mercoledì 29 gennaio 2014

Fare qualcosa per la collettività

Tutte le volte che sento parlare Nicola Gratteri è come se la mia motivazione civica prendesse un ricostituente, come ho già scritto qui e qui. Di recente il magistrato è stato ospite sia a Pane Quotidiano (l'ottima trasmissione di RAI3 condotta da Concita De Gregorio), sia a Fahrenheit Radio 3, per presentare il suo ultimo libro Acqua santissima, sul rapporto tra criminalità organizzata e Chiesa.
Nelle interviste Gratteri parla di religiosi collusi e di altri che al contrario si oppongono con coraggio alle mafie, della proposta di legge messa a punto insieme ad un altro grande magistrato, Raffaele Cantone, per rendere più efficace la lotta contro le mafie, del ruolo delle donne di ndrangheta, della fiducia nel nuovo Papa e di altro.
Ma quello che mi colpisce di più è quando parla di se stesso, della sua vita sotto scorta ventiquattro ore al giorno da ventiquattro anni, della sua famiglia, della sua scelta di fare questo mestiere. Si avverte in lui l'orgoglio delle umili origini e la riconoscenza verso i genitori (famiglia numerosa, il padre aveva la quinta elementare e la madre solo la terza) che gli hanno permesso di studiare.
Alla consueta domanda dei ragazzi in studio "rifarebbe questa vita?", Nicola Gratteri non ha dubbi. "Decisi di diventare magistrato quando vidi i figli degli ndranghetisti dettar legge davanti alla scuola media. Mentre andavo a scuola, da ragazzino, ho visto per strada i morti ammazzati e ho pensato  che dovevo fare qualcosa da grande per cambiare quella situazione. Molti miei vecchi compagni di scuola o sono stati uccisi o sono diventati miei "clienti", cioè oggetto delle mie indagini. Mi è capitato di dover interrogare un mio ex compagno di scuola arrestato in possesso di 800 chili di cocaina davanti alle coste di Miami."
"Non esco quasi mai con i miei figli. Quest'anno non ho mai fatto un bagno in mare che pure dista solo otto chilometri da casa mia. Ma rifarei tutto. L'importante è credere in quello che si fa, nei valori che si riesce a trasmettere. Non avete idea di cosa vuol dire quando viene da voi un usurato, una vittima di estorsione che, piangendo, mette la sua vita nelle vostre mani. Ho avuto proposte di incarichi anche molto importanti a Roma, avrei potuto trasferirmi e fare il magistrato in posti tranquilli,  ma preferisco rimanere in Calabria. Mi sentirei un vigliacco a tirarmi indietro."
"Mentre parlo mi rendo perfettamente conto di dire delle cose che mi danneggiano, ma l'importante è continuare ad avere la libertà di poter dire quello che si pensa. Il mio è uno dei pochissimi lavori dove, se si vuole, si è veramente liberi. Esso permette di vedere concretamente la possibilità di tutelare la collettività."
"La convenienza non c'entra. Prima dei sacrifici viene l'anima della persona. Bisogna credere in quello che si fa."
Fare qualcosa per la collettività: principio quanto mai obsoleto in un paese sul quale, per dirla con lo storico Guido Crainz (altro mio punto di riferimento), grava, oltre al macigno del debito, anche il macigno etico. Un paese cioè che si è abituato, sin dagli anni Ottanta, a non essere responsabile, a vivere al di sopra delle proprie responsabilità.
Ecco quindi perché quelli come Nicola Gratteri mi fanno sentire meno sola e meno stupida quando mi preoccupo di fare meglio che posso, pur con i miei limiti e le mie involontarie incoerenze, il mio dovere di impiegata pubblica e di cittadina, regalando magari anche un po' di tempo e di energie in piccole gratuite attività di volontariato per la collettività.

