domenica 19 maggio 2013

La resistenza civile, i compromessi bipartisan ed il frate prefetto

Seconda lezione del corso organizzato dall'ANPI e tenuto da docenti dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
Nella prima parte Francesca Cavarocchi ci ha parlato della renitenza, della resistenza civile e delle stragi di civili. Secondo la storica il fenomeno del reclutamento da parte della Repubblica Sociale Italiana, sia per le formazioni militari che per i lavori, ha portato milioni di uomini in quel periodo a dover fare una scelta, istintiva o consapevole che fosse. Si formò così un brodo di coltura per una rapida politicizzazione, anche se non tutti i renitenti combatterono poi per la Resistenza, oppure vi combatterono ad intermittenza. Un fenomeno di massa dunque quello della renitenza che rese quei mesi unici nella storia italiana e aprì potenzialità che nel successivo periodo repubblicano furono chiuse.
Silvano Priori, nella parte successiva della lezione, ha ripercorso e smontato storicamente alcuni concetti che vanno molto di moda in questi ultimi anni: memoria condivisa, pacificazione, buona fede degli aderenti all'RSI. Priori ha sottolineato che la storia si fa con memorie contrapposte, come avvenuto per la guerra civile americana, per quella spagnola o per la Francia di Vichy, che la Repubblica sì è già fatta carico della pacificazione con l'aministìa di Togliatti e che, riguardo ai "ragazzi di Salò", va sempre fatta distinzione tra chi fece una scelta per la libertà e la democrazia (con tutti i distinguo necessari) e chi per un regime totalitario e razzista. Le memorie non sono equivalenti.
Interessante anche la sua critica alla scelta del 27 gennaio per la Giornata della Memoria e del 10 febbraio per quella del Ricordo (senza nulla togliere all'importanza del recupero di quegli eventi). Silvano Priori trova comoda la scelta del giorno di abbattimento del cancello di Auschwitz, un luogo lontano, e vi contrappone per esempio, per ricordare la persecuzione degli Ebrei,  il 16 ottobre 1943 data della deportazione dal ghetto di Roma che avrebbe rimarcato di più le responsabilità italiane. E così contesta la scelta del 10 febbraio 1947, data della ratifica del trattato di pace, che ha veicolato nell’opinione pubblica l’idea neofascista secondo la quale l’Italia è stata punita da quel trattato, dimenticando così le pesanti responsabilità del nostro paese sulla guerra. Gli Alleati infatti non ci consideravano vittime ma responsabili della guerra in quanto l’Italia fascista nel 1941 aveva attaccato e invaso la Jugoslavia, paese che non minacciava “i sacri confini della patria”, innescando così quelle persecuzioni degli Sloveni e dei Croati, che non giustificano certo le violenze successive, ma ne sono comunque la causa.
Il problema, afferma giustamente Priori, è che oggi sono venute meno le forze politiche, dai liberali ai comunisti, che si rivedevano nella Resistenza come valore fondativo della Repubblica e che nessuno negli anni Cinquanta avrebbe messo in discussione. L’antifascimo come elemento di riferimento è in crisi.
La lezione si è chiusa con la lettura di un documento che colpisce per la sua attualità. Si tratta del cartello che il neoprefetto di Massa Carrara, Pietro Del Giudice, frate domenicano e partigiano, affisse subito dopo la sua nomina alla porta del suo ufficio.

IL PREFETTO COMUNICA: 

Non faccio raccomandazioni di sorta. 
Le raccomandazioni sono espressione della immoralità fascista. 

L'occupazione dei singoli non mi compete. 
Ho il dovere invece di procurare lavoro per tutti e ogni mia energia deve tendere a questo fine. 

L’assistenza dei singoli non mi compete. 
Ho il dovere invece di promuovere che vengano assistiti tutti i bisognosi attraverso gli Uffici competenti, che è mia intenzione e mio dovere potenziare al massimo. Gli Enti Comunali di assistenza e le varie Commissioni Provinciali debbono assolvere tale compito. Io ricevo unicamente coloro che desiderano collaborare ad una migliore organizzazione dell’Assistenza Sociale. 

Gli organismi della Giustizia sono al di sopra di noi tutti. A nessuno è lecito, neanche al Prefetto, interferire nell'opera della Giustizia. Intendo difendere la libertà della Magistratura e degli organi di Polizia con ogni mezzo a disposizione. 

Come Prefetto non ho né amici né parenti - ricevo con riconoscenza consigli e critiche fattive. Nessuno ha il diritto di farmi perdere del tempo.

 Massa, 15 aprile 1945

1 commento:

  1. Molto belle ed interessante questa lezione di storia, quanto è labile la memoria di questo Paese!

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