venerdì 27 gennaio 2012

Occhio al burnout

"Qua la mano destra non sa cosa fa la sinistra", "Si lavora a compartimenti stagni", "I capi dicono di credere al lavoro di gruppo ma, se lo si chiede ai sottoposti, essi affermano che vige il dividi et impera" e poi ancora la classica frase "la mia vita comincia quando esco di qui".
Un po' come l'oroscopo che va bene per tutti, Alessandro Gattai, del dipartimento di Psicologia dell'Università di Firenze, cita, nell'intervista rilasciata a Controradio, queste come le frasi tipiche che fotografano la situazione del benessere lavorativo nelle aziende che egli, con il suo gruppo, ha occasione di visitare in relazione al cosiddetto "rischio da stress correlato".
Anche il mio ente si è posto il problema del benessere e del rischio da stress correlato dapprima somministrandoci (che parola singolare!) il test del Progetto Magellano (dal quale sono emerse alcune lievi criticità, ma niente di grave) e poi organizzando un seminario con una psicoterapeuta specialista in benessere lavorativo.
Il seminario è stato abbastanza interessante (molte cose le sapevo già) e mediamente stimolante. La prima cosa che ho constatato, con disappunto, è stata la scarsa adesione da parte dei miei colleghi, sintomo del clima di apatia che regna. Sull'utilità di questo tipo di offerta si può discutere (ed anch'io sono critica in questo senso) ma rifiutarla a priori non mi sembra giusto.
La psicoterapeuta mi è sembrata preparata ma non troppo coinvolgente, come se avesse imparato bene la lezione da dire, ma non ci credesse fino in fondo.
Ho imparato delle cose carine del tipo:
  • l'80% delle energie sul luogo di lavoro vengono spese per interagire con gli altri (in situazioni normali, mentre se ci sono problemi la percentuale sale);
  • le abitudini si cambiano in genere in tre settimane, mentre il temperamento (tipicamente classificabile in impulsivo e riflessivo) è stampato dentro di noi alla nascita e si può solo adattare ma non si cambia;
  • i leader naturali non sono "i capi" ma coloro a cui tutti si rivolgono perchè sanno intercettare i bisogni di ognuno e spesso anticiparli; al leader non interessa comandare o attribuire colpe, quanto cercare di capire le cause dei problemi e lavorare perché non si ripetano, egli lavora per i risultati del gruppo;
  • non si possono fare due cose insieme se una di queste è ascoltare (in quanto si attiva la corteccia frontale);
  • di ciò che il nostro cervello elabora, l'80% proviene dalla vista, il 10% dall'udito e il resto dagli altri sensi;
  • si lascia l'adolescenza e si diventa adulti quando si incomincia a prendersi cura degli altri;
  • il nostro Io più intimo non viene mai a contattto diretto con l'esterno ma è mediato dal ruolo sociale che ricopriamo in quel contesto (professionale, familiare, come figlio, come partner, come genitore, ecc.). L'Io dà attraverso il ruolo ma anche si alimenta con esso e questa ricarica è essenziale altrimenti ci prosciughiamo e non siamo più capaci di dare niente a nessuno;
  • imparare significa tollerare la frustrazione del non sapere e pertanto continuare ad impegnarsi;
  • è impossibile non comunicare se tra due persone vi è la presenza fisica. Anche il silenzio è comunicazione e significa trasmettere il messaggio "tu non esisti";
  • quando c'è contraddizione tra il livello verbale (cioè cosa si sta dicendo) e il livello non verbale (tono, volume, gesti, postura, ecc.) il cervello tende a privilegiare quest'ultimo perchè, provenendo da una parte più primitiva e istintuale, è necessario per la sopravvivenza innestare subito reazioni di difesa (aggressione o fuga).
Ai test di autovalutazione ho avuto conferma di ciò che sapevo per quanto mi riguarda: 17 su 19 elementi che mi predispongono al burnout, 7 sintomi su 11 di sindrome da burnout già in essere, media motivazione sul lavoro e preponderanza di stile comunicativo passivo. Ed eccomi sistemata.
Mi sarebbe piaciuto approfondire parlando di esempi concreti di stile comunicativo e di strategie nella soluzione di problemi. Non so quanto questi strumenti possano essere efficaci per rimuovere dinamiche ormai incrostate negli anni. Tuttavia anche solo il fatto che, a partire dall'Unione Europea, ci si ponga il problema dello stress lavorativo (anche solo come costo economico), è comunque un passo avanti verso un mondo del lavoro fatto di persone che, per dirla con Alessandro Gattai, non si limitano ad "occupare un posto" ma lo "abitano" (cioè se ne prendono cura).