domenica 26 gennaio 2014

Un tuffo nella Firenze industriale che fu

Nella bella fredda mattinata ho partecipato ad un giro guidato, organizzato dall'associazione Firenzeinbici, alla scoperta di ciò che è rimasto di alcuni siti industriali fiorentini. Non i più importanti, a dire il vero, ma solo quelli che si prestavano ad essere raggiunti in poco tempo e con percorso protetto per le bici (eravamo davvero un bel gruppo).
Prima tappa ciò che resta della fabbrica di concimi chimici Campolmi:
Sorta nel 1875 in una zona che era assolutamente di campagna e che poi fu, grazie ad essa, soprannominata la "Concimaia", la fabbrica ebbe la massima produzione dopo l'ampliamento degli anni Trenta ad opera di Galileo Campolmi. Fu chiusa nel 1969 quando la zona intorno cominciò a diventare residenziale e i suoi vapori non potevano essere tollerati dagli abitanti. Il complesso, che ha subito la mazzata finale con l'incendio del 1984, giace abbandonato ridotto quasi a rudere.

Ci siamo quindi diretti alla Manifattura Tabacchi, bel complesso degli anni Trenta, anch'esso in attesa di una riqualificazione:
La Manifattura fu teatro di episodi storici gloriosi di cui parlai in questo vecchio post. Oggi si discute di cosa fare di quest'area di sei ettari con 15 fabbricati pari ad un volume complessivo di 400.000 metri cubi. Difficile tenere lontano gli appetiti dei palazzinari.

La Manifattura Tabacchi era così importante che aveva dei binari che arrivavano direttamente nella sua area deviando dalla storica linea Leopolda, voluta dal Granduca Leopoldo II nel 1848, e che, proveniente da Livorno, terminava nella successiva tappa del nostro giro: la stazione Leopolda. Pare che per realizzare questa linea e relativa stazione il Granduca abbia chiesto consulenza niente meno che a George Stephenson. In realtà la stazione fu utilizzata pochi anni, soppiantata dalla più centrale Stazione Maria Antonia (l'attuale Santa Maria Novella) ove arrivavano i treni da Prato e da Lucca. Perlomeno la Leopolda fu subito utilizzata nel 1862 come spazio per la prima Esposizione Nazionale Italiana ed è ancora oggi utilizzata come grande contenitore per fiere ed eventi vari (alcuni ben noti nella cronaca politica).

Ultima tappa del giro l'elegante gasometro:

Esso ci ha riportato indietro a quando l'illuminazione cittadina era ad opera di lampade a gas. Nei pressi di questa struttura vi era infatti un porto fluviale al quale arrivava il carbone dalla cui combustione si otteneva il cosiddetto "gas di città" (di cui ho un vago ricordo di bambina nell'era pre-metano). Dentro la struttura metallica vi era una cisterna con un tetto che si alzava e si abbassava per mantenere costante la pressione del gas. Le caratteristiche cipolle poste a decorazione in alto dovrebbero suggerire delle fiamme stilizzate. 

Strutture interessanti e affascinanti ma purtroppo quasi tutte in stato di abbandono. Testimonianze di un tempo andato che ci raccontano che Firenze non è stata solo Rinascimento. 

