giovedì 25 aprile 2013

Se i Tau continuano, noi li seguiremo



"Un passo con le ali e poco importa che chi lo compie creda o non creda, sia fedele di una religione o no, il pellegrino è sempre un ricercatore, a volte non capìto anche dai più prossimi (ma è così importante essere capiti?) a volte ritenuto uno strano che si gioca le ferie facendosi venire male alle spalle e vesciche ai piedi e magari ignorando la ragione del proprio andare. Uno che si mette in gioco lontano dai luoghi conosciuti, in compagnia o da solo, sempre e comunque solitario nella ricerca. E allora avviene la scoperta, si scopre che la meta è più in là, che si nasconde oltre la meta geografica, ma diviene una nuova partenza."
Angela Maria Serracchioli, Con le ali ai piedi

E chi poteva tenerle ferme quelle due? Soprattutto se a loro si aggiunge un altro pellegrino.

martedì 23 aprile 2013

Resistere sentendosi anacronistici

Quest'anno, per motivi di cui parlerò in seguito, ho anticipato le celebrazioni del 25 aprile a domenica scorsa partecipando a una bella iniziativa dal titolo "I sentieri della libertà. Una passeggiata sulle pendici di Monte Morello" organizzata da vari circoli ARCI e altre associazioni. Erano previsti quattro luoghi di incontro diversi con varie tappe significative per gli eventi avvenuti durante la guerra di liberazione. In effetti il Monte Morello (la "montagna dei fiorentini") è stato teatro di vari eventi drammatici nel 1944, come ebbi occasione di scoprire preparando l'escursione dell'anno scorso e come ho raccontanto in questo post.
Io sono partita con il gruppo che si è ritrovato alla stazione di Montorsoli dove il 4 aprile 1944 vi fu una cruenta sparatoria tra un gruppo di partigiani, scesi da Monte Morello ed intenzionati a fermare un treno sul quale viaggiavano alcuni nazisti e alcuni repubblichini, e quest'ultimi diretti in Mugello. Rimasero uccisi come ricorda la lapide dalla quale siamo partiti: DINO CIOLLI (23 anni), MARIO LAZZERINI (22 anni) e CARLO CREMONINI (neppure 19 anni).
Tra coltivi in fiore e sentieri nel bosco siamo arrivati alla Pieve di Cercina, una bellissima antica pieve romanica collocata in uno scenario incantevole, per poi proseguire per il Cippo in ricordo dei Caduti di Radio Cora, situato poco oltre nel bosco. Qui il 12 giugno 1944 furono fucilati ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI, il Capitano dell'Areonautica ITALO PICCAGLI, i paracadutisti FERNANDO PANERAI, PIETRO GHERGO, DANTE ROMAGNOLI, FIORENZO FRANCO ed un ignoto partigiano cecoslovacco.
Il sentiero si è fatto poi in ripida salita mentre si aggiungevano sempre più persone, fino alla località Fonte dei Seppi ove vi erano gli altri gruppi ad attenderci. Tra gli abeti (frutto del rimboschimento postbellico) vi è un cippo che ricorda la battaglia della Fonte dei Seppi ove il 14 luglio 1944 persero la vita:
Biancalani Raffaello - "Macchi"
Braccesi Nello - "Biondo"
Bugamelli Pietro - "Gnagnero"
Ferrantini Pietro - "Stoppa"
Fiorelli Egizio - "Baffo"
Frigidi Corrado - "Corrado"
Landi Alfredo - "Medoro"
Lumini Roberto - "Tom"
Mazzoni Silvano - "Scorza"
Monselvi Osvaldo - "Baddo"
Poli Aristodemo - "Prato"
Sarti Emilio - "Stracchino"
Stefani Lando - "Agnellone"

