Nella filiale della banca che frequento per motivi di lavoro sono passati diversi impiegati (e diversi direttori). Essa rappresenta la mia cartina di tornasole per capire se certi meccanismi che vivo nel mio ambiente lavorativo di ente pubblico si ritrovino anche nel privato. E' il mio piccolo laboratorio antropologico. Ci sono periodi come questo in cui la stanchezza mi fa tollerare poco i miei colleghi che, pur lavorando, si lamentano di tutto, la cui principale preoccupazione è avere assegnati meno compiti possibili e verificare che la propria mole di lavoro non sia superiore a quella degli altri, con un capo, gradevolissima persona, ma che non sa assolutamente gestire i propri sottoposti.
Così quando esco per portare i documenti in banca, un po' mi consolo perché vi scopro dinamiche simili. C'è l'impiegato con l'aria scostante a cui è bene non chiedere nulla perché non sa nulla e ti farà capire che non si sforzerà di un centimetro per darti le informazioni di cui hai bisogno. C'è la cassiera gentile che, nonostante i suoi modi educati, non ti sarà utile perché di tesoreria di enti pubblici non ne ha mai sentito parlare. C'è la corpulenta impiegata, che è da più tempo in quella filiale, che si muove come un bradipo e la cui unica preoccupazione è quanto manca alla pausa caffè, alla fine dell'orario e alla pensione. Poi c'è il giovane rampante, capelli pieni di gel e modi confidenziali, che alla tua domanda sulla tesoreria ti risponde che non ne sa nulla perché "si occupa di borsa".
E infine c'è L., giovane madre, carina, magra, lo sguardo vispo, un modo di fare accogliente ma non servile. Se gli fai una domanda capisce subito il problema. Se non sa come risolverlo, alza il telefono e cerca qualcuno a cui chiedere. Ci sarà un motivo se il direttore delega tutto a lei quando non c'è.
Ieri le chiedevo se sapeva qualcosa delle diatribe tra l'ufficio tesoreria e l'ufficio estero di Roma. "Non ne so niente", mi ha risposto, "ma fondamentalmente il punto è che la gente non c'ha voglia di lavorare".
Pare che tra le tante malattie inventate dalle industrie farmaceutiche per vendere farmaci ci sia la sindrome da deficit motivazionale che, come dice L. nella sua mirabile sintesi, sta diventando un'epidemia.
Si cercano sempre varie giustificazioni per la mancanza di voglia di lavorare.
RispondiEliminaIo non ho mai avuto voglia di lavorare, ho sempre sognato di starmene a casa a coltivare i miei hobby ma per tutto il tempo che ho lavorato l'ho fatto con impegno e puntualità, a volte anche un po' di passione, comunque sempre molta responsabilità, rispetto per la ditta in cui lavoravo e ricerca dell'armonia con i colleghi.
Un conto è vivere per lavorare, un conto è fare il proprio dovere quando si è pagati per questo.
Mi dilungo: se penso a quanti (ma quanti!!!) soldi sono stati sprecati nel tempo a causa delle persone che non hanno voglia di lavorare mi viene un nodo allo stomaco.
Sono felice di essere una tua lettrice perché sempre mi fai ragionare e sono felice anche quando passi da me per il tuo prezioso contributo alla riflessione.
Ciao, buona domenica!
Grazie Alchemilla per l'affetto. Purtroppo sono un po' latitante da tutti i blog in questo periodo perchè ho meno tempo del solito. Ma tornerò.
RispondiEliminaCerto che nella P.A. non fanno poi tanto per 'motivarti'. Quando il tuo collega ogni volta che prende una settimana di ferie poi se ne sta a casa 3 mesi, quando è a lavorare non lo trovi mai, poi si becca la promozione e tu che sei sempre presente, che lavori anche la sera a casa via rete, no.... ti scappa proprio la voglia di lavorare.
RispondiEliminaMa poi alla mattina quando ti lavi la faccia e ti fai la barba (per i maschietti) ti piace guardati allo specchio, quando fai una cosa ti piace farla al meglio, quando vai in banca a ritirare lo stipendio non vuoi sentirti un ladro, e allora le motivazioni te le fai venire, le trovi dentro te, ti dai una mossa e vai avanti.
Pace e benedizione
Julo d.
Hai fatto un bellissimo ritratto degli impiegati della banca e questo ritratto è la fotocopia di una gran parte degli uffici di tutta Italia, sia pubblici che privati; a onor del vero non è che le motivazioni per rendere al meglio siano molto persuasive, quanto ai capiufficio, la mia esperienza mi porta a pensare che , normalmente, uno arriva a quel posto di prestigio come ad un traguardo e pensa solo di vivere quietamente gli ultimi anni prima della pensione e a fronte ad un problema finge di non vedere e messo alle strette svicola come un'anguilla,in attesa che alla soluzione provveda qualcun'altro.
RispondiEliminaL0 sostengo da tempo: la vera riforma della burocrazia italiana non sono i tornelli o carpate simili, ma la responsabilità personale dei capi ai vari livelli, dal capo ufficio al capo divisione. Come nello sport, quando la squadra non va semplicemente si licenzia l'allenatore. E' troppo importante la burocrazia per il funzionamento dello Stato per lasciarla in balia di una minoranza di dipendenti volonterosi.
