Il titolo di questa conferenza, tratta dal festival "Dialoghi sull'uomo" edizione 2010, già racchiude in un'ottima sintesi un tema su cui si sono spesi fiumi di parole, soprattutto negli anni Settanta, e cioè quello delle identità e differenze tra uomini e donne.
La giornalista Caterina Soffici, una delle due relatrici, ha elencato le leggi che in Italia (analogamente a quello che è avvenuto nel resto d'Europa) hanno modificato il modo delle donne di stare nella società, leggi troppo spesso date per scontate ma che è bene ricordare: dai diritti elettorali attivi e passivi (1946), all'abolizione dell'esclusione da certe cariche pubbliche come quella di magistrate (1963), all'abolizione del reato di adulterio femminile (1968), al nuovo diritto di famiglia (parità tra i coniugi in quanto a diritti e doveri, abolizione della patria potestà, 1975), all'abolizione delle attenuanti per il cosiddetto "delitto d'onore" (1981), oltre alle leggi più note.
Tuttavia l'intervento che mi è piaciuto di più è stato quello di Michela Marzano la quale, con la sua solita chiarezza e puntualità, ha tracciato l'evoluzione delle diverse correnti di pensiero femminista.
Uguaglianza e identità non sono la stessa cosa. L'uomo e la donna sono diversi, ma non per questo non sono uguali, nel senso che devono avere gli stessi diritti. Michela Marzano parte dal linguaggio e non è una pedanteria perché per far evolvere mentalità e costumi bisogna forse cominciare proprio da quello. Per esempio la filosofa denuncia che solo in Italia si parla di "maschi/femmine" invece che di "uomini/donne". In Francia, per esempio, non verrebbe mai in mente di dire "è nata una femminuccia", in quanto i termini "maschio" e "femmina" si riferiscono solo agli animali. "Cominciamo a parlarci tra donne e uomini", dice la Marzano.
Il secondo punto è il rapporto tra "sesso" e "genere". Simone de Beauvoir diceva che "donne non si nasce, ma si diventa". Con ciò essa non voleva negare l'esistenza di esseri umani biologicamente di sesso femminile, ma voleva mostrare come progressivamente si era costruito uno stereotipo della femminilità a livello di genere che era necessario decostruire per permettere ad ogni donna di poter diventare unica in quanto individuo (da qui la cosiddetta corrente universalista).
Per secoli (da Platone a Cartesio) il pensiero stesso si è strutturato in maniera dicotomica, cioè si è diviso il mondo in due entità: da un lato l'anima, il pensiero, la riflessione, la razionalità e dall'altra il corpo e la materialità. Naturalmente gerarchicamente veniva prima l'anima e poi il corpo e ovviamente l'uomo è stato associato alla prima e la donna al secondo (vedi il titolo dell'opera più famosa della de Beauvoir: "Il secondo sesso"). Il pensiero universalista auspica di uscire dalla dicotomia uomo/donna per cercare di arrivare al neutro, categoria capace di cancellare le differenze, e quindi mira a raggiungere l'uguaglianza attraverso l'identità.
Successivamente si sono visti tutti i limiti di questa concezione. Non è garantito che si arrivi all'uguaglianza passando dalla casella dell'identico e che per la donna la soluzione sia semplicemente diventare "uomo" attraverso la razionalità. L'essere umano nasce, vive evolve e incontra gli altri anche attraverso e grazie al proprio corpo che è un elemento altrettanto essenziale quanto la razionalità, è il risvolto esterno dell'anima. Inoltre, a forza di decostruire gli stereotipi di genere come fa Simone de Beauvoir, si rischia di arrivare ad una dematerializzazione del corpo, cioè a negare l'evidenza della corporeità che ci costituisce.
Da ciò nacque la corrente differenzialista che lotta per l'uguaglianza uomo/donna insistendo però sull'importanza delle differenze, riportando sulla scena la presenza del corpo e quindi anche del sesso oltre che del genere. La maternità, per esempio, che per secoli è stata un motivo di emarginazione della donna, non va negata ma affermata come segno di ricchezza della propria differenza. La corrente differenzialista è stata utile anche applicandola ad altre discriminazioni che riguardano il diverso rispetto al modello unico e al pensiero unico (omosessuali, stranieri, disabili, ecc.). Non si possono rivendicare i diritti cancellando le differenze.
Tuttavia Michela Marzano mette in guardia anche dai pericoli del pensiero differenzialista ricordando che stiamo valorizzando la differenza sessuale e non di genere perchè quest'ultima porta inevitabilemente agli stereotipi. Oggi infatti dominano la scena i due stereotipi della "donna-immagine", impeccabile, ridotta a nient'altro che corpo, proposta fino all'ossessione dalla pubblicità e dalla televisione, e, dall'altro lato, la "donna-madre" assorbita completamente dal suo ruolo tradizionale tutto privato e famiglia.
"Uguali, ma non troppo", conclude la Marzano, "significa quindi diversità da un lato, ma diritti dall'altro da costruire non contro l'uomo, ma con l'uomo, per cambiare la mentalità e i costumi di una società nella quale purtroppo scorgiamo continuamente molteplici segni di regressione."
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