Abbiamo potuto vedere i loro freschi sorrisi giovanili dalle belle foto che Stefano Fiorelli, figlio dell'unico sopravvissuto, aveva appeso tra gli alberi accanto al cippo, insieme a quelle che ci mostravano la grande folla ai loro funerali avvenuti tre mesi dopo, a Liberazione avvenuta. In una delle foto un giovane serio ed imbronciato indicato dalla didascalia col nome di battaglia Marco. E' stato lui il protagonista della giornata: Leandro Agresti che faceva parte della stessa brigata Fanciullacci e che si dovette occupare della prima provvisoria sepoltura di questi ragazzi. Alla fine del suo breve ma sentito intervento, quando ha mostrato il fazzoletto rosso che ancora conserva come unico sopravvissuto, mi sono guardata intorno e ho scorto nei partecipanti le inevitabili lacrime che io stessa non riuscivo a trattenere.
Qualche centinaia di persone in cerchio intorno a quel cippo a cantare Bella Ciao domenica scorsa. Persone facenti parte di quella minoranza (ecco una delle cose che ho capito in questi giorni) che vorrebbe un paese con più giustizia sociale e più aderente ai valori per i quali questi ragazzi sono morti e che sono gli stessi che quella minoranza illuminata dei Costituenti riuscì (comincio a pensare che sia stato quasi un miracolo) a lasciarci a protezione degli sbandamenti che come paese non ci siamo certo fatti mancare in questi settant'anni. Persone "obsolete e anacronistiche", come io mi sento in questi giorni cercando conforto nelle parole del nostro Presidente Nazionale, Carlo Smuraglia, nel sua ultima newsletter:
"Ho sentito, in giro, voci di delusione, di amarezza, di sconforto e di preoccupazione. Tutto comprensibile, ma noi dobbiamo reagire col nostro stile di sempre, non rassegnandoci e non disperando mai, anzi conservando rigorosamente la fiducia che per questo Paese maturerà l’ora del riscatto dalle tante difficoltà e dai mille problemi che oggi l’affliggono. Per averlo sperimentato, però, sappiamo beneche il riscatto non piove dal cielo e la “liberazione” bisogna – come si è fatto settant’anni fa - conquistarsela con coraggio ed impegno."

BUON 25 APRILE A TUTTI!




domenica 21 aprile 2013

Elezione del Presidente della Repubblica

Per citare Alchemilla ....

.... anch'io ho capito tante cose.

venerdì 19 aprile 2013

Seguendo il filo rosso: tra lotta alla corruzione e difesa della scuola pubblica

Carlo Alberto Brioschi, autore del libro "Il politico portatile. La questione morale da Aristotile ai Simpson", ha affermato a Le Storie:

"E' stato dimostrato che il tasso di istruzione di un paese è inversamente proporzionale al tasso di corruzione. Non è un caso che questo paese abbia un 65% di persone che non sono in grado di orientarsi con i mezzi di informazione contemporanea. E' l'istruzione il primo passo."
Sarebbe più che auspicabile una seria legge contro la corruzione ma, come scriveva il buon Leopardi già nel 1820:
"L'abuso e la disubbidienza alla legge, non può essere impedita da nessuna legge". (Zibaldone, 229)

Penso che non ci rendiamo conto fino in fondo di cosa ha significato il massacro che hanno fatto alla scuola pubblica in Italia. Probabilmente l'uomo della strada pensa che siano problemi solo di chi ha i figli in età scolare o semmai di quei fannulloni degli insegnanti. Mentre invece è un danno a tutta la nostra società, anzi, una "rapina" come la definisce Alessandro Robecchi in questo articolo su Micromega: "Soltanto la superficialità di pensare che i soldi pubblici, spesi per la comunità, non siano “soldi nostri” come quelli che abbiamo in banca ci fa digerire la rapina."
Seguendo il filo rosso, hanno fatto scalpore i risultati per il nostro Paese della Ricerca sul letteratismo e le abilità per la vita - Adult Literacy and Life Skills Survey (ALL). Per il test di "prose literacy" non si trattava di fare la parafrasi di Dante ma di rispondere a domande dirette estrapolando da un testo di uso quotidiano delle informazioni tipo: per quanti giorni al massimo è possibile assumere un certo farmaco leggendone il bugiardino, cosa accade a una pianta ornamentale se viene esposta a una temperatura minima di 14 gradi o meno leggendo un brevissimo articolo, come sistemare il sellino di una bicicletta leggendo il manuale di istruzioni.
I risultati sono deprimenti come riassume questo articolo su Repubblica e come si coglie visivamente da questi grafici (ciascun livello corrisponde alle domande di cui sopra):


