Di Gustavo Pietropolli Charmet mi è piaciuto molto
un libro che lessi qualche anno fa e che mi fece apprezzare il suo modo di psicoterapeuta, specializzato in adolescenti, di accostarsi ad essi con la curiosità di capire e senza la presunzione tipica dell'adulto che crede di sapere senza neanche aver chiesto agli interessati. Stesso approccio che ho ritrovato nel suo bellissimo intervento al festival
Dialoghi sull'uomo su "
Il rifiuto del corpo in adolescenza", talmente interessante che varrebbe la pena trascriverlo tutto.
In sintesi Pietropolli spiega che nella odierna società del narcisismo il modello educativo è profondamente cambiato. Dal modello della colpa e del castigo (che fortunatamente è stato abbandonato) siamo passati al modello della relazione, alla nuova rappresentazione del bambino come competente, unico e originale. Pertanto dobbiamo adeguarci a questa prospettiva e capire che sui banchi di scuola non siede più Edipo ma Narciso ed è con lui che dobbiamo fare i conti.
I ragazzi e le ragazze tra i 13 e i 16 anni oggi dovrebbero essere molto soddisfatti del processo di appropriazione della loro corporeità sessuata e generativa, cioè del corpo che capita loro in sorte in occasione della "seconda nascita", non più un corpo ipotecato dal sentimento di colpa, bensì un corpo del desiderio, del piacere, dell'agilità e della forza, un corpo "sociale" con il quale comunicano agli altri chi sono e del quale possono godere senza le paure del castigo che impegnavano gli adolescenti delle generazioni precedenti costretti a patteggiare il loro ingresso nella sessualità e nell'autonomia sociale. Infatti nella stragrande maggioranza dei ragazzi il processo di appropriazione e di "mentalizzazione" di questo nuovo corpo avviene abbastanza serenamente. Con qualche operazione di collaudo e di verifica e sempre in contatto 24 ore su 24 con quel laboratorio psico-socio-antropologico che è il gruppo dei coetanei, le femmine imparano le tecniche di seduzione e i maschi le tecniche di corteggiamento, e si arriva a quel processo di appropriazione e di ricostruzione di un'immagine corporea che piaccia veramente, che si sente propria, che traduca agli occhi dei coetanei e degli adulti quanto si è importanti ed interessanti.
C'è però una frangia di adolescenti che Pietropolli definisce "narcisisticamente fragili" per i quali questo processo diventa molto sofferto e pieno di ostacoli. Si tratta di quei ragazzini e ragazzine che già dalle elementari sono "adultizzati" e spinti dai genitori a valorizzare se stessi troppo precocemente. Il bambino non capisce bene chi è ma intuisce una cosa sicura: che è maschio o femmina ed è portato ad "avventarsi" sui suoi valori di riferimento della virilità e della femminilità ed indossarne, in modo patetico e caricaturale, i relativi abbigliamenti. Una pubertà psichica che precede quella biologica. In questo periodo i bambini possono interiorizzare dei modelli di virilità e di femminilità dalla sottocultura dei massmedia in modo che, quando il corpo puberale definitivo sopraggiunge, essi rimangano delusi da esso: troppo grasso, troppo magro, troppo piccolo, troppo peloso, senza peli, coi brufoli, troppe poche curve, ecc.
Al sentimento di colpa di un tempo, si sostituisce così un sentimento sociale più difficile da combattere: la vergogna. Ci si trova per le mani un corpo non mentalizzato, che non traduce la propria affettività profonda ma la tradisce, che diventa la fonte di esperienze vissute soggettivamente come umilianti e mortificanti. Un corpo però anche disponibile ad essere oggetto di tutti i tipi di fantasie negative, che può diventare il colpevole di tutti i propri insuccessi o la vittima di tutti i propri eccessi e può essere oggetto di un giudizio dettato dai crudeli ideali della cultura massmediale (magrezza, scultura greca, corpo affascinante in grado di conquistare lo sguardo).
L'adolescente ha bisogno dello sguardo dell'altro e se si sente umiliato cerca di "sparire" mettendosi a ruminare un progetto vendicativo che lo riscatti
.Da qui nascono i tentativi di "abbellire" il corpo con comportamenti antiistintuali inseguendone la magrezza o scolpendolo in palestra, i travestimenti, l'uso di droghe prestazionali per vincere le sue debolezze. Oppure la necessità, di fronte alle umiliazioni, di "sparire", lasciare "la passerella della scuola" e chiudersi in camera, in una realtà virtuale dove si è sfrontati perché finalmente
senza quel corpo che non è "il nostro" ma che si è costretti a portare in giro come un peso.
Gli adulti sono spaventati e vivono questi comportamenti come "contro" di loro ma, secondo lo psicoterapeuta, non è così. Narciso non ha nessun "padre guerriero" da abbattere come aveva Edipo ("il padre gira per casa disarmato", dice Pietropolli). Gli interlocutori di Narciso, quelli a cui deve dimostrare di aver conquistato un IO interessante e affascinante, sono i coetanei.
E allora che fare? Secondo Gustavo Pietropolli Charmet cercare di capire queste nuove esigenze, negoziare e contrattare con le nuove istanze, recuperare l'alleanza educativa scuola-famiglia. I castighi non servono più perché questi ragazzi non hanno più paura di essi. Bisogna forse far capire loro che la scuola è al servizio del loro processo di soggettivazione, ha lo scopo proprio di costruire persone felici perché in possesso di una cultura, di una competenza che non li garantisce contro la disoccupazione ma può fornire uno sviluppo del sé che li renderà molto più contenti. Far intravedere a Narciso che la scuola è uno specchio, uno strumento al servizio del sé, che non si vuole domarlo ma abbellirlo dall'interno.
D'altro canto bisogna combattere altri adulti che sono in giro come quelli che vengono fuori dallo schermo televisivo e che sono spacciatori di illusioni. Sono loro i nostri principali avversari in questo delicato processo che, come dice Renato Zero in una vecchia canzone, "
un evento poi non è" ma ti può davvero cambiare la vita.