venerdì 8 marzo 2013

Parlare in tuta e scrivere in frac

“Finchè ci sarà uno che conosce duemila parole e uno che ne conosce duecento, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali” diceva Don Milani.  D'altra parte cosa si può pretendere da un paese nel quale la scuola è sempre più povera, i media si appiattiscono su un linguaggio sempre più sciatto e semplificato e il livello di dealfabetizzazione si fa sempre più preoccupante?
 
Ben vengano allora trasmissioni come la nuova "La lingua batte" su Radio 3 RAI, condotta dal linguista Giuseppe Antonelli. Quest'ultimo, intervistato a Fahrenheit, sottolinea che la lingua scritta era data ormai per spacciata una ventina di anni or sono quando la maggior parte delle persone scriveva solo la lista della spesa e gli appunti sull'agenda. Oggi le nuove tecnologie sembrano fornire una rivincita della lingua scritta costringendoci a scrivere (e leggere) quotidianamente SMS, chat, email, Tweet. Tuttavia la rivincita attuale non è andata di pari passo con la competenza della lingua: scarsa ricchezza lessicale, incapacità di molti di produrre un testo scritto coerente o di decodificarne uno letto. Secondo Antonelli il primo livello di difficoltà che emerge è l'ortografia. La scrittura privata non ha un editor o una professoressa a correggerci, e sono spesso i correttori automatici, nel segreto dei nostri telefonini, a declinare la lingua.


Bisognerebbe quindi parlare e scrivere sempre in modo ricercato e forbito? Non è di questo avviso un altro linguista, Edoardo Lombardi Vallauri, autore di "Parlare l'Italiano. Come usare meglio la nostra lingua"
il quale, ospite a Le Storie Diario Italiano, si mostra tollerante riguardo all'uso dell'Italiano.
"I danni che uno può fare alla lingua, parlandola male, sono irrilevanti rispetto ai danni che uno può fare a se stesso nel senso che produce effetti diversi da quelli che voleva" dice Edoardo Lombardi Vallauri che trova innocuo l'uso massiccio delle chat o degli SMS. Nessuno dei ragazzi di oggi si sognerebbe di dire cmq per comunque o xché per perché (ma forse di scriverlo su un tema sì, aggiungerei io che sono un po' più pessimista).
Bisogna quindi applicare un diverso metro di giudizio, secondo il Vallauri, tra la lingua scritta, nella quale si ha il tempo di programmare, ripulire, far quadrare ed allora le irregolarità sintattiche sono meno accettate, ed il parlato, ove serve quella che si chiama ridondanza perché l'attenzione dell'ascoltatore può essere evanescente e si può quindi accettare espressioni come il famoso a me mi piace.
"Non c'è una sola regola," dice il linguista, "ma ci sono regole diverse a seconda delle situazioni.  Non si andrebbe a giocare a tennis in giacca, cravatta, pantaloni lunghi e scarpe di cuoio, così come non si andrebbe ad un matrimonio in tuta da ginnastica."

Ecco che mi è venuto in mente un altro divertente e stimolante incontro riascoltabile sul sito di Controradio, a proposito di un volume pubblicato da alcuni ricercatori dell'Accademia della Crusca: "Parole di Firenze dal Vocabolario del fiorentino contemporaneo". Tra il Fiorentino letterario del Trecento che è diventato Italiano e quello popolare che si sta perdendo, tra il Fiorentino come lingua della comicità da Amici miei in poi, mi ha colpito un Franco Cardini, che pur regalandoci perle del suo incredibile patrimonio di conoscenze storiche, "vestiva" in questa occasione un linguaggio più informale e rilassato. Un Cardini in tuta, ma sicuramente elegante.

4 commenti:

  1. Ricollegandomi parzialmente al commento lasciato nell'altro post, suppongo di essere in parte d'accordo con il professor Vallauri. Per quanto possano essere detestabili ed esteticamente squallidi gli errori ortografici (e lo dico da perfezionista), penso che in determinati casi la comprensibilità sia più importante della forma. Anche perché - diciamocelo - è raro che "pò", "ne" e "fà" possano compromettere la chiarezza di un testo. Oltretutto, Artemisia, penso di essere più ottimista di te. Se è vero che tanti giovani sono ridotti in condizioni pessime, non bisogna sottovalutare il numero di ragazzi che ha una conoscenza approfondita della lingua italiana, di frequente maggiore proprio dei cinquantenni che si lamentano. E, se si sa come usarla, Internet può essere molto utile ad imparare. Credo inoltre che nei testi scolastici prestino in generale maggiore attenzione agli errori; e non sbagliano così frequentemente. Se ci pensate per evitare un orrore ortografico è sufficiente rifletterci su: è corretto dire "ne" o "né"? Uno è pronome e l'altro è congiunzione: in fondo è semplice.

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    1. Non ho capito l'allusione ai cinquantenni :-)

      Comunque, Matafione, non metto in dubbio che molti ragazzi (forse perché hanno avuto un'istruzione liceale) scrivano correttamente. Non sono un'insegnante ma temo che il livello di chi esce dal tecnico o dal professionale sia ben diverso. Purtroppo è sempre più una questione di ceto sociale, ahinoi.

      Sull'ignoranza dei cinquantenni stendiamo un "vello peloso" (come disse qualcuno)...

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    2. Penso che di solito, più che dal tipo di scuola, dipenda dall'insegnante che ci si ritrova. Se in un istituto tecnico c'è un insegnante favoloso e competente di storia o italiano, molto probabilmente i suoi studenti saranno preparati in quelle materie. Viceversa per una materia scientifica in un liceo umanistico. E sul ceto sociale non ne sarei così sicuro: alle scuole private non è detto che si riceva un'istruzione migliore.
      Io sono andato sempre in scuole pubbliche e o un'a qultura phanta-stika.

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    3. Gli insegnanti favolosi e competenti purtroppo scappano dai tecnici-professionali (salvo rare eccezioni con ambizioni missionarie). Fidati. Prova a chiedere in giro.
      Sulle private hai ragione: spesso ci vanno i ragazzi che hanno meno voglia di studiare e lì passano tutti (basta pagare).
      Per questione di ceto intendo proprio chi può permettersi di far studiare il figlio all'università, chi ha una cultura per seguirlo se in difficoltà o ha soldi per pagargli ripetizioni o comunque chi dà importanza all'istruzione.

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