Feltrinelli ha ripubblicato recentemente un piccolo libro di Gad Lerner dal titolo "
Operai. Viaggio all'interno della FIAT" Si tratta di un reportage, pubblicato la prima volta nel 1988, che racconta dall'interno l'universo delle grandi fabbriche automobilistiche, attraverso le storie e le vite degli operai che vi lavorano. Ho trovato molto stimolante
l'intervista a Fahrenheit Radio 3 a Gad Lerner sul ruolo degli operai, durante la quale il giornalista ha confrontato tale condizione negli anni Ottanta, dopo le lotte e la famosa marcia dei Quarantamila, con quella di oggi.
Secondo Lerner negli anni caldi della contestazione c'era un sentimento di condivisione che nasceva dall'idea molto radicata che la fatica fisica fosse un valore, un valore fondativo della nostra Repubblica. Chi svolgeva un lavoro manuale meritava un'attenzione speciale ai nostri occhi ma ciò era caricato dall'ideolgia comunista, che secondo Lerner ha fatto molto male perché era strumentale. Gli operai non interessavano in quanto persone in carne ed ossa, bensì come "classe per sua natura rivoluzionaria", come lo strumento attraverso il quale si poteva cambiare il mondo prendendo il potere.
Negli anni Ottanta, con la sconfitta del sindacato, questa illusione fu archiviata e si pensò che potesse aprirsi una stagione felice per tutti superando "l'anacronistica contraddizione tra capitale e lavoro". Era la fine di un'epoca e la pace sociale prometteva di far star bene tutti più della presa del potere degli operai (miglioramenti salariali, più tempo libero, ecc.). Oggi sappiamo che non è andata così.
Delle persone che vivono la condizione operaia e svolgono un lavoro manuale oggi non interessa più a nessuno. Assistiamo alla fine del senso di comunità e al crearsi di tante nicchie scollegate tra loro. Anche i piccoli partiti che continuano a chiamarsi comunisti hanno solo mantenuto la terminologia ed i loro leader, con il loro stile di vita, hanno perso la capacità di sintonia e di frequentazione del mondo operaio.
Lerner sottolinea inoltre che in Italia tra il 1983 e il 2005 il PIL derivante dai profitti di impresa ha fatto un balzo di 8 punti. Perché questa ricchezza (che si calcola sarebbe stata di circa 7000 euro l'anno) non è finita nelle buste paghe dei lavoratori come è avvenuto in tutti i paesi industrializzati? In questo ventennio c'è stato un imponente dirottamento di ricchezza dal monte salari ai profitti e alle rendite. E' vero che la finanziarizzazione, l'esplodere dei profitti e dei compensi dei manager, c'è stata in tutte le economie industriali, ma, mentre in altri paesi si è accompagnata ad una crescita economica, in Italia, mentre gli operai perdevano quote importanti del proprio tenore di vita, l'economia si è inceppata ed ha rivelato una mediocrità della nostra classe imprenditoriale che ha puntato a piccoli vantaggi. Gli enormi profitti sono stati investiti altrove (diversificazione), nei centri commerciali, nella televisione, ecc. e sono aumentati vertiginosamente i compensi dei manager. Vittorio Valletta negli anni Cinquanta guadagnava 20 volte quello che prendeva un dipendente FIAT, oggi Marchionne guadagna 435 volte la media dei suoi operai.
La domanda che viene sempre spontanea di fronte alle ingiustizie è: perché i lavoratori non si ribellano? A questo Gad Lerner risponde cintando lo studioso Maurizio Franzini, autore di "
Ricchi e poveri. L'Italia e le disuguaglianze (in)accettabili", che spiega che si crea una accettazione della disuguaglianza quando ormai non si crede più che si possa andare avanti grazie al merito ma solo per colpi di fortuna. Il vedere che sono molto ricche ed esibiscono il loro benessere persone che intellettualmente, per eleganza e cultura, non sono tanto meglio di te, ti dà l'idea che si possa andare avanti solo per caso, per un colpo di fortuna, non certo per un costante impegnativo processo di miglioramento graduale.
Negli anni Ottanta gli operai erano orgogliosi che i loro figli, così diversi da loro, vestiti alla moda, non avessero scritta in faccia la loro fatica. Oggi invece i padri si augurano che i propri figli abbiano un posto a tempo indetermitato come quello che essi hanno avuto.