 Ci vorranno anni per recuperare il divario, ma intanto si può fare qualcosa per difendere la scuola pubblica a Bologna.

 «L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone» 
don Lorenzo Milani

domenica 14 aprile 2013

Cosa pensano gli Americani

Chissà perché mi interessa tanto tutto quello che ha a che fare con gli Stati Uniti! Forse perché è una società che assomiglia per molti versi alla nostra, con uno stile di vita apparentemente simile, eppure sento che ci sono delle enormi differenze.
Me lo ha confermato l'intervista a Fahrenheit Radio 3 ad Francesco Antinucci, il quale ha scritto " Cosa pensano gli Americani. E perché sono così diversi da noi?
Il criterio di identità e di cittadinanza, per esempio. Il nostro è  un criterio etnico, un'identità culturale, legata alla lingua e alla discendenza. Se così fosse nessuno sarebbe cittadino degli Stati Uniti. Il loro criterio è invece la condivisione degli stessi valori, a partire dalla democrazia. Secondo Francesco Antinucci, per gli Americani la democrazia è una sorta di teocrazia laica, nel senso che assomiglia all'adesione ad un credo anche se laico, una religione civile.
Negli USA, negli ultimi 20 anni, il percorso fatto da 20 milioni di persone per diventare cittadini americani ha richiesto solo che fossero in regola con il pagamento delle tasse e non avessero commesso gravi reati. La conoscenza della lingua, per esempio, non è strettamente necessaria, in quanto la lingua non è l'elemento unificante. Serve solo per facilitare l'integrazione. 
Un'altra grande differenza con la società europea è l'allergia degli Americani per l'intervento statale (che noi Italiani invece tendiamo ad invocare continuamente) e la passione per il principio dell'autonomia, secondo il quale il cittadino deve farcela da solo e far riferimento solo alla sua comunità. La comunità di vicinanza che si autogestisce è una fissazione della società USA derivata dai tempi dei primi coloni. Per questo mentire, in questo tipo di cultura, è considerato gravissimo, perché significa tradire la comunità a cui si appartiene e che è basata sulla fiducia reciproca. 
Una cosa a cui tengono molto in USA pare sia la garanzia dell'uguaglianza delle opportunità in partenza. Famoso è il S.A.T. (Scholastical Aptitude Test) che tutti i ragazzi fanno per l'ammissione ai college. Non è un esame di profitto, ma dovrebbe servire a testare le attitudini. Lo strumento dovrebbe appurare le capacità di apprendimento al di là delle disuguaglianze di base dovute all'ambiente nel quale i ragazzi sono cresciuti. Il fatto che il test ci riesca o meno pare sia oggetto di discussione da almeno centocinquant'anni. 
Una delle cose che mi hanno colpito di più dell'intervista a Francesco Antinucci è stato apprendere la diffusa pratica dei ricchi Americani di fare donazioni soprattutto alle università presso le quali hanno studiato come 
Michael Bloomberg, sindaco di New York e uno degli uomini più ricchi del mondo, che ha donato alla Johns Hopkins University, dove ha studiato, un miliardo e cento milioni di dollari. L'abitudine alle donazioni alle Università, secondo Francesco Antinucci, non è dovuta al fatto che l'importo si può detrarre dalle tasse perché ciò è possibile anche in Europa ma qui nessuno lo fa.  Nessun Europeo donerà mai un miliardo né un milione all'università dove ha studiato. La spiegazione sta piuttosto in una sorta di senso di riconoscenza. Noi infatti chiamiamo questa operazione "donare" mentre gli Americani la chiamano "give back", restituire. Restituisco alla società che mi ha permesso di diventare quello che sono e senza la quale non avrei fatto tutti questi soldi. L'università ove si è studiato è considerata il trampolino del proprio successo. 
Quanto questo trampolino sia ancora ritenuto essenziale (ben più che in Italia, temo) lo dimostra anche un interessante articolo di Altreconomia dal quale si scopre che tanti studenti americani si stanno indebitando oltre ogni limite per poter studiare all'università, tanto che, con ben 900 miliardi di dollari di debito, gli studenti rischiano di essere la prossima causa di crisi economica in USA.
Probabilmente in USA il pezzo di carta ancora apre certe porte mentre in Italia purtroppo esso non basta. Ecco perché non ci si indebita per studiare ma neanche poi ci si sente in dovere di donare una volta arrivati.

