"Quand'ero fanciulla mio padre, contadino anarchico e analfabeta del
Mugello, mi portava la domenica mattina agli Uffizi e, davanti alle opere esposte, mi diceva: Questi sono sacri e sono tuoi."
E' da tempo ormai che Tommaso Montanari, storico dell'arte, si batte per affermare il principio che il patrimonio storico e artistico serve a produrre cultura e cittadinanza non a produrre denaro, che le due funzioni sono alternative e non complementari, che esso dovrebbe accessibile a tutti e gratuitamente, che è sbagliato e anticostituzionale metterlo a servizio delle logiche del mercato o chiamarlo "giacimento culturale" come se fosse petrolio.
La sua tesi, esposta nel libro "Le pietre e il popolo" presentato a Fahrenheit Radio 3, ha il fascino delle cose talmente sacrosante da sembrare irrealizzabili, praticamente una voce nel deserto.
Montanari contesta tutte le obiezioni consuete. "Non ci sono soldi": basterebbero 5 dei 130/150 miliardi l'anno in cui è stimata l'evasione fiscale in Italia per mantenere il patrimonio storico-artistico, che è di tutti, senza svenderlo e ricorda che nessuno dei gradi musei americani si sostiene da solo con i biglietti venduti. "Quello che non si paga non si rispetta": il rispetto scaturisce dall'educazione proprio come nell'episodio della signora del Mugello che egli riporta nella puntata e che, secondo me, da solo rende l'idea meglio di tante parole (da notare che all'epoca di cui parla la signora l'entrata agli Uffizi era appunto gratuita la domenica mattina).
Ed invece si continua a parlare dei monumenti e delle opere d'arte come potenziale tustistico ("la cultura fattura" lo slogan coniato dal Sole 24 ore), si continua con il fiorire di mostre che sono quasi sempre operazioni di cassetta, senza una ricerca monte e
senza preoccuparsi delle conoscenze a valle. Eventi dove quello che conta è la
bigliettazione, che rendono a chi le organizza tramite un patrimonio di
tutti, dalle quali se ne esce con le idee più
confuse di prima pensando che il patrimonio sia un lunapark dove non c'è
niente da capire. Senza contare il legame tra politica, istituzioni e interessi privati. Tommaso Montanari parla di un'involuzione neofeudale delle nostre città dove gli spazi comuni ridiventano privati.
Il punto vero è che non si studia abbastanza la storia dell'arte.
Roberto Longhi diceva che bisogna studiare la lingua figurativa sin da
bambini per avere coscienza non della propria arte ma della propria
nazione. Dante diceva che quella di Giotto e di Cimabue è un'altra
lingua, una lingua che o si impara e si parla, oppure finiamo, come è successo, con l'avere classi dirigenti
analfabete.
Montanari non risparmia neppure i suoi colleghi storici dell'arte che, secondo lui, sono autoreferenziali e venduti al mercato e al business delle grandi mostre, al servizio del lusso mentre dovrebbero essere al servizio dei cittadini. Starebbe invece proprio a loro far capire che i nostri monumenti non sono pietre, ma sono il nostro modo di costruire la nostra comunità nazionale e la nostra dignità di cittadini.
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