mercoledì 22 gennaio 2014

Campanelli d'allarme

Saverio Ferrari, giornalista e redattore dell’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre, spiega in questo interessante video (che vi segnalo ancora una volta) come, dopo la svolta del 1995 che ha portato il MSI a trasformarsi in Alleanza Nazionale, un partito conservatore moderno ed europeo, le componenti estremiste migrarono in Fiamma Tricolore, con conseguente deriva verso l'acquisizione di simboli e di riferimenti storici provenienti più dal nazismo che dal fascismo (la croce celtica non è un simbolo italiano). Una deriva nazista che fu resa più esplicita, restringendo elettoralmente il movimento, ma rafforzandolo in una identità più inquietante. Caddero i freni inibitori che un partito come l'MSI poteva avere. Per esempio, il negazionismo non c'era nel MSI per ragioni di opportunità politica. Secondo Saverio Ferrari, formazioni come Forza Nuova e Casa Pound sono sono pericolose, non per il loro numero di seguaci, ma per il loro progetto: esse guardano agli anni 19-20 in Italia come a una situazione storica da ricreare e hanno presa sugli adolescenti proponendo dei riferimenti che, al di là delle idee, si presentano come rivoluzionari (Ezra Pound, Italo Balbo, Filippo Marinetti, ma anche Boby Sands, Rino Gaetano, Peppino Impastato, fino a Che Guervara). Queste formazioni non si presentano come "di destra" reazionari, ma come antagonisti, antiimperialisti, antiborghesi, rivoluzionari.
Nel suo intervento, Saverio Ferrari, accenna all'ascesa del movimento greco Alba Dorata sul quale ho sentito un'intervista a Fahrenheit Radio3 a Dimitri Deliolanes, giornalista professionista corrispondente della ERT (l'ex Radiotelevisione Pubblica Greca), autore di un saggio su tale fenomeno.
Ma cos'è davvero Alba Dorata? Cosa vogliono i suoi leader? Quali sono i loro rapporti con il regime dei colonnelli e quali le loro complicità con il centrodestra? Perché praticano riti segreti nel nome di divinità pagane e di Satana? E perché a noi Italiani dovrebbe interessare l'avanzata di questo partito greco nazionalista, xenofobo, antisemita e omofobo che è diventato in pochissimo tempo protagonista della vita politica greca e che si è attestato stabilmente come terza forza nazionale? Può rappresentare una minaccia per i valori fondanti dell'Europa?
Interrogativi inquietanti ai quali l'intervista risponde, compatibilmente con il poco tempo a disposizione. Merita ascoltarla perché si capisce come certi meccanismi siano universali: quando il popolo è in sofferenza è facile far leva sui bisogni (vedi distribuzione generi alimentari più ostentata che efficace), addossare tutte le colpe a nemici facili e a portata di mano (gli immigrati) e solleticare l'orgoglio nazionalista. Un copione facile che si può contrastare solo con l'attenta vigilanza sulle conquiste democratiche e con la cultura.
A differenza di altri partiti di estrema destra europei, Alba Dorata si rifa espressamente al partito nazista, traducendo pari pari dal tedesco al greco la teoria della razza ed anche gli scritti sul nazismo magico. Alba Dorata è un movimento mistico, iniziatico, satanista, esoterico (il nome si ispira alla società segreta occultistica inglese Golden Dawn), che coltiva il progetto segreto di "imporre il dominio degli Indoeuropei su tutte le altre razze".
In Grecia, prima della crisi, il flusso di manodopera a buon mercato costituito dai migranti (che facevano i lavori in nero che i Greci non volevano fare, vedi olimpiadi) conveniva a molti. Con la crisi e con la fallimentare gestione del processo migratorio, la convivenza si è esasperata.
La retorica primitiva di Alba Dorata ha fatto presa negli strati popolari più poveri, più a contatto con gli immigrati ("non possiamo dividere con gli stranieri i pochi posti che abbiamo negli ospedali,  nelle scuole, ecc." ). Il leader di AD, Nikolaos Michaloliakos, con altri suoi collaboratori, sono accusati della sparizione di una settantina di immigrati. Queste persone costituiscono un vero e proprio gruppo di gangster, un'associazione criminale di tipo mafioso (impongono il pizzo, hanno una struttura molto gerarchica, hanno rapporti con la criminalità organizzata per contrabbando di armi, tratta di donne, ecc.) ma che ora si vuole imporre anche il suo punto di vista politico.
La loro distribuzione di viveri e medicinali davanti alla stampa internazionale è un'astuta operazione propagandistica. In realtà si tratta di poche distribuzioni sbandierate contro un numero assai maggiore operato ogni giorno dagli enti ecclesiastici o dallo stato. Non è chiaro chi li finanzi. Ci sono forti sospetti che essi siano finanziati da armatori.
Non è meno inquietante cosa è stato fatto in parlamento, come, per esempio, la modifica dei libri di testo scolastici riguardo alla storia. In realtà per AD la gloriosa storia greca si riduce solo a Sparta!
AD ha capitalizzato una parte dello scontento contando sulla crisi totale di consenso dei partiti tradizionali, soprattutto dopo la speculazione in occasione delle Olimpiadi e la spartizione delle risorse pubbliche.
Il messaggio di AD ai Greci è chiaro: noi vi garantiamo che andremo verso una nuova guerra civile come nel 1946-49, che vinceremo i comunisti e che avremo un nuovo monopolio del potere politico per altri quarant'anni come avvenuto con il regime dei colonnelli.
In questo quadro non tranquillizza affatto che, dopo la chiusura della televisione pubblica, la ERT, ai Greci sia rimasta solo la televisione privata, sempre più populista, superficiale e gridata.
Dimitri Deliolanes spera nella "mobilitazione delle coscienze popolari: svegliarci, capire, vedere come stanno effettivamente le cose, vedere i pericoli, la violenza e non solo quella dei bastoni."
Svegliamoci per tempo anche noi.

