Così mi sono scaricata tutte le puntate e le ho sentite in vacanza traendone alcune informazioni e spunti interessanti.
Alla domanda posta nella rubrica di cui al titolo, gli ascoltatori hanno cominciato a parlare di "donna scialba e incazzata con cartello intenta a manifestare". Invece a me la risposta che è piaciuta di più è stata quella di Chiara:
“E’ inevitabile non avere un riscontro di vecchie immagini e vecchi filmati quando si nomina il “femminismo”. Ricordo ancora i brividi che mi provocavano quando ancora ero bambina nel vederli, una sorta di consapevolezza latente su milioni di battaglie che anch’io avrei dovuto affrontare prima o poi nella vita.
Definire il femminismo non è certo un gioco semplice. Io è da una vita che cerco di capirci qualcosa. Su me stessa. Sulle altre. Sugli errori e sulle contraddizioni. Sugli estremismi.
Da piccola mi chiedevo come fosse possibile che una donna, una ragazza, una femmina non fosse “femminista”. Da piccola essere femminista voleva dire per me lottare per determinati diritti, per determinate opportunità, esistere a pieno in quanto donna. E mi pare assurdo che tutto ciò fosse rifiutato in primis da una donna, verso se stessa.
Crescendo ho iniziato a capire un po’ meglio questo mondo, e forse questa cultura.
Definirsi femminista spaventa, perché con “femminismo” rievochi una determinata cultura politica, non soltanto una questione di genere. Le femministe sono ancora, nell’immaginario collettivo, le streghe urlanti che giravano con i peli sotto le ascelle, lesbiche radicali che avrebbero ucciso piuttosto ucciso un uomo per l’amore delle proprie sorelle.
Il “femminismo”, come movimento, è stato tanto ed ha assunto molteplici forme, come poi era, a mio avviso, giusto che fosse. Quelle mie compagne di classe che si dicevano antifemministe, la pensavano così, era tutta una questione di sinistra. Il femminismo s’è sporcato degli errori di una generazione, ma secondo me ci voleva.
Ho cercato di approfondire più volte l’argomento nel corso della mia vita e neanch’io mi rispecchio in un certo radicalismo, ma ci voleva, in quel momento bisognava iniziare spaccando tutto.
Quando si parla di femminismo bisognerebbe però fare attenzione a non cadere in questa facile trappola rievocativa. Una donna è una donna, bisognerebbe scatenarla un attimo dal retroterra culturale di appartenenza, dalla fazione politica, dal colore, dalla religione. Il “femminismo” non è o non dovrebbe essere un semplice ramo della cultura di sinistra. Il “femminismo” dovrebbe riacquisire un valore originario, dovrebbe essere semplicemente, in primis, una questione di donne“.
Ha ragione Chiara: come fa una donna a dichiararsi "antifemminista"? E' come se un essere umano di dichiarasse "antiumano". Suona tanto di paura di non essere accettata. Le donne, tutte le donne anche le ricche occidentali istruite, devono sempre impegnarsi almeno il doppio degli uomini per ottenere la stessa cosa. Non parliamo poi se sono povere e se hanno la sfortuna di nascere in un paese povero. Che poi qualcuna appartenente a quella realtà multiforme che erano (e sono) i movimenti delle donne abbia detto o fatto qualche stupidaggine, ci sta. Vogliamo per questo negare la necessità di non abbassare la guardia sui diritti conquistati e continuamente messi in discussione, sugli stereotipi che rinascono tenacemente come le erbacce nel mio giardino, sulla finta libertà di disporre del proprio corpo vendendolo in cambio di soldi, carriera, favori, sul martellamento pubblicitario a base di poppe, cosce e culi pur di vendere qualsiasi cosa?
A proposito di quest'ultimo, sono assolutamente da seguire e sostenere quei blog come Donne Pensanti oppure anche l'ottimo
Un altro genere di comunicazione che non si stancano di denunciare allo I.A.P. le pubblicità sessiste e offensive.
Tornando alle dolci ragazze di
Frequenze di genere (non me ne vogliano di questo mio atteggiamento materno dato che avranno la metà dei miei anni), finalmente ho trovato qualcuna che la pensa come me
sulla bellezza:
"E' abbastanza inquietante pensare che i nostri gusti, anche i nostri gusti erotici, possano essere storicamente, culturalmente e socialmente determinati, frutto di mode o convenzioni, la cui origine a volte non conosciamo oppure ci siamo dimenticata. In particolare la questione della depilazione la collego ad un'idea di controllo sociale ovvero la depilazione, a mio parere, rappresenta una forma di repressione interiorizzata. Le maggiori guardiane di questo ordine, ovvero di essere perfettamente depilate, sono le donne stesse che sono le prime a guardare con orrore chi osa non estirpare la peluria. Le donne restano soggiogate da questo sentimento di vergogna e di inferiorità.
Penso che impossessarsi del proprio corpo significhi anche sottrarlo a meccanismi del genere, acquisendo anche la consapevolezza di quello che si è e accettandosi per come si è, anche se non è sempre facile. A corpi ritoccati, di plastica, labbra perfettamente lucide, preferisco una bellezza che si sleghi dai canoni che rappresentano un'omologazione, che cambiano in base alle mode e ai costumi, per riaffermare il diritto di ogni donna di essere bella com'è, con le proprie rughe, con qualche filo di capelli bianchi, con un po' di cellulite. Anche perché penso che gran parte della bellezza non sia qualcosa di esteriore ma sia legato soprattutto alla personalità."
Mi ha ricordato una discussione con le mie giovani compagne del campo di lavoro quando l'argomento era caduto sui vari metodi di depilazione. Ho provato a dire loro: "Ragazze, teniamo sempre presente che la necessità di depilarsi è solo una convenzione, che tra l'altro è mutata nella storia." Mi hanno guardato con aria interrogativa e hanno esclamato: "Sì, ma.... i peli... che schifo!!!"
Qui un bell'esempio di quello che io intendo come bellezza femminile non stereotipata
Qui la presentazione di Annamaria Testa su "Donne e pubblicità"