lunedì 6 dicembre 2010

Gli esseri umani non sono semplici

C'è stato un periodo nella mia vita in cui ho provato un grande interesse per la psicanalisi, tanto che ho accarezzato l'idea di iscrivermi a Psicologia. I complicati e misteriosi meccanismi della mente umana hanno sempre avuto per me un grande fascino, di gran lunga superiore alla comprensione dell'universo o della materia. Con gli anni ho ridimensionato le potenzialità della psicanalisi, anche a causa degli approcci e dei metodi così bizzarramente diversi praticati dagli addetti ai lavori. Rimane comunque una professione affascinante (penso al nostro blogger Giorgio e a quello che ci racconta).
Nello stesso modo ho trovato interessante l'intervista allo psicanalista Stefano Bolognini, autore di un piccolo libro dal titolo accattivante: "Lo Zen e l'arte di non sapere cosa dire".
Bolognini, con la sua bella voce calda, racconta a Fahrenheit Radio 3 che, durante il suo lavoro, "i canali comunicativi profondi che si instaurano tra persona e persona, e che vanno al di là di quello che controlliamo coscientemente, si aprono un po' alla volta e la possibilità di essere in contatto con se stessi e con l'altro cresce di ora in ora". Curiosamente succede che, quando termina la giornata di lavoro e ci si ritrova nel trambusto della vita cittadina, nei microincontri, sguardo con sguardo, con interlocutori occasionali mai conosciuti, ci siano dei momenti di contatto addirittura imbarazzanti come se si sorpassassero delle barriere di chiusura personale.
Devo dire che non tutto quello che ho sentito da Bolognini mi ha trovato concorde, però mi ha colpita il suo modo di trattare temi come le barriere, i sentimenti non ammessi, le contraddizioni.
"Negli individui", afferma lo psicanalista, "ci sono sempre delle vaste aree in cui le aspettative sono quelle di avere un trattamento di favore, un trattamento come quello che avremmo ricevuto dai nostri genitori. Come se dentro di noi ci fosse una parte cittadino e una parte figlio. Ma queste aspettative non sono ammesse consciamente dalla persona nella propria immagine di sè. Ci dichiariamo tutti correttissimi, internazionalissimi, democraticissimi, ma non è vero."
Altro elemento difficilmente accettato è il fatto di avere vincoli, legami e limiti. Mentre al tempo di Freud il problema era guadagnare l'indipendenza e liberarsi dall'oppressione del SuperIo (cioè una coscienza morale interna troppo forte), oggi, nella nostra società individualista, si tende a negare la necessaria interdipendenza tra esseri umani (vedi la tipica affermazione narcisistica "non mi sono mai piegato a compromessi") e si tende a dimenticare che il convivere sociale non è un compito semplice, ma richiede pazienza e impegno.

23 commenti:

  1. Com'è piccolo il mondo, e quello che non poté Facebook poté Artemisia.
    Stefano Bolognini - e non ho dubbi che sia proprio lui, anche se sono passati decenni- è stato mio compagno di classe per tutto il liceo, nel registro di classe proprio prima di me.
    Fin da allora Stefano voleva fare lo psicanalista. Ricordo che una mattina ci raccontò di una sua esperienza notturna, con apparizione di fantasmi che gli scuotevano il letto. Vedo con piacere che è arrivato dove voleva arrivare. E bravo Stefano.