RispondiEliminaIl mio lui lavora in un ente pubblico. Non c'è un giorno in cui, tornando a casa, non mi racconti dinamiche simili a quelle che hai descritto in questo post. E' davvero un male diffuso, tanto nel grande quanto nel piccolo. Secondo me, poi, non è solo una questione di mancata motivazione e stipendi non adeguati. Si tratta proprio di una sorta di "cultura", in alcuni casi.
RispondiEliminaE' vero, Occhi di Notte, la mancanza di motivazione è spesso un alibi. Il titolo del post infatti (forse non risulta chiaro) è ironico.
RispondiEliminaE' più che altro questione di carattere. Io, per esempio, non riuscirei a limarmi le unghie tranquillamente come la tizia nella foto avendo un casino da fare. Non è per bontà o per spirito di sacrificio. No, no. Proprio non ci riuscirei. E' più forte di me. Non mi piace il mio lavoro ma "mi piace lavorare". Non riuscirei a stare a casa a coltivare i miei hobby, come dice Alchemilla.
Che bella capacità di ritrarre la realtà. Mi hai divertito prima di preoccuparmi o di indignarmi. Ho ritrovato i tipi che hai descritti in tutti i posti in cui mi capita di andare.Un abbraccio
RispondiEliminaDai! Il mondo è bello perché è vario.
RispondiEliminaCerto, Alchemilla, ci mancherebbe.
RispondiEliminaRitengo di aver sempre dato molto all'azienda per la quale lavoro e continuo e continuerò a farlo per una questione di etica e anche di rispetto per me stessa, anche se non ho ricevuto in proporzione a quanto ho dato.
RispondiEliminaCi sono sicuramente nei luoghi di lavoro scansafatiche e assenteisti di professione - e qui si aprirebbe un bel dibattito su sindacati che spesso li tutelano e dirigenti che lasciano apaticamente correre per motivi di opportunismo e clientele -, ma va detto che molte aziende hanno una gestione delle risorse umane molto "politically correct" sulla carta, ma in realtà sistemi premianti e avanzamenti di carriera non corrispondono, nella maggioranza dei casi a capacità professionali e impegno personale.
Non aggiungo altro perchè il Codice Etico aziendale me lo impedisce. Però avete presente la Sanità nel Lazio all'epoca di Storace,quando barellieri raccomandati con la terza media diventavano dirigenti? Senza arrivare necessariamente a questi eccessi, in molte aziende succedono cose poco trasparenti che alla fine si ripercuotono soprattutto sulle motivazioni lavorative dei migliori.
E io che cercavo di semplificare....
RispondiEliminaio certe volte penso che non capisco, ma poi penso anche che tanta gente è viziata. la maggior parte dei nostri lavori ha certamente qualche aspetto sgradevole (ma cosa nella vita non lo ha) ma si svolge in contesti confortevoli e di certo non terribili, chi il lavoro ce l'ha di solito ha anche una paga decente a meno che non sia qualche co co pro et similia che gli danno la metà di un dipendente, e ha tanti diritti.
RispondiEliminanon sono già queste le prime buone motivazioni? se non lo sono vuol dire che è tutto dovuto e scontato? allora certe persone dovrebbero guardarsi un po' intorno...
e poi c'è l'altro, che è un'altra motivazione, il cittadino per chi lavora nelle pa, il cliente per chi lavora nel privato.
Io sarò all'antica, ma non condivido quest'ottica che bisogna ricevere premi per essere motivati, già il fatto di avere il mio è un'ottima motivazione.
le motivazioni sono una cosa che si deve trovare dentro di sè.
e poi dai, noi non ci limeremo le unghie sulla scrivania
(metaforicamente parlando), ma siamo energiche e vive, non grigie e musoni. io non farei cambio, preferisco le mie corse, che gli altri mi dicano brava o no, è per me. lo stesso impegno che oggi metto in un progetto lo mettevo quando lavavo i piatti dei bambini degli asili, mi piace fare le cose meglio che posso punto, meglio se condivise con gli altri, secondo me ci si vive meglio.
Anch'io sono cosi', Liber. All'antica... :-)
RispondiEliminaAnche io sono d'accordo con Liber.
RispondiEliminaRispondo velocemente a Liber poi mi rimetto a lavorate:)).
RispondiEliminaCi mancherebbe altro che si dovessero attendere premi o promozioni per lavorare! Lo faccio con passione , come moltissimi nella mia o in altre aziende, ma - lo sottolineo - siamo in molti a farlo NONOSTANTE l'azienda...
La maggior parte degli ambienti di lavoro sono ormai solitamente confortevoli rispetto a microclima, illuminazione e postazioni ergonomiche (perchè la legge lo impone, lasciami ironizzare)ma è il clima psicologico che lentamente sta "spegnendo" molte persone nei luoghi di lavoro. E se i parametri fisici sono oggettivamente misurabili non altrettanto si può dire del disagio psichico che molte volte si avverte ma non si riesce a quantificare.