Che prospettiva ha oggi un ragazzo o una ragazza? Cosa possiamo dire loro noi genitori? "Studia caro/a e vedrai che ti farai una buona posizione"? I dati OCSE ci dicono che un giovane su quattro in Italia non ha un lavoro e, tra quelli che lo hanno, la metà sono precari. Dopo un periodo dorato corrispondente agli anni degli studi, durante il quale è richiesto loro un impegno più che abbordabile, questi ragazzi si scontrano con la realtà e, salvo che abbiano santi in Paradiso o una gran botta di fortuna o l'azienda di papà che li aspetta, salteranno da un lavoro precario ad un altro, non avranno la possibilità di comprarsi una casa con le loro forze, non potranno programmare con serenità di metter su famiglia, non avranno servizi che li aiutino a tirar su i figli e avranno, dopo molti molti anni di lavoro, una pensione da miserabili.
Anche se sono meritevoli, quelli delle generazioni precedenti non cederanno mai il loro posto, nelle aziende, nella politica, nell'economia ma neanche nei semplici posti impiegatizi perché si dovrà andare in pensione sempre più tardi. I loro padri e i loro nonni hanno conquistato giustamente un buon sistema di tutele e un discreto stato sociale che però hanno lasciato che fosse smantellato per quelli che vengono dopo. Hanno goduto del boom economico permettendo che le risorse pubbliche fossero sperperate e che si creasse un debito pubblico enorme. Come ci si può meravigliare se questi ragazzi non si schiodano dalle case dei loro genitori? E soprattutto perchè non ri ribellano?
Il comprensibile sfogo accorato di Marco-Senza traccia mi ha richiamato alla mente un'intervista che ho sentito la scorsa estate a Tonia Mastrobuoni, autrice insieme a Marco Iezzi del libro "Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi" (sempre Fahrenheit Radio 3, ça va sans dire).
I due autori puntano il dito sul fatto che siamo pieni di analisi che correttamente illustrano come i giovani non riescano a farsi la loro strada perché trovano solo porte chiuse ma nessuno va al di là di queste e propone rimedi. Negli anni Novanta, a causa della disoccupazione, ci è stato raccontato che bisognava aprire alla flessibilità e questo avrebbe garantito ai giovani di saltare da un lavoro all'altro migliorando la propria professionalità e la propria posizione. Non è stato affatto così. Le prospettive non ci sono e quindi il giovane da flessibile diventa solo precario. Iezzi e Mastrobuoni sfatano anche alcuni miti: la scuola pubblica che non è più formativa a causa dello scambio tra lo scarso stipendio agli insegnanti e una scarsa qualità delle prestazioni a loro richieste, l'università accessibile a tutti, dove a fronte dell'inesistenza di servizi per gli studenti abbiamo assistito al moltiplicarsi delle sedi e al fatto che l'università è tornata ad essere un luogo per ricchi come un secolo fa, il mito della casa di proprietà (inaccessibile per chi guadagna 1000 euro al mese), il mito del posto fisso che si è sgretolato.
Secondo Tonia Mastrobuoni i giovani non si ribellano perché non riescono ad "essere generazione", mancano di coesione, di obiettivi comuni, rivendicano dalla famiglia quello che invece dovrebbero pretendere dallo Stato ed inoltre perchè sono cresciuti intrisi di liberismo secondo il quale la ricerca della felicità è un fatto individuale e non sociale. Inoltre la Mastrobuoni punta il dito sui sindacati tradizionali i cui iscritti sono per quasi la metà pensionati e che quindi non potranno mai rappresentare i giovani.
Io non so se l'analisi di Tonia Mastrobuoni sia corretta, però come madre sento la mia parte di responsabilità verso le nuove generazioni per il fatto che non potranno godere di quello che ho goduto io e mi dispiace davvero. Ragazzi, vi sono nel cuore ma sappiate che siete voi a dovervi ribellare, non pensiate che siano il babbo e la mamma ad accompagnarvi per la manina. Io, da parte mia, sono pronta a portarvi i viveri.
