Il mio capo si era proposto di prendersi una settimana di riposo prima di Ferragosto, per stare a casa. Peccato che però non ha mai smesso di collegarsi per leggere la posta elettronica ove continuava a ricevere richieste di tutti i tipi alle quali si sentiva in dovere di rispondere. "Uffa!" si lamentava, "Ma perchè continuano a scrivermi se avevo detto a tutti che questa settimana sarei stato in ferie?"
Un'ennesima riprova di quanto siamo condizionati da questo strumento potente quanto invadente che è la rete. Staccarsi da essa è diventata faccenda sempre più difficile, ma anche condizione necessaria per potersi dire davvero in vacanza.
Nella puntata di Fahrenheit riascoltabile qui si parte dal libro di Raffaele Simone "Presi nella rete. La mente al tempo del web" nel quale il linguista descrive una scena di un vagone di treno dove tutti sono impegnati
non a conversare, nè a leggere, nè a guardare dal finestrino, quanto a smanettare
su tablet, smartphone, notebook, ecc. Una coppia addirittura, pur sedendo a fianco, si rivela uno
connesso con l'altra, scambiandosi App e facendo dialogare i due
telefonini con i due portatili. Secondo me la descrizione dell'autore è un po' esagerata ma posso dire che negli USA una situazione del genere è invece molto frequente.
Il cruccio principale di Raffaele Simone (riportato anche in questo suo articolo pubblicato su L'Espresso) è però il fatto che la rete sta depotenziando il livello generale (soprattutto nei giovani) di linguaggio, di scrittura, di pensiero e di narrazione. "In quarant'anni di
insegnamento", dice il professore, "ho potuto osservare un
campione di circa sei mila studenti. Negli ultimi vent'anni ho
calcolato una diminuzione cognitiva di un gradino all'anno. Va
scemando quella che si chiamava "cultura generale". Le conoscenze
sono "irrelate", cioè composte di tanti frammenti, che chiamerei
straccetti di fonti varie e incongrue. Possono provenire da un
testo importante, da un film o da un brano di dubbia qualità
pescato in Internet".
Ad essere sincera una posizione come quella del professor Simone mi sembra un po' vetero-elitaria. Non è il mezzo che crea ignoranza, ma il suo uso, anche se è vero che ciò che non costa sforzo crea dipendenza (basti pensare al fatto che non facciamo più due passi a piedi perchè abbiamo l'auto a disposizione oppure non sappiamo fare una somma perchè abbiamo la calcolatrice sempre a portata di mano). Tuttavia perchè rifiutare dei mezzi che comportano una grande possibilità di ampliamento delle nostre conoscenze? Oggi, come dice il filosofo Maurizio Ferraris intervenuto nella medesima puntata di cui sopra, posso portarmi facilmente in vacanza una cinquantina di ebook al prezzo di 49 centesimi l'uno senza aver bisogno un valigione per trasportare i loro analoghi su carta.
Il trucco sta nel sapersi difendere, nel saper sfuggire all'assedio di domande che ci vengono fatte via rete, di mail a cui dovremmo rispondere, alla contrazione del tempo che ci costringe a fare più cose contemporaneamente.
Insomma bisogna imparare a ritagliarsi i nostri tempi per leggere, per pensare, per noi stessi. Bisogna imparare a scollegarsi, come ho tentato inutilmente di spiegare al mio capo.
ho sentito e letto qualche volta Simone, e onestamente lo trovo tronfio e snob. Sarà anche vero che c'è gente che non riesce a stare senza internet, ma... domanda: se quei fidanzati, in treno, anziché scambiarsi app, fossero stati ciascuno in silenzio a leggere il suo libro, Simone sarebbe stato altrettanto scandalizzato?
RispondiEliminaImmagino di no. Francamente anche a me sarebbe sembrato più normale.
EliminaPoveri cagnolini tecno-dipendenti che ululano appena qualcuno mette in discussione il leoro viello d'oro (Internet).
RispondiEliminaP.S.: gli ebook sono una stronzata, ma quando ve ne accorgerete sarà troppo tardi...