sabato 18 gennaio 2014

Siamo tutti con Luciano

Quando ho fatto il campo antimafia nella piana tra Catania e Siracusa non ci hanno portato al quartiere Librino ma ce lo hanno semplicemente indicato dalla tangenziale. Peccato. Mi sarebbe piaciuto. Ho visto però diversi reportage su questo quartiere nato dal nulla in un'ex area rurale e che oggi pare conti 70.000 abitanti. Un quartiere abbandonato nelle mani della mafia.
Circa dieci giorni fa il giovane giornalista Luciano Bruno stava facendo delle foto al cosiddetto "palazzo di cemento", un edificio abbandonato al degrado, quando è stato aggredito e pestato da sei persone subendo anche minacce indirizzate ai suoi familiari.
Per capire cos'è il palazzo di cemento basta vedere questo video:



Luciano Bruno, nato e cresciuto a Librino, ha cercato in questi anni di raccontare il suo quartiere e soprattutto la vita dei giovani come lui.

giovedì 16 gennaio 2014

Ci sono mattini che...

Ci sono mattini in cui mi sveglio prima del necessario e non riesco a riaddormentarmi. Ci sono mattini in cui mi alzo col mal di schiena e il mal di collo perché ho dormito in qualche strana posizione senza accorgermene. Ci sono mattini in cui impreco per mettermi addosso tutti quei panni che l'inverno richiede, calze, maglia, gonna, giacca, sciarpa, giubbotto. Ci sono mattini in cui, visto che mi sono svegliata prima del solito, corro come un'ossessa per prendere il primo 59 della giornata e mi sento anche un po' stupida per questo.

In quei mattini però, arrivata finalmente alla mia meta, il cielo dell'alba mi regala colori che mi riconciliano con la giornata.


martedì 14 gennaio 2014

Diciotto anni


Non ti abbiamo mai chiamato "il piccolo", forse perché il tuo carattere fiero non ce lo ha mai suggerito. Eppure nell'immaginario mio e di tuo padre sei sempre stato classificato come "il figlio più piccolo" nonostante che tu ormai sia germogliato alto e forte con quel tuo bel fisico che ti ritrovi.
E così sei arrivato anche tu alla maggiore età. E così ci ritroviamo un altro uomo in casa, un adulto che nasconde dietro gli aculei che ogni tanto drizza, una sensibilità e una dolcezza così rare.
E' un piacere avere a che fare con te quando dimostri tutta la tua maturità con ragionamenti pieni di buon senso, mentre non è affatto facile quando ti incaponisci, anche se vi rivedo la mia testardaggine giovanile. Avrai tempo per smussarla, per trovare la tua strada e per capire che essere grandi vuol dire anche, qualche volta, accettare i consigli degli altri e tutto ciò ti permetterà anche di essere più in pace con te stesso.
Buon compleanno, "piccolo" mio!

mamma

lunedì 13 gennaio 2014

Nel tiepido gennaio tra cormorani e talee

Nuova tappa del corso all'oasi WWF. Abbiamo imparato le tradizionali legature con rami di salice ottenuti dai lunghi ributti che l'albero fa quando viene appositamente scapitozzato. Abbiamo riprodotto alcune piante per talea (rosa canina, salice, pioppo bianco, ligustro e alaterno). Si tratta di individuare i rami dell’anno prima, cioè non troppo vecchi e ormai legnosi, né troppo giovani e non abbastanza forti. Sono i rami che hanno la massima energia riproduttiva (basta vedere la quantità di gemme) e che in genere si sviluppano verso l’alto. Si tagliano a circa 30 cm dal tronco principale per lasciare alla pianta la possibilità comunque di sfruttare la forza che hanno. Poi si tagliano tronchetti di circa 30 cm con tagli appena sopra la gemma e si piantano in vasi con terra mista a sabbia facendoli affondare una decina di centimetri. Si innaffiano bene e si tengono ben umidi finché germogliano. 
Mentre lavoriamo con i vasi capita che spunti dalla terra un graziosissimo geco (dalla foto sembra un enorme mostruoso rettile ma era lungo sì e no 5-6 cm!).



