domenica 26 maggio 2013

I partiti nella Resistenza e la capacità di autogovernarsi


Terza e ultima lezione del corso di storia contemporanea organizzato dall'ANPI e tenuto da docenti dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana. Simone Neri Serneri, direttore dell'I.S.R.T., ci ha parlato soprattutto del ruolo dei partiti politici nella Resistenza e anche nell'immediato dopo guerra. Un aspetto veramente interessante anche perché ne sapevo molto poco.
Per prima cosa non bisogna pensare ai partiti politici come sono oggi con la loro sperimentata organizzazione. All'epoca essi erano ancora più che altro reti nazionali con un certo orientamento programmatico (soprattutto i comunisti). Il loro ruolo non era affatto scontato come oggi possiamo pensare. Difatti nell'Italia pre-fascista i partiti avevano un peso marginale e in parlamento contavano molto di più i notabili liberali (visto anche il ristretto suffragio). Queste organizzazioni relativamente nuove erano quindi in cerca di legittimazione e riconoscimento.
In Italia da subito i più importanti partiti politici (ad eccezione dei Repubblicani e degli Anarchici) aderirono alla Resistenza e la maggior pare di loro vi parteciparono attivamente. Lo strumento con cui i partiti "governavano" la Resistenza e preparavano l'Italia futura era il Comitato di Liberazione Nazionale che si basava, a tutti i livelli, su due principi: la pariteticità (un rappresentante per ognuno dei cinque partiti, sei al Sud) e l'unanimità (tutte le decisioni venivano prese a maggioranza trovando sempre un punto di mediazione). In questi organismi (vi era un CLN per ogni città, paese, quartiere e persino azienda) si discuteva, anche animatamente, per fermarsi appena prima del punto di rottura perché rompere non era utile per nessuno. Fu proprio questa formula di pariteticità e unanimità del CLN, questo mostrare l'antifascismo unito, questo risolvere i contrasti all'interno, che lo rendeva un organismo proprio che andava al di là della somma dei singoli partiti e che lo legittimava agli occhi degli Alleati (che gli riconobbero potere) e nel rapporto con la monarchia, che fu costretta ad accettarlo come interlocutore. 
Questa cosa mi ha colpito molto pensando ad oggi in cui non si riesce a mettersi d'accordo su nulla, in cui nessuno rinuncia nemmeno ad un briciolo di potere per ottenere qualcosa di interesse generale. Sto sempre più pensando che quegli anni terribili furono davvero una parentesi "felice" dal punto di vista civile. Non è un caso che, in un paese estremamente diviso come l’Italia, quell'eccellente punto di mediazione che è la nostra Costituzione fu approvata a larghissima maggioranza. In seguito il CLN esaurì la sua funzione, vennero le elezioni del 1948 ed allora probabilmente si ritenne che tutte le divisioni sociali e politiche potevano esplodere.

Molto interessante anche un articolo proposto nella parte di laboratorio scritto per "La Nazione del Popolo" da Carlo Ludovico Ragghianti dal titolo "Rieducarsi all’autogoverno". In questo testo si esprime l’esigenza di reimparare, dopo vent’anni di dittatura, la pratica della discussione, la responsabilità di governo, la capacità di mediazione e di ascolto, insomma a sapersi autogovernare a tutti i livelli. Ragghianti auspica una riforma del costume e della mentalità riassunta nella parola d’ordine “meritarsi la libertà” (cioè non aspettarsi che qualcuno ce la conceda). Temo che ad oggi la lezione non sia ancora acquisita.

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