Perché l'antifascismo, la difesa della democrazia e della Costituzione repubblicana non affascinano i giovani? Come è possibile che una democrazia così giovane abbia smarrito i germi
dell'antifascismo, del senso democratico, del senso delle istituzioni? Dove abbiamo sbagliato come educatori?
Sono le domande che ci pone Raffaele Mantegazza, docente di pedagogia
interculturale all'Università Bicocca di Milano, intervenuto ad un convegno dell'ANPI dal titolo "Neofascismo e neonazismo: un problema politico, culturale,
educativo - Quali i rischi per i nostri giovani? Come prevenirli?", che consiglio caldamente di rivedere qui.
Raffaele Mantegazza, con la sua simpatia e il suo tono coinvolgente, fa porre ad alcuni giovani cinque domande che egli ha individuato come le più frequenti quando va nelle scuole a parlare di antifascismo, di resistenza e di Costituzione.
- Continuate a parlare di Resistenza, di fascismo, di nazismo e dite che di queste cose dovremmo interessarci. Ma come possono interessarci cose accadute più di mezzo secolo fa? Che cosa c'entrano con le nostre vite?
Mantegazza cita i Philadelphia 76ers, una squadra di pallacanestro che si rifa nel suo nome alla dichiarazione di indipendenza, firmata proprio in tale città nel 1776, e ricorda un giovane tifoso di 14 anni il quale gli aveva saputo spiegare con orgoglio il motivo storico di quel nome. Il pedagogista continua citando la polisportiva Maccabi di Tel Aviv che si richiama alla rivolta anti Impero Romano avvenuta nel 150 a.C. I giovani tifosi di questa squadra sanno perfettamente che il nome di essa si riferisce a tale episodio glorioso. Il problema quindi non è il fatto che siano passati 70 anni (che non sono nulla a confronto dei duemila dei Maccabei), quanto che non siamo riusciti a fare dell'antifascismo e della resistenza un mito fondativo, una narrazione eccitante che tocchi gli adolescenti nelle loro dimensioni vitali, nella loro musica, nel loro modo di vestire, ecc.. L'antifascismo e la resistenza sono diventati probabilmente un rituale ed una liturgia un po' polverosa che non riesce a toccare le coscienze giovanili, ad apparire come qualcosa per cui ne va delle loro vite di adesso.
Forse, prosegue Mantegazza, non abbiamo raccontato abbastanza storie di singole persone, non siamo riusciti a far capire loro che la resistenza l'hanno fatta dei ragazzi della loro età, che non avevano nessuna voglia di andare in montagna, che avrebbero preferito passare i pomeriggi con le loro fidanzate o a giocare a pallone. I ragazzi potrebbero cercare allora nella storia studiata con emozione le radici del loro star male di oggi.
- Voi dite di essere democratici e che la democrazia garantisce a ciascuno la possibilità di dire la propria opinione. Ma allora perché non volete che i neofascisti esprimano un loro movimento e organizzino sfilate?
Per spiegare ai giovani che il partito fascista non è un partito come tutti gli altri, Raffaele Mantegazza suggerisce di fare l'esempio di una partita di pallone tra ragazzi. Essere democratici significa far partecipare alla partita tutti, indipendentemente da quale squadra tifano, dalle diverse abilità, dalle eventuali difficoltà fisiche, ecc. Ma se un ragazzino vuol giocare toccando la palla con le mani e rifiutando la regola di base di giocare con i piedi, allora non lo possiamo accettare perché rifiuta la base stessa del gioco.
Un partito fascista è un partito che per sua struttura non accetta le regole democratiche e questo non si può permettere. Chi sistematicamente vuole attentare alla Costituzione, non può entrare in Parlamento. I neofascisti chiedono spazio per le loro manifestazioni a quelle istituzioni democratiche che essi stessi non riconoscono. Qualsiasi sistema si deve autodifendere rispetto a chi vuole minarne le basi.
Bisogna spiegarlo ai ragazzi ma poi la "partita" bisogna giocarla davvero, cioè dare loro modo di contare qualcosa, di poter dire la loro. Se vogliamo che i ragazzi si innamorino della democrazia essa deve funzionare insieme a loro. "Io rispetto la regola di giocare solo con i piedi, ma poi, la palla, la passi anche a me altrimenti è una presa di giro, altrimenti hanno ragione quelli là a voler distruggere il gioco."