Abbiamo seminato lungo il sentiero piccoli semi di Tamaro e Smilax (piante rampicanti) seppellendoli a poca profondità dopo aver loro tolto la buccia della bacca perché è ritardante.
Insomma anche in questo fine settimana abbiamo imparato delle belle cose ma soprattutto ci siamo goduti il tiepido clima del tutto fuori stagione, esattamente come questi cormorani e questo germano.


sabato 11 gennaio 2014

La tristezza della città del sesso

Se c'è una cosa che non mi è mai piaciuta quando si parla di protituzione, è il luogo comune del "mestiere più vecchio del mondo". E che significa? Anche quando ne parlano donne attente all'ottica di genere (tradotto significa femministe) c'è sempre qualcosa che mi stona perché insistono nel discutere di quella parte di prostitute (quante?) che per "libera" scelta (quanto libera, cioè senza alternative?) decidono di guadagnarsi la vita in questo modo. L'anno scorso, per esempio, la trasmissione Frequenze di Genere di Radio Città Fujiko (che seguo fedelmente) dedicò all'argomento diverse puntate
Ho letto sul tema anche un libro di un'antropologa: La grande beffa, sessualità delle donne e scambio sessuo-economico di Paola Tablet proprio per cercare di capire l'origine del bisogno delle donne di vendere prestazioni sessuali e degli uomini di comprarle. Ma il libro, con il suo taglio etnografico, non mi ha chiarito molto, tranne il fatto che fondamentalmente si tratta dell'unica risorsa a cui le donne, in stato di necessità per vari motivi, hanno avuto accesso.
La lettura del fenomeno che invece finalmente mi ha convinto è quella di un uomo: Leonardo Palmisano che ha scritto il libro  La città del sesso, presentato in questa puntata di Fahrenheit Radio 3. Il libro è soprattutto un'inchiesta con interviste a diversi protagonisti che hanno a che fare con la prostituzione (donne di strada, clienti, protettori, escort, ecc.).
Fondamentalmente la prostituzione continua ad esistere perché l'uomo non sa risolvere il proprio rapporto con la propria compagna. Dice Leonardo Palmisano: "Gli uomini intervistati dicono di cercare in queste ragazze quello che le loro mogli non danno ma probabilmente neanche vogliono chiederglielo. Evidentemente il rapporto costruito con la propria compagna non è paritario. E' ancora difficile in Italia parlare di sesso e comprendere come si è costruita la propria sessualità. Probabilmente si è costruita la propria sessualità su un immaginario che si è costruito in questi ultimi anni, non solo con la pornografia, ma anche con lo sdoganamento di immagini che alludono immediatamente alla nudità e alla procacità femminile. L'uomo non conosce come invece si è costruita la sessualità delle donne italiane. Un punto di incontro diventa allora quasi impossibile. Il punto di incontro c'è sul mercato laddove il rapporto paritario non c'è in quanto vi è una trasazione economica." 
E chi una compagna non ce l'ha? Mi ricordo mia madre che giustificava la necessità della prostituzione con le loro condizioni fisiche e di emarginazione di certi uomini che non potevano aspirare a trovarsi una compagna. Ma se questa necessità di sfogo fisico è davvero irrinunciabile, piuttosto che comprare il corpo di un'altra persona, ritengo più dignitoso ricorrere all'autoerotismo.
Palmisano spiega bene come il cosiddetto "mestiere più vecchio del mondo" si sia evoluto con le nuove tecnologie ed invita a dimenticare giornaletti e videocassette. Oggi i grandi portali  del porno forniscono al fruitore un oceano di opportunità gratuite. Queste è come se "educassero" al consumo del sesso in un certo modo. Il cliente accede al mercato sapendo di poter chiedere quello che ha visto: attraverso dei banner si entra nel circuito delle escort. 
Non dobbiamo dimenticare inoltre che una porzione sempre più ampia dei flussi migratori è immessa nel mercato della prostituzione, con condizioni di schiavitù indicibili e con grandi profitti della criminalità organizzata straniera ed autoctona. 
Una nuova "banalità del male", secondo Palmisano, un'ipocrisia che permette di non mettere in discussione la famiglia, garantendone così la durata a discapito della qualità del rapporto, piuttosto che provare a decostruire la propria sessualità. Ma al fondo, dice Leonardo Palmisano, c’è la paura di morire, di invecchiare, di perdere il proprio corpo per sempre e di consegnarlo così com’è alla morte.

