Quando ho fatto il campo antimafia nella piana tra Catania e Siracusa non ci hanno portato al quartiere Librino ma ce lo hanno semplicemente indicato dalla tangenziale. Peccato. Mi sarebbe piaciuto. Ho visto però diversi reportage su questo quartiere nato dal nulla in un'ex area rurale e che oggi pare conti 70.000 abitanti. Un quartiere abbandonato nelle mani della mafia.
Circa dieci giorni fa il giovane giornalista Luciano Bruno stava facendo delle foto al cosiddetto "palazzo di cemento", un edificio abbandonato al degrado, quando è stato aggredito e pestato da sei persone subendo anche minacce indirizzate ai suoi familiari.
Per capire cos'è il palazzo di cemento basta vedere questo video:
Luciano Bruno, nato e cresciuto a Librino, ha cercato in questi anni di raccontare il suo quartiere e soprattutto la vita dei giovani come lui.
Purtroppo, a me, sembrano battaglie perse, oltre che rischiose.
RispondiEliminaCristiana
Cristiana, la tua arrendevolezza mi addolora.
EliminaNoi che abbiamo avuto semplicemente la fortuna di nascere al Nord possiamo fare ben poco, però quel poco lo possiamo e lo dobbiamo fare: divulgare la notizia che ci sono giovani del Sud che dicono NO alla prepotenza della criminalità organizzata (vedi la rivista I Siciliani Giovani per esempio) e far sentire loro che non sono soli:
http://www.isiciliani.it/
Progettato per essere un quartiere modello da un architstar giapponese e come una sorta di città ideale, Librino è divenuto l'archetipo illustrativo del nulla, una sorta di buco nero delle coscienze, terra di nessuno cui nessuno più importa. E' come se si fosse scientemente deciso di lasciare che 70.000 cittadini italiani possano continuare a galleggiare in un limbo, una sorta di riserva indiana definitiva. Esprimo la mia assoluta ed incondizionata solidarietà a Luciano Bruno, è e, da siciliano, mi sento orgoglioso - tanto più vivendo così lontano dalla mia isola - di sapere che vi sono miei concittadini che non ci stanno. Grazie per questo tuo post così intenso e sentito.
RispondiEliminaGrazie a te, Giò
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