Anche se sono meritevoli, quelli delle generazioni precedenti non cederanno mai il loro posto, nelle aziende, nella politica, nell'economia ma neanche nei semplici posti impiegatizi perché si dovrà andare in pensione sempre più tardi. I loro padri e i loro nonni hanno conquistato giustamente un buon sistema di tutele e un discreto stato sociale che però hanno lasciato che fosse smantellato per quelli che vengono dopo. Hanno goduto del boom economico permettendo che le risorse pubbliche fossero sperperate e che si creasse un debito pubblico enorme. Come ci si può meravigliare se questi ragazzi non si schiodano dalle case dei loro genitori? E soprattutto perchè non ri ribellano?
Il comprensibile sfogo accorato di Marco-Senza traccia mi ha richiamato alla mente un'intervista che ho sentito la scorsa estate a Tonia Mastrobuoni, autrice insieme a Marco Iezzi del libro "Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi" (sempre Fahrenheit Radio 3, ça va sans dire).
I due autori puntano il dito sul fatto che siamo pieni di analisi che correttamente illustrano come i giovani non riescano a farsi la loro strada perché trovano solo porte chiuse ma nessuno va al di là di queste e propone rimedi. Negli anni Novanta, a causa della disoccupazione, ci è stato raccontato che bisognava aprire alla flessibilità e questo avrebbe garantito ai giovani di saltare da un lavoro all'altro migliorando la propria professionalità e la propria posizione. Non è stato affatto così. Le prospettive non ci sono e quindi il giovane da flessibile diventa solo precario. Iezzi e Mastrobuoni sfatano anche alcuni miti: la scuola pubblica che non è più formativa a causa dello scambio tra lo scarso stipendio agli insegnanti e una scarsa qualità delle prestazioni a loro richieste, l'università accessibile a tutti, dove a fronte dell'inesistenza di servizi per gli studenti abbiamo assistito al moltiplicarsi delle sedi e al fatto che l'università è tornata ad essere un luogo per ricchi come un secolo fa, il mito della casa di proprietà (inaccessibile per chi guadagna 1000 euro al mese), il mito del posto fisso che si è sgretolato.
Secondo Tonia Mastrobuoni i giovani non si ribellano perché non riescono ad "essere generazione", mancano di coesione, di obiettivi comuni, rivendicano dalla famiglia quello che invece dovrebbero pretendere dallo Stato ed inoltre perchè sono cresciuti intrisi di liberismo secondo il quale la ricerca della felicità è un fatto individuale e non sociale. Inoltre la Mastrobuoni punta il dito sui sindacati tradizionali i cui iscritti sono per quasi la metà pensionati e che quindi non potranno mai rappresentare i giovani.
Io non so se l'analisi di Tonia Mastrobuoni sia corretta, però come madre sento la mia parte di responsabilità verso le nuove generazioni per il fatto che non potranno godere di quello che ho goduto io e mi dispiace davvero. Ragazzi, vi sono nel cuore ma sappiate che siete voi a dovervi ribellare, non pensiate che siano il babbo e la mamma ad accompagnarvi per la manina. Io, da parte mia, sono pronta a portarvi i viveri.
La situazione che hai descritto è tristemente vera... certo, non stupisce dato che nelle ultime decadi si sia cercato in tutti i modi (dalla tv ai massimi responsabili civili), più o meno velatamente, di distruggere tutti i paletti della società (lavoro, educazione, famiglia). Se si aggiunge anche che i media propongano modelli fittizi, superficiali ed egoistici, la frittata è completa.
RispondiEliminaNon vedo molte vie d'uscita se non quello di sforzarci al massimo per svegliarli dal torpore, proporgli con saggezza le vere strade da percorrere... glielo dobbiamo per quello che gli abbiamo tolto.
Arte, ho l'impressione che il problema sia che l'era delle vacche grasse sia finita.
RispondiEliminaIl benessere relativo che c'e' stato dal dopoguerra fino all'altro ieri nel mondo occidentale era basato su una disparita' economica a livello globale. Ora c'e' ancora disparita', anzi forse piu' di prima, ma gli equilibri sono (o stanno inesorabilmente diventando) diversi. I cinesi vogliono giustamente riscattarsi dalla poverta' in cui versavano il secolo scorso, e di conseguenza noi non possiamo far altro che cedere loro il passo. Questo significa piu' poverta' per tutti, e quindi meno lavoro.
