"Per fare un pomodoro ci vogliono 214 litri d'acqua. Un chilo di cioccolato ne vale 17196. Per un chilo di carne bovina, invece, si consumano 15415 litri che su per giù sono quelli che consuma un europeo per lavarsi in un anno. Un chilo di pasta 1849 litri. Un bicchiere di vino 109 litri. Una tazza di caffè sono 132 litri d’acqua. E per produrre un litro di latte, ce ne vogliono 1020."
Comincia così il bel servizio di Piero Riccardi per Report RAI3, rivedibile qui. Come è possibile tirare fuori queste cifre? Lo spiega il ricercatore olandese Arjen Hoekstra:
"Se tu allevi animali questi avranno bisogno di cibo, e il cibo ha bisogno di essere coltivato e coltivarlo richiede acqua. Quindi, gran parte dell’acqua che serve per allevare un animale non è quella usata per farlo bere, ma quella per nutrirlo.
Se vuoi conoscere l’impronta idrica di un prodotto finale, ciò che acquistiamo in un negozio, dovrai prendere in considerazione tutta la sua catena produttiva: ad ogni fase della catena c’è un certo uso di acqua. Attualmente il livello delle acque di falda declina, il livello dei laghi decresce e i fiumi sono svuotati prima che raggiungano il mare, e i livelli di qualità dell’acqua sono violati. Ci sono molti posti nel mondo in cui i livelli di sfruttamento idrico non sono sostenibili. In tutti questi posti l’impronta idrica dell’umanità ha superato i limiti."
Allora uno pensa come salvaguardare questo bene prezioso che sempra inesauribile ed invece non lo è. Così passa a stare attento a chiudere il rubinetto mentre si lava i denti, a mettere dei riduttori di flusso ai rubinetti, a raccogliere l'acqua del lavaggio delle verdure per innaffiare le piante oppure per il water. Tutte cose sacrosante. Tuttavia il ricercatore olandese precisa:
"La maggior parte dell’acqua è usata per produrre cibo: l’acqua che usiamo a casa rappresenta una parte molto piccola della nostra impronta idrica complessiva: parliamo soltanto dell’uno, due, tre per cento. Il dieci per cento dell’impronta idrica è legata all’acqua usata per i prodotti industriali e circa il novanta per cento dell’impronta idrica totale di un individuo è usata per produrre il cibo che questo consuma."
Trovo che le puntate di Report sui problemi ambientali siano le migliori anche sa fanno male. Venire a conoscenza di casi di inquinamento pesante, diffuso e di durata decennale come quello della valle del Sacco (Frosinone) o del fiume Pescara (il più lungo dell'Abruzzo) fanno male, almeno a me fanno molto male. Mi si dirà: che te ne importa se non ci andrai mai nella valle del Sacco o a Chieti? Eppure mi addolora pensare che la natura, che pure sarebbe così capace di autopurificarsi, è irrimediabilmente contaminata.
L'idrobiologa Diana Galassi dell'Università del L'Aquila spiega infatti:
"La funzionalità di servizi ecosistemici resi da un fiume o un lago sono una condizione essenziale per l’autodepurazione di questo ecosistema e la tutela della biodiversità, di cui noi siamo parte. Con al perdita di questa funzionalità abbiamo iniziato ad autoestinguerci."
E le bonifiche? Mi sono sempre chiesta come funzionano. Purtroppo, essendo costosissime, alla fine non vengono fatte né da chi ha inquinato (i proprietari della fabbrica di Lindano a Colleferro e la Montedison-Solvay per il fiume Pescara) né dal pubblico che non ha soldi. Tuttavia piange il cuore nell'apprendere che in alcuni casi forse è quasi impossibile bonificare come spiega Giovanni Damiani dell'Università della Tuscia:
" Io posso agire molto meglio su una discarica, su un punto dove l’inquinamento è concentrato, posso fare molto di meno quando l’inquinamento si è diffuso su scala di migliaia di chilometri quadrati oppure nei mari."
"Come si fa a riportare indietro nel tempo un fiume, a prima che i suoi settanta chilometri di sedimenti fossero contaminati da beta esaclorocicloesano?" dice Piero Riccardi a proposito della valle del Sacco. "Forse bisognerebbe asportare tutto il suo letto e i suoi argini, poi aspettare qualche milione di anni che l’evoluzione faccia il suo corso per rigenerare quell’equilibrio tra insetti, piante, pesci, che una volta appartenevano a quel fiume e a nessun altro."
E tanto per tirarsi su, Pietro Paris dell'I.S.P.R.A. ci dice che in ogni paese agricolo che ha degli strumenti di controllo di monitoraggio sulle acque risulta una contaminazione abbastanza diffusa (da erbicidi come Quinclorac, Terbutilazina, Glifosate, funghicidi come Procimidone e persino da Atrazina, sostanza fuori commercio da due decenni).
Nel Po sono stati anche rilevati sbiancanti dei detersivi, profumi, filtri ultravioletti delle creme solari, conservanti dei cibi, disinfettanti, l’antibiotico e l’antidolorifico che prendiamo quando stiamo male. "Tutto ciò che produciamo e consumiamo prima o poi avrà un lago, un fiume o una falda profonda come destino finale" dice Piero Riccardi.
Ogni anno si consumano su per giù 140 mila tonnellate di pesticidi e 4,4 milioni di tonnellate di fertilizzanti, che, prima o poi, finiscono in qualche fiume, in un lago, nelle falde.
Dal rapporto dell’ISPRA sui pesticidi nelle acque risulta che metà di quelle superficiali , fiumi e laghi (47,9%), e una su tre di quelle sotterranee (28,9% del totale) sono contaminate da pesticidi.
Fa bene Milena Gabanelli a raccomandare di non lavare e disinfettare le nostre case come fossero degli ospedali, perché facendo così contribuiamo a sporcare "il fuori". Di fronte a certe devastazioni, però, mi sento anche un po' ridicola con la mia "teoria dell'olio di gomito".
Altre puntate di Report su temi ambientali che mi sono piaciute:
Il giusto prezzo del cibo
Consumare territorio
Land grabbing
Mi chiedo quali siano le alternative proposte. OK: per produrre il cibo utilizziamo troppa acqua e sporchiamo l'ambiente. Come si può evitare tutto ciò?
RispondiEliminaPer prima cosa le imprese che hanno inquinato per anni senza scrupoli devono pagare le bonifiche e ciò purtroppo non succede mai.
EliminaRiguardo al cibo, a mio parere, un uso moderato di carne fa bene a noi e all'ambiente (senza necessariamente diventare vegetariani). Poi bisognerebbe limitare l'uso di pesticidi e incentivare l'agricoltura biologica.
Il problema comunque non è di facile soluzione.