sabato 19 settembre 2009

Non si è mai preparati ad essere genitori

Tempo fa ho sentito a Fahrenheit un'intervista a Carola Susani ed Elena Stancanelli, due scrittrici che hanno pubblicato insieme un libro dal titolo "Mamma o non mamma?", una serie di lettere a partire da due condizioni di vita fortemente scelte e fortemente difese: essere o non essere madre. La Susani, incinta della seconda figlia, racconta nel libro le sue ansie e le sue paure, ma anche le cose luminose che ci sono, il binomio appagante femminilità/maternità, mentre la Stancanelli difende la sua resistenza alla figura genitoriale. L'argomento mi ha attratto subito per i noti motivi personali che ho raccontato sin dall'inizio di questo blog: la fatica psicologica che la maternità mi ha sempre comportato con il suo corollario di ansia da prestazione e di frustrazione.
In realtà non mi è piaciuto granchè come le due scrittrici hanno affrontato l'argomento. Alcune affermazioni mi sono parse condivisibili, tipo che è difficile smettere di "essere figli" senza essere genitori, che al tempo stesso c'è qualcosa di "mediocre e tranquillizzante" in questa esperienza, e come, con la nascita di un figlio, anche le persone più inquiete si sentono "sistemate nel loro posto nella catena mondo". Non mi è piaciuto per niente invece quando le due scrittrici hanno paragonato il nostro modo di essere fare figli, sempre più tardi, con consapevolezza, accompagnandoli nella loro strada, con quello più barbaro e casuale di un ragazzo brasiliano che non si ricorda più quanti figli ha o quello delle ragazzine inglesi che in una classe hanno fatto a gara a farsi mettere incinte dallo stesso ragazzo. "Apparentemente sembra un abominio ma io la trovo una meraviglia", dice la Stancanelli. Io, francamente, lo trovo un abominio e basta.
Mi è parsa invece più stimolante un'intervista su ArcoirisTV al prof. Antonio Di Ciaccia, psicoterapeuta, sul disagio minorile e sulle "colpe" dei genitori nell'allevare i figli.
Dice il professore:
"Si crede che l'amore sia dare un qualcosa al proprio figlio. La formula migliore dell'amore è invece che il genitore riconosca il proprio figlio, lo riconosca nei suoi desideri e anche nei suoi errori. E' importante che un genitore dica 'Non ti capisco ma riconosco che stai cercando qualcosa' piuttosto che 'Questa è la soluzione. Devi fare così'." Nella sua esperienza di psicanalista, Di Ciaccia ha rilevato che gli adolescenti non si lamentano tanto di mancanza d'amore quanto di mancanza d'aria. Riconoscono che i genitori li amano, ma sentono questo amore come qualcosa che li blocca, come un cuscino sulla bocca che non fa respirare. Di Ciaccia dice che questo amore è ambiguo, più che amore è una richiesta fatta ad un figlio perché corrisponda a quello che ci si aspetta da lui, è un amare noi stessi nei figli. Bisognerebbe invece imparare ad amare i figli per quello che sono e, soprattutto, per quello che non sono.
Dai figli seminati in modo animalesco dal ragazzo brasiliano ai figli soffocati ci sarà pure una via di mezzo. Di certo non è facile trovarla anche perché non si è mai preparati ad essere genitori. Anzi, coloro che pensano di essere preparati possono essere molto pericolosi.

6 commenti:

  1. Bello questo tuo post. Dici cose IMHO molto giuste, a cui però io aggiungerei una cosa: non si deve mai essere genitori allo stesso modo. Si deve adattare il proprio modo di essere genitore a seconda del figlio. C'è il figlio che ha bisogno del genitore 'impositivo', c'è il figlio che invece ha bisogno del genitore 'persuasivo'. Il tutto complicato dal fatto che nel tempo i figli crescono, cambiano, e l'atteggiamento che ieri andava bene, non è detto che vada bene oggi, ed è sicuro che non andrà bene domani.

    Il guaio è che quando nasce un figlio non ci danno il libretto di istruzioni, e quando pensiamo di averlo trovato, è quello di un modello diverso da quello che ci hanno consegnato ;-)

    Pace e benedizione
    Julo d.

    RispondiElimina
  2. Difficile tema!
    Parto da un principio: nemo transferre potest plerumque habet, nessuno può dare di più di quello che ha. Se non ho amore, non posso trasmettere amore ai figli, se non ho educazione non posso trasmettere educazione, e via dicendo. Alla fine bisogna prima educare i genitori, poi, i figli.
    Buona domenica.

    Rino.

    RispondiElimina
  3. Sono d'accordissimo con Rino. Ne stavo giusto parlando ieri con una collega di lavoro. Si parlava della serie di corsi che organizzano soprattutto nel periodo invernale inerenti alle problematiche dei figli durante tutte le varie fasi della crescita e si diceva che dovrebbero prima proporre dei corsi in cui si capiscano le nostre problematiche di genitori rispetto a noi stessi per poi dare il meglio a loro.
    Un caro saluto
    Dona

    RispondiElimina
  4. è la cosa più difficile: essere gemitori...l'impoerante è lasciare da parte i dogmi e seguire il cuore...almeno è quello che faccio io...che tento di fare.
    felice di essere qui

    RispondiElimina
  5. Non ti preoccupare, Francesca. Benvenuta.
    Io seguo un po' il cuore e un po' il cervello e faccio comunque un gran casino. :-)

    Si, Rino, ma chi li educa i genitori? Insomma si va a braccio non avendo, come scrive Julo, il libretto di istruzioni.
    Non mi dispiacerebbe partecipare a corsi tipo quelli a cui accenna Dona.

    RispondiElimina