sabato 12 novembre 2011

L'uomo non può sopportare una vita priva di senso

La psicologia analitica di Carl Gustav Jung mi è sempre rimasta un po' oscura. Mentre della psicanalisi freudiana ho letto qualche libro che mi ha appassionato soprattutto in gioventù, il pensiero di Jung l'ho trovato sempre un po' fumoso, poco scientifico e più sconfinante nella filosofia. In una conferenza sull'argomento di Luigi Zoja al Festival della Mente ho sentito citare una famosa intervista rilasciata dall'anziano psicologo a John Freedman nel 1959 e pubblicata in quattro parti su YouTube. A me è piaciuta molto perché rivela una personalità molto umana e anche ironica.



Cresciuto in campagna, il padre pastore, tollerante e democratico, la madre amata di giorno ma "temuta di notte", Jung racconta nell'intervista come è maturata la sua scelta degli studi. Gli piaceva l'archeologia ma ci volevano molti soldi e la sua famiglia era povera. Così optò per la medicina, che pure non lo entusiasmava, perché ci intravedeva più possibilità e perché almeno gli avrebbe permesso di studiare scienze naturali che era la sua seconda passione. Il giovane Jung aveva un fisico piuttosto possente ed un carattere abbastanza irascibile, tanto che doveva stare attento a non perdere il controllo e farsi trascinare in risse.
Dopo la laurea, la rivelazione per la psichiatria che allora, dice Jung, era considerata "nothing at all". "Ma io ci avevo visto la possibilità di conciliare certe contraddizioni che erano in me. Il cuore mi batteva forte. Era come se ad un tratto due correnti si congiungessero."
Si passa all'incontro con Freud, all'ammirazione per lui anche se: "Mi accorsi presto che quando pensava una cosa per lui era conclusiva, mentre io ero sempre pieno di dubbi su tutto."
I due grandi si analizzavano a vicenda raccontandosi reciprocamente i propri sogni. Tuttavia Jung non condivideva alcune idee di Freud in particolare il suo approccio personale e la sua noncuranza per le condizioni storiche dell'uomo. "Noi dipendiamo largamente dalla storia."
Di qui sviluppò gli studi per lo strato impersonale della nostra psiche, che chiamò "inconscio collettivo".
Riguardo alla sua teoria dei tipi psicologici, Jung afferma che però essi non sono statici (cioè non sono etichette) ma cambiano durante il corso della vita e alla domanda di Freedman su quale sia il suo tipo, egli si definisce un pensatore dotato di grande intuito ma con qualche difficoltà con i sentimenti e qualche sfasatura nel suo rapporto con la realtà.
Siamo nel 1959 e il tema all'ordine del giorno è la guerra fredda e la paura per una terza guerra mondiale. Su questo Jung dice di non saper fare previsioni precise anche se "E' imminente un grande cambiamento del nostro atteggiamento psicologico. Abbiamo bisogno di capire meglio la natura umana perché l'unico vero pericolo esistente è l'uomo stesso. Non sappiamo niente dell'uomo, o troppo poco. Dovremmo studiare la psiche umana perché siamo noi l'origine di tutto il male a venire."
Uno degli aspetti che mi convincono meno del pensiero di Jung è quando attribuisce alla psiche facoltà particolari, per cui non è del tutto confinata entro lo spazio e il tempo. Non capisco come possa dimostrare in modo scientifico queste pur affascinanti intuizioni.
Riguardo al significato più profondo della vita invece mi sono piaciute molto le sue parole:
"Dobbiamo considerare la morte come una meta e negarlo elude la vita e la priva di scopo. Ma la persona anziana deve continuare a vivere e guardare con attesa il giorno dopo come se avesse secoli davanti a sé. Tutti noi sappiamo che moriremo ma il nostro inconscio a quanto pare non ci crede. L'uomo non può sopportare una vita priva di senso."

2 commenti:

  1. Considerando che appena nasci cominci ad invecchiare, trovo giusto che anche le persone anziane continuino a pensare che la morte non è dietro l'angolo.
    ( un po' troppo egocentrico come commento?)
    Cristiana

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  2. Mah, la morte per me e' un pensiero piuttosto sfuggente.
    Cioe', il tempo passa in modo assoluto, probabilmente, ma per noi passa perche' percepiamo l'evoluzione del mondo attraverso i nostri sensi. Infatti, nonostante le lancette dell'orologio si muovano sempre alla stessa velocita', ci sono momenti in cui il tempo vola e altri in cui non passa mai.

    Ma se il trascorrere del tempo e la velocita' con cui trascorre dipende dalla nostra percezione, nel momento in cui moriamo, e quindi smettiamo di percepire, il tempo non puo' che arrestarsi. In altre parole, anche se la nostra esistenza e' oggettivamente limitata, viviamo un tempo che percepiamo infinito. E quindi la morte non esiste, poiche' non la possiamo "vivere".

    Boh... ci ho spesso ragionato, su queste cose, ma non riesco a venirne a capo, perche' poi, alla fine, la morte mi spaventa, e questo e' il motivo principale per il quale vorrei non invecchiare.

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