Altri post su questo grande paese:

venerdì 12 aprile 2013

Ora tocca a noi

La Repubblica Italiana esiste da quasi sessantasette anni.  
Le donne sono più della metà delle popolazione.  
Abbiamo avuto undici Presidenti della Repubblica uomini
Ora tocca a una di noi.


Solo perché ha la passerina?
No. Anche solo per statistica.
E chi garantisce che farebbe qualcosa di diverso da un uomo?
Nessuno ma non è un motivo per non sperimentarlo.
Una qualsiasi purché donna?
No. Ci sono donne serie, competenti in materia e integerrime. Ci sono donne che rappresenterebbero benissimo in ambito internazionale il nostro Paese, gli Italiani e le Italiane. 
Ci sono. 
Pertanto è giunta l'ora. 

Non faccio nomi. Non perché non li abbia in mente ma perché sicuramente un secondo dopo partirebbero i distinguo, "sì ma lei proprio no" oppure "e chi diavolo è questa?" e così via (già sperimentata la reazione in casa mia).
Pertanto mi fermo al principio.

martedì 9 aprile 2013

Se la farfalla Michela parla alla nostra anima

"La logica è sempre stata la mia colonna vertebrale."
"L'anoressia è stata l'evento a partire dal quale tutta la mia filosofia si è strutturata."
"Se Hannah Arendt  ha cominciato a scrivere a partire dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e dall'esperienza del totalitarismo, le macerie del mio corpo sono state il punto di partenza del mio pensiero."
"La realtà tende a contrapporre la volontà onnipotente alla materialità del corpo che la volontà deve poter controllare."
"Come riuscire a spiegare quella sofferenza immensa senza fondo che non lascia trasparire nulla, che non ha nessuna spiegazione razionale? Come far capire agli altri che in quel magnifico tutto manca la cosa essenziale? Come far capire che, nonostante tutto quello che si ha, manca la semplice e banale evidenza che vivere è bello? Provate solo per qualche istante a pensare cosa vuol dire avere la sensazione di doversi sempre giustificare. In quei momenti non è la morte che fa paura, è la vita."

Quello che mi piace di Michela Marzano è la sua capacità di esprimere con chiarezza e rigore, obiettività e sincerità anche situazioni molto difficili da capire come quelle dell'anoressia di cui lei è stata affetta per anni. Anche il suo intervento al Festival della Mente, che seguì la pubblicazione del libro Volevo essere una farfalla, parte dalla sua esperienza personale per portarci ad uno dei più intimi conti in sospeso della nostra vita: quello di farci accettare e amare per quello che siamo.

