Tutte le volte che sento parlare Nicola Gratteri è come se la mia motivazione civica prendesse un ricostituente, come ho già scritto qui e qui. Di recente il magistrato è stato ospite sia a Pane Quotidiano (l'ottima trasmissione di RAI3 condotta da Concita De Gregorio), sia a Fahrenheit Radio 3, per presentare il suo ultimo libro Acqua santissima, sul rapporto tra criminalità organizzata e Chiesa.
Nelle interviste Gratteri parla di religiosi collusi e di altri che al contrario si oppongono con coraggio alle mafie, della proposta di legge messa a punto insieme ad un altro grande magistrato, Raffaele Cantone, per rendere più efficace la lotta contro le mafie, del ruolo delle donne di ndrangheta, della fiducia nel nuovo Papa e di altro.
Ma quello che mi colpisce di più è quando parla di se stesso, della sua vita sotto scorta ventiquattro ore al giorno da ventiquattro anni, della sua famiglia, della sua scelta di fare questo mestiere. Si avverte in lui l'orgoglio delle umili origini e la riconoscenza verso i genitori (famiglia numerosa, il padre aveva la quinta elementare e la madre solo la terza) che gli hanno permesso di studiare.
Alla consueta domanda dei ragazzi in studio "rifarebbe questa vita?", Nicola Gratteri non ha dubbi. "Decisi di diventare magistrato quando vidi i figli degli ndranghetisti dettar legge davanti alla scuola media. Mentre andavo a scuola, da ragazzino, ho visto per strada i morti ammazzati e ho pensato che dovevo fare qualcosa da grande per cambiare quella situazione. Molti miei vecchi compagni di scuola o sono stati uccisi o sono diventati miei "clienti", cioè oggetto delle mie indagini. Mi è capitato di dover interrogare un mio ex compagno di scuola arrestato in possesso di 800 chili di cocaina davanti alle coste di Miami."
"Non esco quasi mai con i miei figli. Quest'anno non ho mai fatto un bagno in mare che pure dista solo otto chilometri da casa mia. Ma rifarei tutto. L'importante è credere in quello che si fa, nei valori che si riesce a trasmettere. Non avete idea di cosa vuol dire quando viene da voi un usurato, una vittima di estorsione che, piangendo, mette la sua vita nelle vostre mani. Ho avuto proposte di incarichi anche molto importanti a Roma, avrei potuto trasferirmi e fare il magistrato in posti tranquilli, ma preferisco rimanere in Calabria. Mi sentirei un vigliacco a tirarmi indietro."
"Mentre parlo mi rendo perfettamente conto di dire delle cose che
mi danneggiano, ma l'importante è continuare ad avere la libertà di
poter dire quello che si pensa. Il mio è uno dei pochissimi lavori dove,
se si vuole, si è veramente liberi. Esso permette di vedere concretamente la possibilità di tutelare la collettività."
"La convenienza non c'entra. Prima dei sacrifici viene l'anima della persona. Bisogna credere in quello che si fa."
Fare qualcosa per la collettività: principio quanto mai obsoleto in un paese sul quale, per dirla con lo storico Guido Crainz (altro mio punto di riferimento), grava, oltre al macigno del debito, anche il macigno etico. Un paese cioè che si è abituato, sin dagli anni Ottanta, a non essere responsabile, a vivere al di sopra delle proprie responsabilità.
Ecco quindi perché quelli come Nicola Gratteri mi fanno sentire meno sola e meno stupida quando mi preoccupo di fare meglio che posso, pur con i miei limiti e le mie involontarie incoerenze, il mio dovere di impiegata pubblica e di cittadina, regalando magari anche un po' di tempo e di energie in piccole gratuite attività di volontariato per la collettività.