Ci vorrebbe una redistribuzione piu' equa della ricchezza, il che consentirebbe anche una redistribuzione del lavoro. Ma io che ho un mutuo pesante da pagare ("tengo famiglia" diceva il mio amico di napoli), sono il primo che rifiuterebbe di rinunciare a parte dello stipendio. Secondo me l'unica e' una riorganizzazione economica e sociale, andando piano piano verso un nuovo medioevo. Il che, secondo me, non sarebbe nemmeno male, di per se, se si mantenesse uguaglianza di diritti e si garantisse il soddisfacimento dei bisogni minimi di ciascuno. Ma il problema e' che nella transizione (inevitabile) quelli che ne faranno le spese sono i piu' deboli, cioe' i disoccupati (o precari, chiamali come vuoi).
Poi, comunque, un sistema meritocratico (dici "Anche se sono meritevoli, quelli delle generazioni precedenti non cederanno mai il loro posto", lasciando pensare che quelli meritevoli siano quelli che piu' avrebbero diritto ad emanciparsi) non lo trovo socialmente accettabile. Uno e' intelligente, bravo e che si impegna molto ha diritto di accesso alla pagnotta quotidiana tanto quanto uno svogliato stupido, secondo me. Poi magari ci possono essere delle disparita' lievi che fungano da incentivi a lavorare (e quindi produrre) meglio, ma il problema e' sociale, di tutti, indipendentemente dalla capacita' e dalla buona volonta' di ciascuno colpito personalmente.
Boh... forse ancora una volta sono andato fuori tema?
Io concordo quasi totalmente con le tesi della Mastrobuoni: abbiamo permesso a dei cialtroni che vorrebbero essere governanti di distruggere il sistema pubblico di istruzione, abbiamo permesso loro di entrare nel cervello dei nostri figli con la TV, distruggendo ogni possibilità di una cultura che approfondisca, ma soprattutto sono d'accordo sulla questione dell'ideologia liberale, prima ancora che liberista. A un ragazzo puoi togliere il lavoro, ogni tipo di diritto, ma guai a toglierli la possibilità di scegliere. Non importa poi che una scelta sia realmente possibile in base alla propria preparazione culturale ed anche in base al proprio reddito, ma il centro dell'universo diventa ascoltare il brano musicale preferito o indossare il capo di vestiario del colore preferito. Apparentemente, per loro è difficile comprendere quanto sia difficile, o forse impossibile, predicare il libertarismo senza finire dritti dritti nelle fauci del liberismo in campo economico.
RispondiEliminaL'intervento di Dario mi pare illuminante: si tratta di una realtà immodificabile, da quando i cinesi vogliono ciò che noi abbiamo da decenni. In altre parole, proprio la negazione di qualsiasi progetto collettivo, fosse anche utopico, convinti dell'ineluttabilità della realtà che si presume di conoscere tramite un proprio percorso culturale, e senza l'esigenza di confrontarsi con gli altri.
Dario, io non ho sottinteso che chi non e' bravo e intelligente debba morir di fame. E' chiaro che la pagnotta (come un tetto sulla testa) va garantita a tutti ma chi si impegna e dimostra talento ha diritto, secondo me, di una posizione migliore (una casa piu' bella? un lavoro piu' gratificante? fai te) altrimenti tutto si appiattirebbe e nessuno sarebbe incentivato a fare niente piu' del minimo indispensabile.
RispondiEliminaVincenzo, devo ringraziarti per avermi considerato un giovane. In realta' la mia storia l'ho gia' fatta.
RispondiEliminaIl punto e' che secondo me la ricchezza (quella materiale) non si fa con il confronto culturale, ma con la suddivisione delle risorse. Queste sono quelle che sono. Non sono infinite, e ricco e' chi riesce ad accaparrarsene di piu', a scapito degli altri che restano senza. Poi sono disposto a qualunque umanistica commistione culturale, per quanto trovo meno attraente quella orientale di altre - diciamo l'africana e la sudamericana.
