Il cosiddetto "land grabbing" o "accaparramento delle terre" è un fenomeno quanto mai ingiusto e preoccupante. Per fortuna se ne sta prendendo coscienza e se ne comincia a parlare anche sulla stampa mainstream come dimostra questo recente articolo del Corriere della Sera.
Il fenomeno è spiegato bene nel bel servizio di Piero Riccardi trasmesso nella puntata di Report del 18.12.2011. Da alcuni anni i prodotti della terra come grano, riso, mais, ecc. sono entrati in borsa ed è permesso specularci. Inoltre i paesi industrializzati, in vista dell'esaurimento dei carburanti fossili, hanno individuato nei biocarburanti una possibile soluzione. Peccato che se tutte le auto degli USA dovessero andare a biocarburanti ci sarebbe bisogno di una superficie pari a 5 volte quella degli Stati Uniti. Dove trovare tanta terra a poco prezzo? Ma in Africa naturalmente!
A Fanaye, nel Nord del Senegal, la comunità rurale si sta ribellando: su 60.000 ettari di terra coltivabile ne vogliono assegnare 20.000 alle società Senhuile e Senhetanol. "Non ci guadagnamo niente", dice un contadino, "Lavoro? No, perché lo faranno le macchine. Il presidente del consiglio rurale ha firmato il contratto senza consultare la popolazione."
Il reportage dimostra che è molto facile accaparrarsi queste terre africane, non perché siano inutilizzate ma perché i diritti delle popolazioni che le coltivano non sono esigibili ufficialmente. "Come fate a dimostrare che questa è la vostra terra?" chiede il giornalista al capo del villaggio. "Perché i nostri antenati si sono stabiliti qui e noi l'abbiamo ereditata da loro."
Roberto Sensi, responsabile della Campagna per il Diritto al Cibo di ActionAid, dice che il cibo in Africa non mancherebbe ma c'è semmai un problema di accesso alle risorse. All'Africa è stata imposta la specializzazione su pochi prodotti destinati all'esportazione perdendo così la capacità di produrre cibo per i propri fabbisogni. Hanno cominciato ad importarlo dal mercato internazionale subendo così la volatilità e l'aumento dei prezzi come avvenuto durante la crisi alimentare 2007-2008. Il governo del Senegal non ha i soldi da investire nella produzione di biocarburanti ed infatti lo fanno capitali stranieri che non sono interessati certo allo sviluppo del Senegal ma solo al proprio profitto.
Greenpeace invece ha pubblicato il rapporto Metti (l'estinzione di) un tigre nel motore dove analizza la deforestazione dovuta alla produzione di olio di palma per carburanti dalle foreste indonesiane.
L'Italia non è esente dal land grabbing, come dimostra la corsa al biogas scoppiata in provincia di Cremona (come in tutta la Pianura Padana). Invece di produrre mais per polenta, lo si utilizza nelle centrali a biogas la cui energia viene pagata quattro volte il prezzo di quella da fonti convenzionali. Altro che polenta!
Il presidente della Coldiretti di Milano ci dice che in Lombardia dal 1999 al 2007 abbiamo perso 43.000 ettari di terreno coltivato, con una perdita giornaliera di 117.000 mq (7 volte la piazza del Duomo di Milano), terreno che non ci sarà più da coltivare.
Solo per raggiungere entro il 2020 l'obiettivo stabilito del 4% di carburante da fonti rinnovabili, l'Europa avrà bisogno di una superficie agricola uguale al Belgio.
Francamente non mi pare che si intravedano speranze se si tiene conto che è proprio la Banca Mondiale a spingere i paesi africani strozzati dal debito ad aderire ai piani di rientro dal debito che comportano la specializzazione delle colture, ed è proprio la Banca Mondiale attraverso l'IFC (il suo braccio finanziario) ad investire, anche in modo poco trasparente, in terre africane.
Come mai, se negli USA gli investimenti in agricoltura rendono tradizionalmente il 5/6%, in Africa, dove mancano tra l'altro le infrastrutture, rendono dal 18 al 40%? La risposta sta nelle speculazioni e sta nel fatto che le terre non costano quasi nulla ai grandi investitori: cinesi, americani, inglesi, arabosauditi, sudafricani, libici. La terra è gratis, si paga solo (poco) l'accesso all'acqua. E' come se uno andasse in Umbria e si comprasse le province di Terni e Perugia, abitanti compresi, al prezzo di un paio di tazzine di caffè all'ettaro, dice Piero Riccardi.