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  2. Simpatica questa cosa che mi scrivi, Maurice! Mi stuzzica la curiosita' di chiederti: era un po' "marpione" anche al liceo il Bolognini? Ascoltandolo mi sono fatta questa idea ;-)

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  3. Molto interessante (come al solito)) questo tuo post.
    Anch'io sono sempre stata attratta dalla psicologia, ma penso che a volte generalizzi troppo.
    Cristiana

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  4. Tutte le persone che si occupano di psicologia e psicanalisi che ho conosciuto mi sembrano dei gran cialtroni. Soprattutto perche' non considerano la loro professione una scienza ma pretendono di elevarla a tale. Cioe', quando riscontrano un collegamento tra un effetto e un evento pregresso, tendono a considerare quell'evento la causa scatenante di quell'effetto. Questo fa in modo che lo psicanalista cerchi di categorizzare ed etichettare il paziente, e nel processo sfugge la molteplicita' delle condizioni che producono l'effetto. La professione si presta a questo giochetto, perche' in genere "un matto crede di essere sano", e quindi la sua negazione ad essere matto non fa che confermare la patologia.
    Ma la caratteristica peggiore dello psicologo e' che deve operare con elementi che io non vorrei mai rivelare. Insomma, utilizza i fatti miei per analizzarmi.

    Sto dicendo sciocchezze?

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  5. Mah... rileggendomi mi rendo conto che non si capisce quello che volevo dire. Credo pero' che ci voglia un commento piuttosto logorroico per spiegarmi meglio, quindi ti evito questa pena ;-)

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  6. ;-) forse potrei prendere spunto per un post mio, a riguardo... mmmh...

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  7. Non ne ho idea, Dario, perche' non me ne intendo. Ci vorrebbe il parere di un esperto come Giorgio.

    Come gia' abbiamo avuto occasione di scriverci, questo "terrore" di raccontare i fatti propri, ampiamente condiviso dai miei familiari, io non lo provo.
    Anzi! Un mi pare i' vero (come dicono dalla mie parti)!

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  8. Mah, piu' che altro mi da' fastidio l'idea di essere giudicato per quello che dico. Andrebbe forse a finire che cercherei di apparire meglio di quanto sono, magari mentendo un po'.

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  9. Artemisia mi ha chiamato in ballo ed eccomi qua: sono l'Esperto. Adesso vi dico la verità vera, quella dell'Esperto, che vi illuminerà.
    (Ci avete creduto anche solo per un attimo? No, tranquilli, stavo scherzando...).
    Intanto secondo me è sbagliato immaginare che esista Lo Psicologo o lo Psicanalista (è una forma indebita di generalizzazione). Esistono tante singole persone che fanno questo lavoro, ci sono tanti tipi diversi di approcci e ciascuno lo interpreta a modo suo, lo filtra attraverso la propria personalità, le proprie credenze e le proprie esperienze.
    Io vi posso solo raccontare il mio approccio col lavoro. Fondamentalmente gli psicologi o ti insegnano dei metodi (per rilassarti, per essere meno ansioso, ecc.) e non è ciò che faccio io, oppure ti offrono una relazione umana che può, ma non sempre ci riesce, aiutarti a risolvere i tuoi problemi. E' fondamentale che tu in questa relazione ti ci riconosca, che tu senta strada facendo che ti aiuta veramente, se no non funziona, vuol dire che quella relazione non va. Punto e basta.
    Non c'è nessun problema di "dover" dire cose che non vuoi dire: dirai ciò che ti senti di dire, non di più: non ci sono segreti da cavare con le pinze!
    Il rapporto è unico e quindi non c'è nessun rischio di generalizzazione: lo stesso paziente visto dallo stesso terapeuta dopo una settimana è già una cosa diversa.
    Bisognerebbe anzi, secondo me, cercare di evitare le generalizzazioni (mi riferisco al commento di Dario): io conosco miei colleghi che so avere fatto cose assai discutibili e anche cialtronesche, ma ne conosco anche di serissimi e scrupolosissimi, come credo sia in ogni professione.
    Per me analisi non vuol dire che io penetro (violento) il paziente o la sua psiche e vado a cercare le magagne che ha dentro di sè, vuole dire che cerco di aiutarlo a sciogliere (dal greco luo, lisis)i suoi problemi, a diventare consapevole del bello che è, cioè della sua autenticità, di modo che possa andare nel mondo più sicuro di quello che è, cioè della sua unicità-diversità, senza farsi irreggimentare o calpestare dagli altri, col desiderio invece di cercare persone davvero simili a sè per amarle, diventarci amico o collaborare nel sociale.
    Quanto al giochetto matto-sano, concordo con Dario: io non ho mai pensato di essere sano nè che i miei pazienti siano malati in senso medico o matti (oddio, qualcuno purtroppo un po' lo è), anzi penso che se riesco ad aiutare gli altri è perchè io in passato stavo molto male, sono riuscito col lavoro psicologico che ho fatto sulle mie magagne a vederle e superarle e anche a sapere che non si diventa MAI sani del tutto: Dio ce ne scampi e liberi!
    Dario ha poi colto un punto essenziale: il giudizio: credo che se mai avessi giudicato un paziente non avrei potuto lavorarci insieme, perchè il lavoro che faccio io è fondato sulla solidarietà, sulla comprensione, sulla vicinanza umana e, se non temessi di venire banalmente frainteso, anche sull'eros e sull'amore.
    Quanto alle etichette da appiccicare ai pazienti, nel mio studio anche cercando bene in tutti gli angoli, non se ne trova una nemmeno per sbaglio: per me sono solamente singoli e unici esseri umani.
    Scusate la lunghezza.
    Giorgio

