Purtroppo spesso mi trovo ad ascoltare le mie trasmissioni preferite un po' distrattamente, tipo cambiando bus oppure quando le faccende di case richiedono un po' più di attenzione oppure quando sono interrotta più volte da qualcuno. Capita quindi che mi perdo dei passaggi e mi trovo a chiedermi: "Ma di che si parlava?" D'altra parte, consapevole che o così o niente, scelgo così.
Della puntata di Ambiente Italia sulla situazione dei beni culturali italiani, per esempio, mi è rimasto poco in testa. Tuttavia nella nebbia della mia scarsa concentrazione un ritornello mi si è fissato in mente: "Non ci sono soldi". Tutti gli intervistati, dalla direttrice del Parco Archeologico di Selinunte, alla direttrice archeologica del Colosseo, al presidente del Parco Nazionale del Gran Paradiso hanno continuato a denunciare la medesima carenza di risorse finanziarie cominciando a snocciolare cifre, un po' noiose per gli ascoltatori, ma atte a dimostrare la gravità della situazione.
La breve intervista a Philippe Daverio invece ha attirato la mia attenzione sia per l'estrosità del personaggio (uso a opinioni anche discutibili ma di sicuro inequivocabili) sia perché le sue affermazioni mi hanno dato l'idea di uno che ha una visione ad ampio spettro (non necessariamente giusta però sicuramente stimolante).
"Stiamo raccontando un'Italia che va a pezzi. Ci dica Lei, che è stato assessore alla cultura a Milano", chiede Beppe Rovera, "come facciamo?"
"Non ce la facciamo." E' la secca risposta dello storico dell'arte che indica due motivi. Dopo centocinquant'anni di unità d'Italia dobbiamo ammettere che la faccenda non ha funzionato perchè uno stato abbastanza fragile come quello piemontese, con un patrimonio culturale piuttosto limitato, si è trovato a gestire l'eredità di sette stati ognuno molto più importante del Piemonte. Pensiamo a Venezia, Firenze e Napoli che erano le capitali più importanti d'Italia per l'arte e che poi sono, sempre secondo Daverio, quelle che soffrono di più dell'abbandono. Secondo punto, per gestire questo ingente patrimonio bisognava formare le persone come fanno in Francia dove esiste una scuola specifica che forma ogni anno venti persone con la stessa concezione dei beni culturali e che possono essere spostate ove necessario. In questi anni abbiamo perso un dozzina tra i più bravi sovrintendenti che aveva il Ministero e i concorsi non sono stati fatti. Le cose si fanno solo se c'è una classe dirigente preparata e articolata per quanto riguarda la conservazione dei beni culturali. "Una catastrofe trasversale", secondo Philippe Daverio.
"E l'Aquila tornerà alla sua bellezza originaria?", chiede successivamente il conduttore.
"No, non tornerà più come prima. Come è successo in Umbria, costruendo nuove periferie, il centro storico muore. Si può riuscire a ricostruire gli edifici ma non la vita che nel frattempo si è spostata". D'altra parte, secondo Daverio, questo fenomeno è abbastanza inevitabile con i terremoti con l'eccezione del Friuli (centri piccoli e abitanti dal carattere particolare) e di Tuscania (salvata proprio dalla disgrazia dal suo destino di area turistica). E poi a L'Aquila hanno perso troppo tempo. Nelle grandi chiese cadute doveva essere fatta subito la selezione delle macerie. La pur brava sovrintendente ha solo tre persone nel suo organico. Abbiamo anche delle competenze fantastiche nei tecnici "ma lo Stato ha preferito la comunicazione alla realizzazione. La prima è presto evaporata e la seconda non c'è".
"Anche i Parchi Nazionali soffrono perché non ci sono soldi", continua Rovera. Risposta:"I Parchi sono res publica, una roba noiosissima per gli Italiani medi. Siamo tutti felici che esistano ma quelli che stanno intorno si mangiano il loro pezzettino pensando che quel loro vantaggio immediato non pregiudichi nulla. Lo stesso ragionamento con il quale ci siamo giocati il paesaggio. Si pensi alla valle del Brenta con la più bella architettura del Settecento al mondo, distrutta dai Veneti con la costruzione dei capannoni. Un danno peggiore di un terremoto. Ad un Veneto di oggi non importa nulla se la cultura della Serenissima ha influenzato ben altre realtà, da Amsterdam a New York."
Non c'è che dire: una bella iniezione di ottimismo!
Mi sa che, purtroppo, abbia pure ragione.
RispondiEliminaCristiana