- Vi definite antifascisti, ma perché oltre ad essere "anti" qualcosa, non siete anche "pro" qualcos'altro? Dovete per forza avere sempre degli avversari?
Ci sono parole, dice il pedagogista, che abbiamo smesso di pronunciare: fascismo, resistenza, sciopero. Al di là delle definizioni storico politiche, fascista è chi legittima la violenza del forte sul debole senza che ve ne sia motivo. Chi è più forte ha tutti i diritti di fare violenza sul più debole senza che debba rendere conto a nessuno.
I resistenti avevano in mente ben tre modelli di società (social-comunista, cattolica e liberale), avevano comunque in mente una società futura. Quello che manca oggi è proprio l'idea di una società futura. L'antifascismo va presentato ai giovani di oggi anche in relazione a quale società vogliamo costruire. Invece, purtroppo, passiamo ai ragazzi l'idea che è normale che ci siano le guerre, che ci sia la violenza, che ci sia un certo margine di sfruttamento dei deboli, che un giovane faccia il precario fino a 40 anni, ecc. Se noi continuamo a spacciare questo mondo, con le sue ingiustizie sempre più grandi, come una cosa normale, rischiamo di non dimostrarci affatto antifascisti. Senza un'idea di società (tre, addirittura) la resistenza non avrebbe avuto la forza morale, etica e civile di opporsi al nazismo.
- I nazisti e i fascisti saranno anche violenti ma sono forti, belli, grandi. Le loro bandiere, i loro simboli comunicano grandezza, potenza, potere. Voi avete la faccia da sfigati, da perdenti. Mi fate tristezza.
Perché se pensiamo al guerrigliero nazista, abbiamo in mente un marcantonio, mentre se pensiamo al pacifista ci viene in mente uno sfigato, trasandato e spettinato? Dobbiamo comunicare la positività del rispettare le regole, per esempio, di fermarsi al semaforo rosso (ma non perché altrimenti becco la multa, bensì perché permetto a pedoni e ciclisti di attraversare in tranquillità). Non abbiamo saputo trasmettere ai ragazzi quanto sia bello lottare per la libertà e per la giustizia. I giovani partigiani convivevano con la paura e con la preoccupazione per la famiglia lasciata a casa, ma anche con l'emozione e con la scarica di adrenalina che provavano combattendo. Perché ci siamo fatti rubare dai neofascisti motti come "Non ti rassegnare, ribellati" o miti come Che Guevara o persino la parola rivoluzione, che era della sinistra? "La bellezza dei giovani," dice Mantegazza procurandomi un moto di commozione, "è la loro freschezza, la loro possibilità di credere ancora per qualcosa, nonostante che li abbiamo presi in giro per secoli. Diamo loro cose positive, diamo loro l'idea che comunque che questo mondo non è la soluzione definitiva all'avventura umana sulla terra."
- Lei dice di essere un prof democratico. Ma se scrivo sul tema che non sono d'accordo con lei, lei mi dà 4?
Il ragazzo che fa una domanda del genere è un ragazzo intelligente e dimostra spirito critico. E' chiaro che vuole sfidarci ma, se il tema è scritto in ottimo italiano, gli va dato otto, salvo dopo semmai discutere con lui apertamente e tranquillamente del contenuto. Stiamo attenti, noi adulti, a non educare all'omologazione, bensì ad accettare lo spirito critico, a creare persone inquiete, persone dissenzienti, che non accettano le verità calate dall'alto. Attenti ai dogmi intoccabili che abbiamo. Attenti ad una gestione davvero democratica delle nostre riunioni. Attenti all'uso del linguaggio, a non cadere nel maschilismo e nella violenza, per esempio, criticando un politico di parte avversaria per i suoi difetti fisici e non per le cose che fa.
Alle domande di cui sopra non abbiamo saputo dare risposte credibili o forse abbiamo dato risposte troppo schematiche e superficiali.
"Abbiamo sbagliato molto," conclude Raffaele Mantegazza, "ma la cosa peggiore è piangersi addosso. Come sinistra abbiamo tutte le energie e la fantasia (che manca alla destra) per creare una nuova narrazione dentro la quale metterci i grandi valori dell'umanità (quelli della Bibbia, del Corano, ecc.) per un mondo in cui la gente possa vivere serenamente e con dignità. Il nome da tornare a dare a questa direzione politica: utopia.