S. si alzò quella mattina di Ottobre, una delle prime mattinate fredde dell'inverno che stava arrivando, e guardò fuori dalla finestra. Niente di speciale: una mattina come tante. Si preparò pensando alle varie cose che doveva fare prima di recarsi in ufficio....
Comincia così un appunto che ho ritrovato in questi giorni mettendo ordine tra i file del computer. Si tratta di una memoria dove racconto un episodio della mia vita lavorativa che risale ai primi anni novanta. Non avevo neanche trent'anni e già lavoravo da diverso tempo per l'ente pubblico di ricerca di cui sono ancora dipendente. Nell'episodio la mia capoufficio di allora, dal carattere instabile e vessatorio, mi rimprovera per un errore che invece io dimostro non esserci.
E., la capoufficio, era una donna sulla cinquantina che aveva fatto una brillante carriera all'interno dell'Istituto grazie alle sue doti di versatilità (non aveva infatti alcuna preparazione di contabilità essendo diplomata "Maestra elementare") e grazie anche a un buon tempismo.
[...]
Negli ultimi tempi E. aveva ceduto un po' in lucidità e prontezza, forse per l'età particolare che attraversava o forse per il suo modo troppo "appassionato" di vivere il lavoro.
E., la capoufficio, era una donna sulla cinquantina che aveva fatto una brillante carriera all'interno dell'Istituto grazie alle sue doti di versatilità (non aveva infatti alcuna preparazione di contabilità essendo diplomata "Maestra elementare") e grazie anche a un buon tempismo.
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Negli ultimi tempi E. aveva ceduto un po' in lucidità e prontezza, forse per l'età particolare che attraversava o forse per il suo modo troppo "appassionato" di vivere il lavoro.
Rileggendo oggi, cinquantaseienne, questo passo sono saltata sulla sedia. Non escludo assolutamente di aver ceduto anch'io "in lucidità e prontezza", anzi, ne ho prova tutti i giorni, ahimè, ma mi ha fatto riflettere il mio giudizio di neanche trentenne sull'anziana collega.
La grande differenza tra oggi ed allora è che la mia capoufficio aveva diverse giovani colleghe da vessare, ma anche alle quali passare il testimone, mentre io, che oggi svolgo il suo lavoro, non ho nessuno. Le mie colleghe sono tutte mie coetanee o forse anche un po' più anziane e il nostro mantra è calcolare quanto dobbiamo ancora lavorare prima della sospirata pensione.
Mio figlio mi rassicura che sono ancora utile alla società ed al mio ente e mi dice che quindi è giusto che lavori ancora. Tuttavia credo che sarebbe sacrosanto avere al mio fianco qualche collega più giovane, più fresco e anche volenteroso di apprendere la contabilità degli enti pubblici. Invece, a causa del blocco pluriennale delle assunzioni negli enti pubblici, dopo noi "ragazze degli anni Ottanta" c'è il deserto. E' vero che negli anni ottanta probabilmente si è esagerato nelle assunzioni, ma adesso si rischia di chiudere. E se anche si apre la possibilità di assumere qualcuno, lo si può fare solo a tempo determinato e senza poter promettere un futuro ai possibili interessati (che quindi scarseggiano).
Sono sicura che se avessi una giovane e promettente amministrativa al mio fianco le troverei tanti difetti per potermi dire che "brava come me non ce n'è". E' umano e comprensibile. Eppure vorrei averla e vorrei anche che mi stupisse.
Come io feci con la mia vecchia capoufficio in quell'episodio di tanti anni fa.
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