Parigi, febbraio 1926: un ragazzo di neppure venticinque anni (ma già un intellettuale italiano di grande levatura) muore a causa dell'aggravarsi delle cattive condizioni fisiche provocate dalla violenza subita precedentemente dalle squadracce fasciste.
Eppure aveva già capito tutto (e non solo del fascismo):
"Il fascismo in Italia è una catastrofe. E' un'indicazione di infanzia decisiva che segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'ottimismo,
dell'entusiasmo. Si può ragionare del ministero Mussolini
come di
un fatto d'ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato
qualcosa
di più: è stato l'autobiografia della nazione.
Né Mussolini, né Vittorio Emanuele Savoia hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene l'animo di schiavi. E' doloroso per chi lavora da anni dover pensare con nostalgia all'illuminismo libertario e alle congiure. Eppure siamo sinceri fino in fondo. Io ho atteso ansiosamente che venissero persecuzioni personali perché dalle nostre sofferenze rinascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso. Il fascismo ha avuto almeno questo merito: di offrire la sintesi delle storiche malattie italiane: retorica, cortigianeria, demagogismo, trasformismo. Quando l'opposizione parla di democrazia e di liberalismo deve sapere che il fascismo è il governo che si merita un'Italia di disoccupati e di parassiti, ancora lontana dalle moderne forme democratiche e liberali e che per combatterlo bisogna lavorare per una rivoluzione integrale dell'economia come delle coscienze."
Piero Gobetti
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