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  10. No, non particolarmente, Artemisia, anche se in una classe di 36 (!) non è che ci frequentassimo tutti da vicino. Pur essendo molto socievole, simpatico e con una buona media di voti, non si dava da fare con le compagne della nostra o delle altre classi. Non so se aveva una ragazza fuori, e se ce l'aveva non era palese.
    Però è un veneziano... come Antonio Casanova, e buon sangue non mente.

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  11. 36, Maurice??? Non lo dire alla Gelmini che quella prende subito spunto!

    Ringrazio Giorgio per l'intervento e lo invito a non scusarsi affatto per la lunghezza. Anzi, mi sarebbe piaciuto che un suo parere sul discorso dei "canali aperti" (come li chiama Bolognini) che trovo molto interessante.

    Riguardo al cercare di apparire di fronte all'analista migliori di quel che si è, mi viene in mente un'obiezione terra-terra. Se uno va dall'analista spendendo tempo e soprattutto un sacco di soldi, che senso ha non aprirsi o mentire? E' meglio che se ne stia a casa. A meno che non mascheri il suo vero io inconsciamente, ma lì subentra la professionalità dell'analista.

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  12. I canali aperti sono quelli delle comunicazioni inconscie, cioè sono quelli che possiedono i bambini, che sono più in contatto con la natura dei grandi e percepiscono immediatamente quando i genitori stanno psicologicamente male anche se dicono di stare bene.
    C'è un bel libro di Alice Miller dal titolo "Il dramma del bambino dotato" che parla proprio di questo e dice che molti di questi bambini che hanno i genitori bisognosi di aiuto psicologico, lo captano e glielo danno sotto forma di attenzione e di conforto (diventano bravi bambini) perchè percepiscono che se fossero un po' discoli, i genitori starebbero troppo male e molti di questi da grandi fanno gli psicoterapeuti, perchè hanno imparato sul campo i rudimenti della professione.

    Quanto all'altro tema citato da Bolognini, che oggi ci sono "figli" più che cittadini, è vero e, aggiungo, ci sono tanti "figli unici" che vogliono tutto per sè e non vogliono condividere alla pari con gli altri fratelli-concittadini.
    Giorgio