"Quando si riceve l'etichetta di anoressica, la gente pensa che non si abbia fame ed invece si ha fame di tutto, senza fine. Questa fame è collegata ad un desiderio di niente. Non si desidera nulla ma si ha fame di tutto. E' un semplice sintomo che manifesta una sofferenza profonda, che rinvia ad un vuoto, a un non-amore, ad una mancanza di riconoscimento."
"Io controllo il cibo e, nell'illudermi di farlo, ho la sensazione di poter controllare tutto quello che è intorno a me, comprese le mie reazioni e l'atteggiamento degli altri. "
In una società contemporanea, nella quale si afferma che "basta volere per potere", credere di poter tutto controllare è un'illusione perché, psicologicamente, più si cerca di controllare e più quello che si cerca di controllare sfugge facendoci sentire incapaci.
Il corpo, dice la Marzano, rinvia come un boomerang tutto quello a cui lo abbiamo sottomesso, anche a distanza di anni. Il corpo ci rinfaccia e ci chiede il conto del nostro atteggiamento.
Il sogno di un'anoressica è quello dell'indipendenza definitiva e totale, "non ho bisogno di niente e di nessuno, tanto che posso anche non mangiare", mentre, più il tempo passa, più ci si rende conto che si ha bisogno di tutto e di tutti. Dietro il rifiuto del mondo, di fare come se non si avesse bisogno di niente, c'è la necessità di costruire un luogo che permetta di accettare la dipendenza che ci caratterizza tutti in quanto esseri umani. E' perché siamo iscritti nella nostra finitudine, della nostra condizione umana, che dipendiamo dal mondo, dal cibo ed emotivamente da tutti quelli che ci circondano, dallo sguardo di colui o colei che ci ama.
Ha ragione la filosofa quando dice che tutti noi cerchiamo nell'amore di ritrovare l'oggetto che si è perduto e soprattutto il riconoscimento di quello che siamo, della nostra profonda alterità e specificità. Non c'è perdita più radicale di constatare che colui/colei oggetto/soggetto del nostro amore  non ha avuto la capacità, per vari motivi, di riconoscerci per quello che siamo diversi dalle sue aspettative. Inevitabile lo sforzo di conformarsi alle attese per essere amati, per avere il riconoscimento. Ogni essere umano ha bisogno di essere riconosciuto per quello che è per porre le basi della fiducia in sé stessi.
Su come uscire dall'anoressia, Michela Marzano non ha ricette universali ma può solo raccontare la propria esperienza. Per lei sono stati essenziali i quindici anni di psicanalisi, per "recuperare il filo di un pensiero che si era incastrato." Un percordo doloroso perché ci vuole tanto coraggio per decidere che si vuole smettere di soffrire, che non è più nella sofferenza che si trova quello che vale la pena nella vita.
Ne valeva la pena? Secondo la Marzano no. Il dolore non ha mai senso. "Io sono quella che sono perché sono passata attraverso le tenebre. Oggi sono una persona capace di aprire gli occhi sugli altri, aprirmi agli altri, guardare e cercare di riparare le ingiustizie altrui. Per questo ho fatto dell'Etica la mia disciplina: far qualcosa per contrastare l'estrema dimensione della fragilità umana.
Sono piena di contraddizioni e di difetti ma oggi comincio ad accettarlo. Nella vita non si può fare altro che accettarsi e perdonarsi."

Parole che sembrano toccare la carne viva, dentro di lei ma anche dentro di noi. E chi non prova questa sensazione vuol dire che vi ha messo sopra una spessa scorza a difesa di quella che è la parte più fragile di ogni essere umano.
Personalmente, per fortuna, non ho sofferto quanto lei, ma mi ricordo bene quanto sia stato duro questo processo di autoaccettazione, che non posso nemmeno definire concluso considerata la bella dose di ansia, di senso di inadequatezza se non di colpa, con cui convivo più o meno pacificamente. Un'impresa non da poco.

