domenica 15 dicembre 2013

Tiggì tiggì

Non ho ricordanza dell'ultima volta in cui ho visto un telegiornale per intero, mentre l'ultima in cui ne ho vista una porzione penso che risalga ad agosto scorso in campagna, dove non ho la rete. Dal mio punto di vista è facile dedurre che ormai i telegiornali abbiano un'importanza relativa.
Tuttavia ci pensa Alberto Baldazzi, giornalista esperto dei mezzi e dei flussi di comunicazione, a smentire la mia sensazione con il suo Almanacco dei Tg 2012-2013. Un anno di vita italiana attraverso l'informazione di prima serata di cui parla a Fahrenheit Radio 3.
Alberto Baldazzi, secondo un'idea nata quattro anni fa all'interno di Articolo 21, ha monitorato quotidianamente le notizie dei TG (lavoro che egli non consiglia a nessuno tale è la depressione e la nevrosi che provoca). Risulta palese quanto sia deformante la lente della televisione italiana, ma anche quanto essa sia ancora la fonte principale con la quale l'opinione pubblica si forma. Quello che ho capito dai numeri che Baldazzi fornisce durante l'intervista è che sia ha un bel dire della rete, dei social network e compagnia bella: è stato rilevato che solo il 17% di ciò che viene fruito in rete ha attinenza con l'informazione. Il resto è legato all'ala dell'intrattenimento e del gioco. Un giocattolo per adulti con utilizzi abbastanza infantili. Pensandoci bene, ciò non mi meraviglia affatto.
Non parliamo poi dei giornali cartacei: le 3,5 ML di copie di tutti i quotidiani venduti sono paragonabili ad un TG dei meno seguiti all'ora di pranzo. Non c'è partita. E tra l'altro, i quotidiani vivono in parte consistente di riflesso rispetto alla TV se si pensa alle rassegne stampa o alla partecipazione dei commentatori alle trasmissioni.
Il TG di prima serata mantiene una sua dimensione quasi luturgica in molte case, che ricorda a molti di noi (a me per prima) quel momento di impatto con la realtà quando la famiglia era riunita intorno al desco la sera. Si parla di picchi di ascolto di 25 ML di cittadini italiani.
Riguardo alla qualità dell'informazione televisiva, cascano le braccia. E' vero che in tutto il mondo l'informazione deve fare i conti con una problematica mercantile (cioè con gli inserzionisti pubblicitari) ma ciò viene compensato dal fatto che, negli altri paesi, quella del giornalista viene considerata una professione liberale a cui viene chiesto conto riguardo a correttezza e indipendenza.
Da noi, non solo il giornalista raramente interpreta il suo lavoro in termini professionali, ma ciò si va ad aggiunge ad un conflitto di interesse vigente da anni e ad una governance del servizio pubblico che fa acqua da tutte le parti.
Tra l'altro, in Italia la TV, unico vero mezzo pervasivo di informazione, assolutamente determinante nella formazione della coscienza dei cittadini, mescola intrattenimento e informazione infarcendo i TG di gossip e di quello che chiamano infotainment, cerca di confondere le menti di chi la segue e, approfittando dell'ignoranza e della fretta dello spettatore medio, fa passare una realtà deformata. In TV c'è tutto e il suo contrario. Difficile pensare che ci sia qualcosa che sta fuori della TV.

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