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  13. Giorgio.
    Mi scuso in anticipo per la logorrea che seguira', che e' propria del mio stile ;-)
    E mi scuso anche per la banalita' del linguaggio: per me questi argomenti sono un po' "ostici".
    Dunque. "Cialtrone".
    Non volevo essere offensivo con questo termine, anche se ammetto che e' gia' un po' offensivo per natura. Volevo intendere uno che ipotizza una comprensione di qualcosa e sostiene quell'ipotesi con dolo, sapendo che la validita' di quella ipotesi traballa come qualunque altra ipotesi alternativa. Per fare un esempio che ho letto su... non ricordo dove, se si osserviamo un bicchiere d'acqua rovesciarsi possiamo dedurre che si creera' una pozzanghera sul tavolo (e magari studiando a fondo le forze coivolte deduciamo anche la forma che assumera' la pozzanghera). Se invece vediamo una pozzanghera sul tavolo e' difficile dedurre la causa, cioe' un bicchiere pieno d'acqua che s'e' rovesciato (e in che modo lo abbia fatto). Voglio dire che non e' cialtrone lo psicologo, ma cialgronesco il metodo. Cioe', si parte dall'analisi di una patologia (o comunque di un malessere) per dedurre le cause. Oddio, questo lo fanno numerose altre scienze, ad esempio la medicina: se uno ha una malattia, cerca di risalire alle cause perche' in genere l'eliminazione delle cause e' parte della cura. Ma quelle scienze lo fanno con un metodo appunto scientifico.
    Per banalizzare (non conoscendo a fondo l'argomento sono costretto a farlo), un luminare come Freud ti viene a dire che alcune patologie dipendono dal rapporto con la madre, e allora tutta una generazione di psicologi riconduce qualunque patologia a quella causa. Ho il sospetto che non si tratti di malafede, ma del fatto che, non avendo idee migliori, si accettano quelle che offre il mercato.
    E' bello leggere nel tuo commento che tu parti dal presupposto di non sapere. Mi pare che pero' sei un'eccezione, nella comunita' di persone che svolgono il tuo mestiere.
    Forse il problema e' la ricerca stessa della causa, che presuppone l'ipotesi che un effetto debba essere provocato da una causa. Il che mi pare ragionevole, ma mi pare edonistico considerare effetto e causa al pari livello etico. Un amico psicologo in erba, considerando un fatto di cronaca legato ad un omicidio a sfondo sessuale, mi disse che la causa potesse essere ricondotta all'infanzia agiata vissuta dall'omicida (che proveniva da una "buona famiglia"). Tempo dopo lo stesso amico, di fronte ad un altro fatto di cronaca simile, mi disse esattamente l'opposto, perche' l'omicida proveniva da un ambiente ai margini della societa'. Ora, non vorrei banalizzare il lavoro degli psicologi... l'esempio mi serve per dire che mi sa che in realta' non si sa un bel niente, e lo psicologo ha il compito di dire come vanno le cose.
    continua...

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  14. ...continua
    E' confortante anche quando dici che nel tuo studio non esistono etichette, perche' ogni singolo e' diverso. E' pero' difficile crederlo. O almeno sono io che non riesco a capire il metodo. Cioe', nel momento che fai una analisi, stai categorizzando l'oggetto dell'analisi. Se io sono un medico e cerco di capire la causa della malattia, e' perche' presuppongo che una certa causa provochi un certo effetto. E questo avviene per te, per me, per Artemisia e per chiunque altro si ammali di quella malattia. Se prendo freddo mi viene il raffreddore. Anche se Berlusconi prende freddo si prende il raffreddore. E anche Bersani, anche Madre Teresa e anche Bin Laden. Poi magari uno e' piu' resistente di un altro e si ammala di meno, ma cio' non toglie validita' al rapporto di causa effetto che c'e' tra prendere freddo e avere il raffreddore. E questa legge scoperta dal medico e' frutto di un considerare l'oggetto del suo studio (il corpo umano) come omogeneo e indipendente dalla persona che lo veste. Insomma, ognuno, diverso o no, e' sottoposto a questa legge, e noi gli possiamo appiccicare un'etichetta sulla fronte con scritto "freddo=>raffreddore". Ora, tu invece mi dici che ognuno e' diverso e fa caso a se. Ma se e' cosi', significa che per non appiccicargli etichette ti tocca non studiarlo. Come dire che il ciabattino e' tale proprio perche' non aggiusta le ciabatte. Per lo psicologo puo' anche essere cosi'. Verrebbe da chiedersi perche' uno che ha bisogno di farsi riparare le ciabatte dovrebbe mai rivolgersi al ciabattino!?

