"Il capitalismo è entrato in un'era di distruttività radicale. Ci trascina in un vortice che dissolve le strutture della società, decompone lo Stato, cannibalizza gli strumenti della rappresentanza politica e della democrazia, desertifica il senso della vita."
Piero Bevilacqua, professore ordinario di Storia Contemporanea a La Sapienza di Roma, è stato ospite sia a Le Storie di Corrado Augias su Rai3, sia a Fahrenheit Radio3, dove ha presentato il suo ultimo libro: "Il grande saccheggio. L'età del capitalismo distruttivo"
La tesi portata avanti dallo storico è che il tracollo economico-finanziario del 2008-2009 non è una normale crisi ciclica destinata a passare, bensì il campanello di allarme di un meccanismo distruttivo già in atto negli anni Ottanta (anni del: "Lo Stato non è una soluzione. Lo Stato è il problema." di Ronald Reagan e del "Non esiste la società. Esistono solo gli individui." di Margareth Thatcher). Negli anni Ottanta e Novanta infatti, quando l'economia era fulgida, "il grande saccheggio", cioè la predazione tipica del capitalismo, la grande sottrazione di reddito dei ceti ricchi alla grande massa, era già in atto tant'è che il trend positivo non si accompagnava all'incremento dei posti di lavoro e questo doveva già destare allarme. I ceti bassi hanno visto scemare sempre di più il loro potere d'acquisto e in USA si sono indebitati sempre di più fino alla bancarotta del 2008.
Secondo Bevilacqua però è sbagliato puntare semplicemente "a tornare alla situazione di prima", ma bisognerebbe cogliere l'occasione per ripensare un modo di produrre e di concepire la vita economica e sociale che non ha più ragione d'essere, per rivedere stili di vita, sfruttamento delle risorse, distribuzione della ricchezza.
Anche solo il fatto che siamo sommersi di beni ad obsolescenza programmata, come quelli elettronici, la cui produzione richiede ingenti risorse minerarie (tantalio, terre rare e persino oro) sconquassando interi territori, e che poi creano altrettanti devastanti problemi di smaltimento.
Interessante su questo aspetto la citazione del Manifesto del Partito Comunista del 1848, dove Karl Marx si dimostra profetico nella sua analisi del funzionamento del capitalismo: "Ogni crisi distrugge regolarmente non solo una gran massa di prodotti, ma molte di quelle forze produttive che erano state create. Le condizioni del mondo borghese sono ormai diventate troppo anguste per contenere la ricchezza che esse stesse producono. Per quali vie riesce la borghesia a vincere la crisi? Per un verso col farsi imporre dalle circostanze la distruzione di una grande quantità delle forze produttive, per un altro verso con la conquista di nuovi mercati o con il più intenso sfruttamento di quelli esistenti."
Piero Bevilacqua se la prende anche con la classe politica che, dopo la caduta dei grandi partiti di massa, è stata sostituita con delle oligarchie dedite solo alla propria autoproduzione e completamente scollegate dalle masse popolari, dalla classe operaia, dai ceti medi, ecc.
"I dirigenti dei partiti si limitano a vendere prodotti del loro marketing elettorale, mentre le masse sono diventate un indistinto coacervo di clienti."
Soluzioni e proposte? Nell'ultimo capitolo del libro: necessità di controllo del ceto politico magari sfruttando la potenza tecnica di internet, recupero del concetto di beni comuni, incremento di attività cooperative basate sulla fiducia reciproca.
Ottimo post, ottima riflessione.
RispondiEliminaPenso anch'io che si dovranno imboccare strade nuove, indietro non si torna e avanzare sarà arduo e lento.
RispondiEliminaCristiana