5 commenti:

  1. Non avevo mai sentito parlare di questa 'sindrome'. Sono andato a leggere il link che metti.
    Innanzi tutto mi pare che tutti più o meno ne siamo affetti.
    E poi un'altra considerazione. Se si va a leggere la regola di san Benedetto si scopre che tutte le fasi (entusiasmo, stagnazione, frustrazione e apatia) sono ben presenti nella regola. E proprio per questo che è previsto che oltre al maestro dei novizi, ci sia anche l'assistenza personale di un monaco anziano.
    E in fondo queste fasi le passiamo in ogni nostra 'attività' e rapporto interpersonale, matrimonio (o convivenza) compreso.
    Una volta c'era tutto un contorno di figure (soprattutto la famiglia) che potevano aiutare a rompere questo cerchio quando iniziava, a uscirne. Adesso invece questi aiuti non esistono più.

    Pace e benedizione
    Julo d.

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  2. Pensa che nella mia società tutto è incentrato su dove "parcheggiare" le proprie risorse (e non persone). Poi che faccia la tua mansione poco importa...
    Questo è il lavoro privato!

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  3. http://ilsilenziodeisentimenti.blogspot.com/

    Sono approdato qui, cara Artemisia.
    Adesso devo personalizzare il blog. Solo ieri Blogger ha messo a disposizione un plugin molto semplice che mi ha permesso di trasferire e salvare tutti i post. Circa 200 commenti si sono persi per strada, ma vedrò se sono importanti da recuperare.
    Adesso voglio tornare alle vecchie e care abitudini.
    Poi ti spiegherò meglio.
    Un abbraccio

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  4. nel mio ambiente vedo gli stessi problemi che descrivi tu.
    ognuno chiuso nel suo giardino, io scherzando dico che abbiamo la stanza dei baroni, la stanza del popolino (dove sono io), e poi l'altro mondo intriso di odio di classe,convinto che noi siamo dei privilegiati strapagati e non facciamo niente.
    io invece penso che ognuno di noi ha bisogno dell'altro, è grazie al lavoro dei miei colleghi e a quello del mio capo e qalla fiducia dei clienti se io ho da mangiare ogni mese, ed è grazie al mio, se anche loro lo hanno. è grazie a tutti noi, se in 4 anni siamo raddoppiati in numero e fatturato.
    nessuno andrebbe lontano da solo, quindi siamo una famiglia, di second'ordine, ma una famiglia, un gruppo con un interesse condiviso: procurarci di che vivere, per poterlo fare serenamente, avere una casa, una famgilia... oquello che si vuole avere.
    idea assolutamente bizzarra e non condivisa.
    un esempio: da quando la mia paga è stata parificata a quella dei baroni, io sono stata da loro ostracizzata più di prima, e sono iniziati i comportamenti ostili, eppure... se i tuoi colleghi vengono pagati bene, è un bene anche per te, che se è giusto puoi pretendere di più. mentre se gli altri accettano sotto paghe tu fai fatica a chiedere di più, perchè in fin dei conti gli altri lavorano per molto meno, e magari devi accettare una sottopaga.
    insomma, anche in termini di soldi, il bene degli altri diventa bene anche per te.
    ho problemi anche perchè, avendo aumentato la dimensione dei lavori, (finalmente!) ho spesso di essere la ragazza, per diventare ufficialmente l'ingegnere. un punto di forza per l'azienda che si propone non con una ragazza alla guida di un progetto, ma con un titolo che ha un minimo di peso. mi sembra un vantaggio per tutti, una cosa da sfruttare.
    invece prevale l'invidia, la difesa della supremazia, il proprio giardinetto.
    spero che i giovani, che mi sembrano orientati verso nuove forme di comunitarismo, saranno migliori. noi mi sa che non abbiamo speranze...

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  5. Ben tornata, Liber! Oh pardon... ben tornata ingegnere! ;-)
    Sono lieta di rileggerti.

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