Ricordo che mia madre era terrorizzata dall'invidia che percepiva da parte della nostra vicina di casa. Non capivo bene perché, ma detestava quando essa continuava a ripetere "Beata lei!" con tono lagnoso mentre mia madre raccontava di noi. In effetti, l'invidia è una brutta passione, anzi, "una passione triste" per citare il libro di Elena Pulcini, docente di Filosofia Sociale, intervistata a Fahrenheit.
Elena Pulcini sottolinea con chiarezza che l'invidia va distinta da sentimenti quali l'emulazione, che è riconoscimento dell'eccellenza dell'altro che però produce volontà di migliorarsi, lo spirito critico, cioè il prendere le distanze dall'esistente e proporre qualcosa di alternativo, e l'indignazione, cioè lo sdegno che proviamo di fronte ai successi immeritati dell'altro, sentimento che, definito già da Aristotele, scatta di fronte alle ingiustizie ed è la matrice delle lotte sociali.
L'invidia vera invece non è una passione costruttiva (invidiare viene da invidere: guardare di traverso), è un rodersi desiderando l'eliminazione dell'altro che possiede qualcosa che non abbiamo. E' infatti stata definita "il vizio senza piacere", in quanto non ha nemmeno quella gratificazione che bene o male altri vizi hanno.
Secondo Elena Pulcini in una società democratica, ove si affermano principi di uguaglianza, l'invidia esplode particolarmente ("Ma se siamo uguali perché lui/lei deve avere questo e io no?") soprattutto quando, come avvenuto in anni recenti nelle società occidentali, si è affermato il mito del successo consumistico, del "tutto e subito", delle gratificazioni immediate con una certa insofferenza per ciò che richiede impegno e fatica. Si assiste quindi ad un processo di imbarbarimento, ad un'identità sociale debole e priva di contenuti, che cerca la propria conferma in mete molto facili.
Nessuno può dirsi esente dall'invidia. Devo dire che in me sento molto più forte il senso dell'emulazione. Mi ritengo cioè una persona che tende alla competizione, non tanto come successo sociale, quanto come misura delle mie capacità, accettazione della sfida. In palestra, per esempio, sono una "garosa". Se non riesco bene quanto una compagna nel fare un esercizio mi impegno al massimo per migliorarmi ma non desidero che sia lei a sbagliare perché ciò non mi sarebbe di nessuna soddisfazione. Quindi non lo so se sono davvero invidiosa. In effetti trovo davvero triste rodersi sperando nell'infelicità altrui. Preferisco godermi quello che ho senza stare tanto a guardare quello che hanno gli altri.
L'invidia, a differenza dell'emulazione, è sterile e distruttiva.
RispondiEliminaL’invidia è la religione dei mediocri. Li consola, risponde alle inquietudini che li divorano e, in ultima istanza, imputridisce le loro anime e consente di giustificare la loro grettezza e la loro avidità fino a credere che siano virtù e che le porte del cielo si spalancheranno solo per gli infelici come loro, che attraversano la vita senza lasciare altra traccia se non i loro sleali tentativi di sminuire gli altri e di escludere, e se possibile distruggere, chi, per il semplice fatto di esistere e di essere ciò che è, mette in risalto la loro povertà di spirito, di mente e di fegato. Fortunato colui al quale latrano i cretini, perché la sua anima non apparterrà mai a loro.
Carlos Ruiz Zafòn
Buongiorno, cara, è molta bella questa riflessione: la trovo profonda e veritiera. Il libro che citi non l'ho letto e mi sembra molto interessante, quindi un grazie per averlo segnalato.
RispondiEliminaL'invidia... so che esiste come sentimento, ma non credo che possa ritorcersi su di un altro. Mi fanno pena coloro che si rodono e perdono il tempo ad osservare l'altro, forse dipende dalle esperienze infantili, magari dovevano essere in competizione e non riuscivano ad eguagliarli, oppure erano degli sfaticati che amavano l'ozio, sono tanti i presupposti. Chi osserva per migliorarsi, come fai tu, è molto positivo, lo sperimento io con la scrittura: leggo e rileggo, cerco di memorizzare espressioni degli autori che ritengo validi.
Buon tutto, cara e buona pausa estiva.
un bacione
annamaria
Io lo ammetto.
RispondiEliminaEro un invidioso fuori da qualsiasi classificazione.
Non emulatore, non indignato: invidioso.
Invidiavo i miei compagni che erano bravi a fare sport quando io ero imbranato con qualsiasi aggeggio di forma sferica; invidiavo i miei compagni che facevano musica e io mi vergognavo a dire ai miei che avrei voluto imparare a suonare; invidiavo mia cugina quando veniva portata da mio nonno in palma di mano.
Perché tutto questo? Perché la mia autostima era pari al romanzo d'esordio di Bret Easton Ellis: meno di zero.
Credo sia questa la ragione per cui non sopporto gli atleti che vincono tutto, e godo quando l'eterno secondo riesce a battere il campione.
Però, ecco, è molto più gratificante una vittoria sul campo quando entrambi sono al pieno della forma, che una vittoria per uno stupido errore dell'avversario.
Così come io sono stato assai più felice a battere la secchiona della classe sul filo di lana piuttosto che il giorno in cui lei prese un votaccio :-)
Concordo con quello che dice l'autrice. L'invidia è una "passione" da cui grazie al cielo da molto tempo sono guarita.
RispondiEliminaCiao
Giulia
Nemmeno io ho letto il libro, Annamaria, ma più che altro mi interessa l'argomento.
RispondiEliminaIo credo che un po' di invidia la proviamo tutti e il primo passo per superarla è proprio quello di ammetterlo come ha fatto Marco. Poi probabilmente si supera con l'età acquistando un po' di autostima, conoscendo i propri limiti ma anche le proprie capacità. Quando arrivi a pensare "chissenefrega se gli altri sanno fare quello che io non so fare" è una grande liberazione.