Arte, ho capito quello che volevi dire tu. E credo che sia vero quello che ribadisci, cioe' che deve esserci una qualche carota meritocratica. Quello che pero' non mi piace e' il dominio del giudizio del merito su cui si deve basare l'incentivo. Pur essendo un "tecnico" (faccio software), nel mio stesso ambiente vedo che ha piu' successo (e quindi si fa una casa piu' bella eccetera) quello che si occupa di produrre in senso dinamico. L'umanista (ma anche il ricercatore scientifico) pare non trarre vantaggio da questo sistema, perche' non si occupa di incrementare la ricchezza (materiale).
Non voglio essere polemico solo nei confronti del governo che scoraggia la ricerca, ma questo e' vero in generale. Il ricercatore della ditta farmaceutica fa piu' soldi dello studioso della civilta' micenea, perche' il primo fa fare soldi al suo datore di lavoro, il secondo no. In altre parole, discuto che sia il valore economico a determinare il merito, piuttosto che quello etico.
Allora siamo d'accordo, Dario. Comunque il ricercatore a tempo indeterminato che si occupa di civiltà micenea (come di particelle elementari come i miei colleghi) ha uno stipendio più che dignitoso, una serie di benefit e gode anche di una buona libertà nel suo lavoro. Invece il dottorando o l'assegnista (e qui che subentra il gap generazionale) che fa lo stesso lavoro (anzi di più perchè ricattabile) ha uno stipendio miserabile, non ha nessuna garanzia del futuro, la pensione non se ne parla e magari tiene famiglia. Questo è quello che volevo dire nel post. Ce l'ho davanti tutti i giorni questi esempi. Poi lo so che ci sono quelli che stanno vergognosamente meglio e anche quelli che stanno disperatamente peggio.
RispondiEliminasecondo me i problemi sono vari:
RispondiElimina1. non si parla. i giovani non parlano di progetti, società, lavoro, famiglia, sessismo. la discussione crea consapevolezza e quindi possibilità di evoluzione. io questo della mia generazione e dopo critico. io ho rinunciato perchè ero quella che faceva discorsi fastidiosi e alla fine sei solo un'antipatica. ma mi sento spesso sola e mi manca il confronto. capisco che il tutto ci ha colto di sprovvista e che noi pensavamo di vivere nel "migliore dei mondi" ma sarebbe ora di svegliarsi e di ammettere che siamo perdenti e che se non ci diamo una mossa lo resteremo (lo resteremo, ovvio)
2. siamo frammentati lavorativamente. i sindacati non ci filano, adesso fanno la corte a mio marito, dipendente pubblico a tempo indeterminato, adesso (lui gli fa marameo). ma quando era precario e non capiva niente dei suoi strani contratti ha trovato porte chiuse anche solo per qualche informazione (da tutti, li ha girati pazientemente). i precari non hanno protezione e non hanno armi. come fa una finta p.iva o un cocopro a scioperare? e poi sei ricattabile, te ne guardi bene...
3. la generazione dei nostri padri è un po' furba. chi sono i capi che oggi ti prendono con un non contratto a 1000 euro al mese? gli stessi che a 18 anni sono usciti da scuola e a 19 avevano un lavoro "vero". hanno avuto molto e oggi, che le vacche grasse scarseggiano, si pigliano quello che non c'è più prelevandolo dalle nostre tasche (non pagare il lavoro è questo, no?), e quel che è peggio, si sentono di farlo a pieno diritto.
è ovvio che sono generalizzazioni, ma è quello che ho visto nella mia vita personale.
Grazie per la tua testimonianza, Liber-Manu. Mi convince molto il terzo punto.
RispondiEliminaSegnalo per chi ripassasse di qua un bel post di Massimo Gramellini che rende bene l'idea di quello che volevo dire:
RispondiEliminahttp://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=882&ID_sezione=56&sezione=
ciao Arte, vedo ora questo post in cui mi hai citato :) ora sono in rush di studio, ma prometto che risponderò dettagliatamente! a presto!
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