Due gatti (o gatte secondo la mia amica S.) della nidiata del vicino di qualche anno fa. Scorrazzano liberi tra una casa e l'altra di questo piccolo borgo. Il vicino è morto lo scorso inverno ma credo che qualcuno ogni tanto porti loro qualcosa da mangiare. In ogni caso cacciano uccellini, topolini e approfittano degli avanzi che ciascuno di noi gli rifila. Sono timorosi ma anche un po' sfrontati quando ci puntano speranzosi mentre siamo a tavola.
Non amo gli animali domestici e mi fanno una gran pena quelli (soprattutto i cani) che vivono completamente antropizzati, magari chiusi in appartamento aspettando con ansia che il padrone permetta loro di prendere aria e fare i propri bisogni. Quelli che amerebbero correre liberi mentre invece sono tenuti al guinzaglio, messi a tacere, rimpinzati e stra-coccolati ma al costo di rinunciare a tutto quello che la natura gli suggerirebbe, sesso e riproduzione compresi.
Questi due gatti invece, nella loro indipendenza, mi piacciono. Mi piace guardarli al tramonto, mentre si strofinano oziosi sulla mia terrazza.
Una sera però, verso l'imbrunire sentiamo una gran lite nel bosco, forse tra loro due o forse a causa di un altro (quella con le toppe rosse sul dorso) schizza verso la strada (probabilmente per scappare dal suo aggressore) e impatta violentemente contro un'auto (e dire che ne passano così poche qui!). Sbanda un po' e poi si accascia esanime davanti al cancello della casa di fronte.
Che tristezza! Anche se, tutto sommato, ha vissuto bene la sua breve ma libera esistenza. Mi chiedo però perché non ci venga altrettanto facile commuoverci per una delle tante formiche che ci avevano invaso la terrazza e che abbiamo dovuto sopprimere. Esistenza ancor più piccola e soprattutto ancor più trascurabile?
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