    Infine una cosa che mi pare che tu hai colto ma forse mi hai spiegato solo in parte.
    Io non e' che ho problemi a parlare di me. E' che mi aspetto che quelli con cui parlo siano disposti all'empatia (nel senso di condivisione). E questo puo' avvenire se anche loro sono disposti a condividere il loro se' con me. Io posso essere amico solo di qualcuno che e' mio amico: lo sbilanciamento di questo rapporto lo farebbe degenerare. Il motivo stesso per cui io potrei comunicare momenti di sofferenza o di gioia con il mio amico risiede nel fatto che lui puo' condividerli con me, provando la stessa sofferenza e la stessa gioia (per altro, per ovvie ragioni, questo comporta una mia maggiore predisposizione a condividere i momenti di gioia piuttosto che quelli di sofferenza). Il bello e' farsi due risate tra amici, o scambiarsi vicendevoli pacche sulle spalle al ritmo di "vedrai che tutto si risolve". Cosa che, per ovvie ragioni, non posso ne' voglio fare con uno sconosciuto psicologo. E spero di non arrivare mai al punto di dover essere costretto a farlo.

    ;-) con tutto il rispetto per te e per tutti quelli che fanno quella professione.

    ...e scusa, Arte, se, ancora una volta, sono andato fuori tema.

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  15. "non vorrei banalizzare il lavoro degli psicologi"
    ... mi sembra che invece tu stia facendo proprio questo.

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  16. Ah si'? Giuro che non me ne ero accorto. Ritiro tutto, allora. Vale?

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  17. Caro Dario (mi sento sanamente affettuoso nei tuoi confronti dopo aver letto i tuoi ultimi commenti), io non sono freudiano, ma Freud è stato il primo a pensare e a dimostrare che i pazienti psichici non sono solo etichette, ma esseri umani. Ha studiato la possibilità, fino allora sconosciuta, che il vissuto, l'anima di una persona, potesse trasformarsi in sintomi psicopatologici e che la cura dovesse passare attraverso l'ascolto del SUO racconto della sua vita.
    Guarda, forse posso sintetizzare il mio lavoro in questo: ascoltare il racconto e le idee che il paziente ha di se stesso e della sua vita e offrirgli punti di vista diversi, che non ha mai sentito da nessuno. Chiaro che lo può fare anche un amico, ma, e qui sta la professionalità, uno psicologo dovrebbe intuire cosa è vero di una persona e cosa gli è entrato dentro dall'esterno, quali paure ha, quali energia ha a disposizione per superarle in un certo momento, ecc.ecc.
    Quindi non si tratta di fare due chiacchiere: lo psicologo fa, o dovrebbe fare, tutta questa serie di valutazioni e poi comportarsi col paziente in modo vero, dialogando con lui, fornendogli il distillato di ciò che pensa sia opportuno dargli, ma, ripeto, in modo vero, autentico.
    Forse è difficile da capire e da immaginare, ma è più o meno così.
    Per questo che i miei rapporti coi pazienti sono diversi da quelli che ho con gli amici, con mia moglie o mio figlio: con loro sono terapeuta, con tutti gli altri no.
    Giorgio