giovedì 4 aprile 2013

Se il cittadino Dino Compagni va al governo della città

Dino Compagni, mercante fiorentino, vissuto tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, scrisse in un piccolo libro Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi dove raccontò cosa voleva dire fare politica nella Firenze dei Guelfi e dei Ghibellini.
Dino era un imprenditore, un uomo ricco, apparteneva alla corporazione di Por Santa Maria e si occupava di import-esport di panni. Per una certa fase della sua vita si trovò alla guida della città, cercando, a suo parere, di fare andare le cose diversamente, poi venne buttato fuori dalla politica e continuò a fare l'imprenditore.
Il bravo e simpatico storico Alessandro Barbero prende spunto dal libro di Dino Compagni per la lezione Come pensava un uomo del Medioevo? Il mercante al Festival della Mente di Sarzana.
Barbero descrive una società della Firenze medievale dove a comandare erano sempre le grandi famiglie nobili, proprietari terrieri e cavalieri che si scannavano tra di loro (un panorama un po' mafioso) e che imponevano i loro privilegi e le loro prevaricazioni al resto della città, anche ai mercanti e agli artigiani come Dino che lavoravano e pagavano le tasse.
A Dino Compagni, un uomo che si era fatto da solo come tanti popolani di Firenze, non importava nulla della contesa tra Guelfi e Ghibellini (che in realtà si trattava di rivalità incancrenite tra famiglie) e che chiamava "le maladette parti". Per lui, che voleva solo portare avanti pacificamente i suoi commerci,  la divisione della città in partiti era la causa di tutti i mali.
Fu così che a Firenze nacque l'esperimento del "governo di popolo", cioè della brava gente che pagava le tasse, con al vertice una giunta di sei priori nominati dalle corporazioni, che cambiavano ogni due mesi per evitare che prendessero troppo potere e cominciassero a fare i propri affari e tra i quali, per un periodo, fu nominato anche Dino Compagni. Fu un esperimento di democrazia allargata sin dove si poteva (non certo agli operai), che prevedeva innumerevoli assemblee nelle quali si discuteva tutto fino allo sfinimento e infinite commissioni che stavano in carica anche solo qualche mese come i sei priori.
Tuttavia, scriveva Dino, i nobili non erano contenti, erano sempre più prepotenti, non ubbidivano alle leggi e spesso erano anche appoggiati dai giudici. Dopo l'emanazione degli Ordinamenti di Giustizia (Giano della Bella), legge straordinaria che impedì ai nobili di avere incarichi di governo, i priori furono costretti a stare barricati nel palazzo della Badia con un corpo armato a proteggerli.
Tuttavia nel libro è descritto un quadro politico sconfortante che Compagni aveva cercato faticosamente e inutilmente di cambiare: dell'interesse pubblico non importava nessuno, tutti erano in politica per fare gli interessi propri e dei propri parenti e del proprio partito, vi era una "gara d'uffici", cioè ad accaparrarsi le poltrone, anche per soli due mesi, si compravano e si vendevano gli appalti, i processi, ecc.
"Ogni cosa decisa un giorno, viene disfatta il giorno dopo". "Il male per legge non si punisce. Come il malfattore ha amici e denaro da spendere, così è liberato dal maleficio fatto." Stare al governo voleva dire non aver problemi con la giustizia in quanto  i propri processi venivano insabbiati. A Firenze alla fine del Duecento il grande problema era la ripartizione del denaro pubblico e delle imposte. Ed invece coloro che erano al potere, scrisse Dino, "trovavano come meglio potessero rubare". Chi era al governo con i soldi pubblici faceva quello che voleva.
Quando arrivava qualcuno che diceva di voler fare pulizia, in realtà voleva solo buttar giù la fazione rivale e salire lui al potere. Una classe politica non in grado di fare l'interesse comune e di mettere fine alle ruberie. La politica di Firenze era in mano a capipartito arrabbiati che volevano solo occupare il potere. Dino si lamentava che, se ci fosse stata la concordia in città, Firenze sarebbe stata così ricca e fiorente.
La città sprofondò nel caos della contesa tra le due grandi fazioni dei guelfi bianchi e neri. Dino Compagni, nel suo libro scritto a distanza di anni, confessò di avere dei rimpianti: "Noi mercanti che eravamo al governo in quel momento siamo stati deboli, non abbiamo capito che non era più il tempo di mediare, di pacificare. Bisognava arrotare i ferri."
L'esperimento finì male. I capipartito potenti, d'accordo con i finanzieri e i mercanti più ricchi, ripresero il potere e per i bottegai e gli artigiani non ci fu più spazio di manovra. A Dino non rimase che sperare nella la giustizia di Dio, "che prima o poi arriva". Gli uomini di quel tempo avevano almeno questa speranza.

