Una riflessione che mi è venuta l'altro giorno tornando da lezione di canto. Per il fine settimana dovevo imparare un pezzo difficile. Con la sensazione che non sarei mai riuscita a "digerirlo", mi sono messa alla tastiera e faticosamente (con grande tedio dei miei familiari) sono riuscita a riprodurre al melodia. Mi sembrava comunque di essere molto lontana dal saperlo riprodurre anche con la voce ed invece la maestra mi ha detto che andava bene. Sono uscita da lezione con quella sensazione di gioia infantile che si ha quando si raggiunge un traguardo dopo uno sforzo. Allora mi sono chiesta: che valore hanno oggi l'impegno, l'applicazione, la costanza volti a raggiungere un risultato?
Ho paura che ci sia purtroppo la tendenza a non impegnarsi se non si è sicuri di avere tutto subito con poco sforzo oppure a scoraggiarsi se i risultati non arrivano presto.
Anche tra i ragazzi c'è questa tendenza di precipitarsi a dire: "Non mi riesce!" salvo poi scoprire che bastava un po' di costanza e anche di pazienza per riuscire. Temo che spesso il vero motivo è che ci fa fatica impegnarci oppure che abbiamo paura del fallimento.
Il mio istruttore in palestra di fronte ad un rifiuto nel provare un esercizio nuovo, dice sempre: "Quando qualcuno mi dice <Non mi riesce>, al 95% vuol dire che non ci vuole provare".
E' vero che non sempre ad un adeguato impegno corrispondono adeguati risultati, però secondo me bisogna sempre provarci, mettersi in gioco, cimentarsi.
Be', forse sarò capatosta, ma le difficoltà mi stimolano, le sfide mi piacciono. Altrimenti mi annoio!
io amo le sfide con me stessa
RispondiEliminainvece non entro mai in competizione con gli altri, se vogliono collaborare benissimo altrimenti li lascio alle loro manie di protagonismo
in questi casi purtroppo però non si può fare nulla !!!
Cara Artemisia la questione è delicata, anzi direi complessa.
RispondiEliminaPer come la vedo io la situazione è soprattutto frutto dell'educazione ricevuta in età infantile, credo fin da quuando i bambini iniziano ad avere desideri che se vengono sempre assecondati portano a "squilibri", chiamiamoli così, del comportamento. Credo però che più di qualcuno non sarà d'accordo con me...
Siamo entrati nell'era dell'accesso. Ultima evoluzione del consumismo (edonista). Tendere la mano a qualcosa deve corrispondere ad ottenerlo, altrimenti ne va addirittura del valore che attribuiamo al nostro obiettivo. Se non è immediatamente fruibile non ne vale la pena. A mio parere uno dei danni portati da questo atteggiamento che via via si collettivizza è la perdita del concetto di sacralità. Vi sono cose, nella vita, che si possono apprezzare unicamente se risultano dall'impegno e dal sacrificio profuso per ottenerle. Private del percorso, dello sforzo a volte durissimo, tali traguardi perdono molto del loro valore, del loro sapore, della loro sacralità.
RispondiEliminaGli scritti del tuo concittadino, Dante Alighieri, è certo una lettura che richiede impegno e dedizione, ma è giusto che sia così. E' giusto che certi tesori della vita siano duri a raggiungersi, perché così mantengono quella sacralità che ne misura l'immenso valore.
Franz (quimilanolibera)
Anche a me piacciono le sfide, Giulia
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