Terra e acqua: per la prima volta l'Africa le vede trasformate in merci e vendute, come una commodity, come l'oro e il petrolio.
Forse è l'ora di cominciare a pensarci.
Il fenomeno è spiegato bene nel bel servizio di Piero Riccardi trasmesso nella puntata di Report del 18.12.2011. Da alcuni anni i prodotti della terra come grano, riso, mais, ecc. sono entrati in borsa ed è permesso specularci. Inoltre i paesi industrializzati, in vista dell'esaurimento dei carburanti fossili, hanno individuato nei biocarburanti una possibile soluzione. Peccato che se tutte le auto degli USA dovessero andare a biocarburanti ci sarebbe bisogno di una superficie pari a 5 volte quella degli Stati Uniti. Dove trovare tanta terra a poco prezzo? Ma in Africa naturalmente!
A Fanaye, nel Nord del Senegal, la comunità rurale si sta ribellando: su 60.000 ettari di terra coltivabile ne vogliono assegnare 20.000 alle società Senhuile e Senhetanol. "Non ci guadagnamo niente", dice un contadino, "Lavoro? No, perché lo faranno le macchine. Il presidente del consiglio rurale ha firmato il contratto senza consultare la popolazione."
Il reportage dimostra che è molto facile accaparrarsi queste terre africane, non perché siano inutilizzate ma perché i diritti delle popolazioni che le coltivano non sono esigibili ufficialmente. "Come fate a dimostrare che questa è la vostra terra?" chiede il giornalista al capo del villaggio. "Perché i nostri antenati si sono stabiliti qui e noi l'abbiamo ereditata da loro."
Roberto Sensi, responsabile della Campagna per il Diritto al Cibo di ActionAid, dice che il cibo in Africa non mancherebbe ma c'è semmai un problema di accesso alle risorse. All'Africa è stata imposta la specializzazione su pochi prodotti destinati all'esportazione perdendo così la capacità di produrre cibo per i propri fabbisogni. Hanno cominciato ad importarlo dal mercato internazionale subendo così la volatilità e l'aumento dei prezzi come avvenuto durante la crisi alimentare 2007-2008. Il governo del Senegal non ha i soldi da investire nella produzione di biocarburanti ed infatti lo fanno capitali stranieri che non sono interessati certo allo sviluppo del Senegal ma solo al proprio profitto.
Greenpeace invece ha pubblicato il rapporto Metti (l'estinzione di) un tigre nel motore dove analizza la deforestazione dovuta alla produzione di olio di palma per carburanti dalle foreste indonesiane.
L'Italia non è esente dal land grabbing, come dimostra la corsa al biogas scoppiata in provincia di Cremona (come in tutta la Pianura Padana). Invece di produrre mais per polenta, lo si utilizza nelle centrali a biogas la cui energia viene pagata quattro volte il prezzo di quella da fonti convenzionali. Altro che polenta!
Il presidente della Coldiretti di Milano ci dice che in Lombardia dal 1999 al 2007 abbiamo perso 43.000 ettari di terreno coltivato, con una perdita giornaliera di 117.000 mq (7 volte la piazza del Duomo di Milano), terreno che non ci sarà più da coltivare.
Solo per raggiungere entro il 2020 l'obiettivo stabilito del 4% di carburante da fonti rinnovabili, l'Europa avrà bisogno di una superficie agricola uguale al Belgio.
Francamente non mi pare che si intravedano speranze se si tiene conto che è proprio la Banca Mondiale a spingere i paesi africani strozzati dal debito ad aderire ai piani di rientro dal debito che comportano la specializzazione delle colture, ed è proprio la Banca Mondiale attraverso l'IFC (il suo braccio finanziario) ad investire, anche in modo poco trasparente, in terre africane.
Come mai, se negli USA gli investimenti in agricoltura rendono tradizionalmente il 5/6%, in Africa, dove mancano tra l'altro le infrastrutture, rendono dal 18 al 40%? La risposta sta nelle speculazioni e sta nel fatto che le terre non costano quasi nulla ai grandi investitori: cinesi, americani, inglesi, arabosauditi, sudafricani, libici. La terra è gratis, si paga solo (poco) l'accesso all'acqua. E' come se uno andasse in Umbria e si comprasse le province di Terni e Perugia, abitanti compresi, al prezzo di un paio di tazzine di caffè all'ettaro, dice Piero Riccardi.
Terra e acqua: per la prima volta l'Africa le vede trasformate in merci e vendute, come una commodity, come l'oro e il petrolio.
Forse è l'ora di cominciare a pensarci.
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