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  18. Giorgio,
    Forse sono prevenuto, o forse sto generalizzando partendo dalle poche volte che ho avuto a che fare con psicologi (mia cognata e' psicologa ed ho per forza di cose rapporti con lei, per quanto superficiali).
    Non e' che pretendo che lo psicologo sia mio amico. Quello che volevo dire e' che ho qualche pudore, che reputo sano e necessario, umanamente e socialmente, a raccontare qualcosa di significativo di me ad uno sconosciuto. Se tutti fossero come me, non esisterebbero quindi psicologi. O si limiterebbero a psicanalizzare i loro amici e basta.
    Comunque, Artemisia mi ha fatto notare che questa discussione sta in qualche modo offendendo tutta la categoria. Non e' ovviamente mia intenzione offendere nessuno, ma mi rendo conto che una dichiarazione come "non credo in dio" potrebbe offendere un prete, perche' ha costruito tutta la propria esistenza proprio sul concetto opposto. E comunque temo che questa discussione sia fuori tema, quindi direi che, per quanto mi riguarda, non me la sento di proseguire. Quanto meno non qui. Magari sul mio blog. O forse sul tuo.

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  19. per portare un'esperienza dall'altra parte,
    da ragazzina ho avuto bisogno di un periodo di supporto (diciamo che ho cominiciato a perdere peso un po' troppo... e poi tutto quel che ne è conseguito)
    e poi, siccome l'esperienza è stata positiva, sono tornata dalla mia psicologa maggiorenne a mie spese (mai ho speso tanto bene i miei soldi)

    la mia psico mi ascoltava, qualche volta faceva delle domande, qualche altra volta qualche osservazione.

    i suoi interventi (radi e brevi) sono stati evidentemente per me enormi spunti, spunti che mi hanno fatto trovare da me la strada.

    a volte era severa. se dicevo una sciocchezza, lo evidenziava, e io riprendevo un po' di obiettività, probabilmente evitando di scivolare in meccanismi difensivi o vittimistici.

    da lei percepivo una profonda fiducia in me, era convinta che avrei risolto i miei problemi. non mi sono mai sentita giudicata nè analizzata.

    mi trasmetteva stima, mi riteneva intelligente. evidentemente lei sapeva vedere in me non solo la ragazza problematica, ma anche la donna intelligente. (per me era fondamentale, mia madre sosteneva che sono stupida e non mancava mai di ricordarmelo)

    è stata un'esperienza bellissima, ho scoperto tante cose di me, ma anche del mondo intorno. una cultura nuova.

    quando un giorno mi ha detto vieni la prossima vola e poi basta, io non lo so se ero pronta, forse non mi sentivo, ma avevo una tale fiducia in lei che da quel giorno ho creduto nelle mie gambe... e non mi sono più fermata.

    la ricordo ancora con vero affetto, per la serietà con cui mi ha trattata, perchè mi ha fatto imparare (senza insegnarmi) a vedermi con occhi nuovi.

    lei ha fatto solo il suo lavoro, e io le sono molto grata per averlo fatto bene, professionalmente e forse con un pizzico d'affetto (per me come per gli altri suoi pazienti), molte volte l'ho pensata sperando sinceramente che stia bene e sia felice.

    in ogni caso, è stata un'esperienza bellissima e ricchissima.

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  20. riguardo alla conclusione del post: penso che forse c'è anche un risvolto positivo.
    semplificando, da una cultura di "oppressi" che rispettano il vivere civile solo per paura e imposizione, siamo passati all'estremo di una cultura del "posso tutto e degli altri me ne frego"
    forse poi però arriveremo (e forse qualcuno ci va già vero) ad un pensiero di rispetto dell'altro e delle regole che concretizzano il rispetto dell'altro, per scelta consapevole, per comprensione che così c'è spazio per tutti e che l'altro come me, ha le sue leggittime aspirazioni che vanno rispettate quanto le mie, perchè riconosceremo davvero nell'altro un noi. è possibile?

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  21. Grazie davvero, Manu, per averci raccontato la tua esperienza e grazie anche per la tua nota di speranza.
    La tua psico aveva visto giusto su di te.

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  22. Sono d'accordo con Cristiana, la psicologia tende troppo a generalizzare e a teorizzare. Ma alcuni psicoogi sono molto bravi, come sempre a fare la differenza è chi pratica una professione

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