scambio che il governo ha proposto all'accademia. Il perpetuarsi di una piramide rovesciata: pochi giovani ricercatori di ruolo (tanto ci sono i precari da sfruttare), moltissimi associati ed ordinari con un'età media che si avvicina ai 60 anni. Tutto questo in cambio del silenzio su tutto il resto: riduzione dei fondi pubblici, privatizzazione degli atenei ecc.

Un imbroglio bello e buono. Un'operazione che premia lo status quo e azzera ogni possibilità di svecchiamento delle nostre università, di stabilizzazione, attraverso una selezione seria e meritocratica, dei giovani che in queste settimane si sono spesi generosamente in una lotta che oggi viene svillaneggiata dal governo e svenduta da larga parte dei loro docenti.

Sono ragionevolmente certo, infatti, che il decreto odierno sarà salutato con favore da larga parte del mondo accademico. Esso, infatti, premia non certo il merito e la spinta al rinnovamento ma le consorterie e le baronie, il corporativismo e la clientela.

Ragazzi vi stanno imbrogliando, stanno davvero uccidendo i vostri sogni. Fatevi sentire, potete ancora cambiare le cose con la vostra mobilitazione!

lunedì 10 novembre 2008

La fatica della coerenza

La coerenza è un tema molto sentito quando osserviamo gli altri, assai meno quando riguarda noi stessi. Spesso e volentieri infatti ad ognuno di noi piace sottolineare le ambiguità che vediamo mentre, nello stesso tempo, siamo i primi a peccare di incoerenza senza rendersene conto.
Quando io, per esempio, predico uno stile di vita rispettoso dell'ambiente, è probabile che sia apparsa come una perfettina impeccabile maestrina in questo campo. In realtà anch'io ho le mie belle ambiguità. Per esempio, sono la prima a criticare l'usa-e-getta perché incrementa inutilmente la produzione dei rifiuti, ma continuo ad usare fazzoletti e tovaglioli di carta perché, lo ammetto, mi fa fatica lavare (stirare poi non ne parliamo) quelli di stoffa. So benissimo che le merendine confezionate fanno male perché contengono grassi insalubri, ma la mia pigrizia mi impedisce di mettermi a confezionare con le mie manine sane torte per la merenda dei miei figli.
Delle nostre piccole quotidiane incoerenze parla un libro della psicologa Simona Argentieri che si intitola "Ambiguità" e di cui ho sentito la sua presentazione sia a Fahrenheit Radio 3
sia al Festival della mente (qui ne trovate una recensione su La Stampa).
L'Argentieri, facendo tesoro della sua esperienza clinica, ci illustra la diffusa forte tentazione di fare click in qualche nostro ideale e nello stesso tempo disattenderlo senza che questo ci procuri alcun tipo di disagio o di malessere. Spesso si proclama tranquillamente la propria indignazione e non è difficile individuare negli altri i meccanismi della malafede, salvo poi fare lo stesso in modo del tutto naturale.
Non si tratta di due aree una conscia e l'altra inconscia. Sono meccanismi che vivono entrambi nel conscio ma semplicemente non comunicano. Anche nella vita quotidiana se si prova a far confrontare qualcuno con il suo "funzionamento ambiguo", dice l'Argentieri, la risposta è paradigmatica "Sì, però..." formula magica per far coesistere le ambiguità. Secondo la psicologa si tratta di una creatività perversa che consente di mantenere l'autostima e un alto concetto di sé, avere degli ideali e disattenderli.
Come recita una vignetta di Altan:
"Nasciamo con un amore sconsiderato per la verità ma siamo pronti a liberarcene non appena ci sia d'impaccio."
Attenzione: qui non stiamo parlando di cinismo, precisa l'autrice. Il cinico è colui che fa come gli pare e lo sa (e fa l'esempio dei politici divorziati che difendono strenuamente l'integrità della famiglia). Nell'ambiguità di cui si parla l'inganno è fatto anche a noi stessi. Secondo l'Argentieri l'ambiguità ci dà dei vantaggi momentanei ma alla lunga è un cattivo affare.
Non ho capito bene in realtà cosa la psicologa proponga per superare la nostra ambiguità. Personalmente ritengo che non si possa pretendere da noi stessi di essere coerenti al 100% con i nostri principi. Però è vero che, come dice l'Argentieri, il primo grande passo sia quello di essere consapevoli del meccanismo. In fin dei conti, diciamolo, la coerenza è una gran fatica.