lunedì 1 aprile 2013

Se un borgo si vende l'anima

La storia di Coreno Ausonio, borgo al confine tra Lazio e Campania, è sicuramente emblematica di tutti quei casi in cui il far soldi facilmente senza uno sguardo lungimirante ha lasciato il vuoto alle generazioni successive.
La racconta a Fahrenheit Radio 3 Carlo Ruggero, giornalista e scrittore, che, insieme al fotografo Matteo Di Giovanni, ha scritto "Una pietra sul passato.
L'economia e la cultura di Coreno Ausonio era basata sul tentativo di coltivare quella terra piena di pietre. Leggenda vuole che uno scalpellino abruzzese, venuto per la ricostruzione di Monte Cassino, abbia scoperto che quelle pietre, sulle quali i vecchi contadini soffrivano e sudavano, erano in realtà una miniera d'oro: si trattava infatti di un marmo bellissimo e costosissimo.
Fu così che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale furono aperte le prime cave e in pochi anni la modernità ebbe un'accelerazione fortissima, stravolse la cultura, le tradizioni, il paesaggio sia fisico che umano; un fiume di denaro invase le strade di questo paese arroccato sui Monti Aurunci, trasformandolo per sempre. Negli anni Ottanta, momento di massima espansione, le cave arrivarono ad essere ben 54 e più di mille lavoratori, in un paese di 1700 abitanti, vivevano grazie all'attività estrattiva compreso l'indotto. Esse rappresentavano lo strumento di rivalsa sulla povertà millenaria in cui avevano vissuto i padri.
L'approccio al territorio e il modo di gestirlo fu però miope. Si cercava l'arricchimento facile e si scavava dove si trovava il materiale migliore senza preoccuparsi delle conseguenze sul territorio. Una gestione senza una visione di medio e lungo termine che consentisse un benessere più diffuso e di più lunga durata, realizzata abbandonando certi valori che erano alla base della vita contadina (il sacrificio, il lavoro, il rispetto per la terra, ecc.)
Negli anni Novanta arrivarono dalla Turchia e dal Brasile marmi molto simili ma più economici. Il paese rimase stupito di fronte alla crisi del proprio marmo che era considerato una ricchezza inesauribile. La cultura contadina, spazzata via nel giro di pochi decenni, non era stata sostituita da una cultura imprenditoriale capace di gettare le basi per uno sviluppo sostenibile sia dal punto di vista ambientale (oggi le colline di Coreno sono completamente mangiate dall'attività estrattiva) sia dal punto di vista culturale.
Così oggi le cave attive sono pochissime, è ripresa l'emigrazione e quella bellissima pietra deve essere polverizzata per produrre dentifrici e polveri per cosmetici. Frantumare tutto per le applicazioni industriali.

Come non andare con il pensiero allo scempio che stanno facendo delle splendide Alpi Apuane che stanno letteralmente sbriciolando e devastando (dimenticate, per favore, Michelangelo che si sceglie i blocchi di marmo) come mostra bene questo filmato.


Aut Out – la distruzione delle Alpi Apuane il più grande disastro ambientale d’Europa(cortometraggio di Alberto Grossi presentato al Trento Film Festival)