lunedì 6 gennaio 2014

"Il bel cantuccio di Firenze"

Per noi che soggiorniamo in una delle sue tante piccole frazioni, Fivizzano è sempre stata meta dei momenti di nostalgia per la civiltà. Più fresca e più montana, più elegante e più rurale rispetto alla caotica e commerciale Aulla, questa cittadina della Lunigiana, situata lungo la statale del Cerreto, uno di quei capoluoghi di comune a rischio di soppressione o di accorpamento, in tempi di tagli alla spesa pubblica, è uno di quei luoghi che hanno il sapore di antichi fasti pur non avendo oggi niente di particolare da offrire. In effetti  quanto ad attrattive, Fivizzano non offre molto. Eppure in questo paesotto di qualche migliaia di abitanti si respira aria di storia. “Gode di un clima temperato e salubre e talché dicesi non esservi memoria che si siano stati mali epidemici” scrivevano del luogo. Forse grazie a questo vi sorgono belle case dal gusto un po' Liberty, risalenti alla fine dell'Ottocento o inizi del Novecento e ora dall'aspetto un po' abbandonato. Probabilmente il terremoto del 1920 scoraggiò i villeggianti. Terra sismica la Lunigiana, come ci hanno ricordato le scosse della scorsa estate.
Il periodo di massimo splendore per Fivizzano ebbe inizio dal 1477, quando passò dal dominio dei Malaspina (quelli che ospitarono Dante in esilio) a quello di Firenze, come Capitanato e poi come sede del Governatore della Lunigiana. Fu allora che si conquistò l'appellativo di "bel cantuccio di Firenze”. Pare che la bella Piazza Medicea con l'elegante fontana fosse lastricata nel Seicento con il denaro trattenuto dalla paga dei soldati che avevano ricevuto note di biasimo. Tagli alla spesa militare ante litteram?


Il Granduca Leopoldo II proclamò Fivizzano “città nobile”, ma Firenze non si può considerare vicina neppure oggi. Bisogna percorrere tratti di ben tre autostrade e farsi sulla statale una ventina di chilometri da Aulla per giungere a Fivizzano. Mi chiedo quindi come mai questa cittadina avesse questa dedizione verso la capitale del Granducato, testimoniata dai ricorrenti stemmi medicei e dal Marzocco (altro tradizionale simbolo fiorentino) che vigila dall'alto di una colonna di marmo in una appartata piazzetta.  

Anche i simboli degli antichi pellegrinaggi, il Tau e il bordone, il bastone con la punta di metallo ed il gancio per la zucca dell'acqua, che adornano l'acquasantiera dell'antica chiesa di Sant'Antonio, riportano ad un lontano passato difeso in qualche modo dal parroco che invita a non usare dentro il luogo di culto certi invadenti strumenti di modernità.

mercoledì 1 gennaio 2014

Capodanno a Punta Mesco

Una classica escursione da primo dell'anno per noi è quella da Monterosso a Levanto o viceversa passando dalla suggestiva Punta Mesco. Ricordo della splendide giornate in cui ci siamo goduti il tiepido sole durante la sosta al vecchio semaforo con la vista che spaziava dal promontorio di Porto Venere a quello di Portofino.



Quest'anno il cielo purtroppo era coperto e verso l'una è cominciato persino a piovere. Tuttavia l'atmosfera del sentiero era sempre suggestiva: la natura rigogliosa e varia delle Cinque Terre, il mare una tavola grigia, il cielo plumbeo con una bella striscia rossa all'orizzionte, verso la Corsica che si intravedeva illuminata dal sole.



Qui qualche altra foto