Nella mia ignoranza e superficialità ho sempre associato il termine "foibe" alla strumentalizzazione che i gruppi di estrema destra fanno per poter additare una vergogna "di sinistra" da contrapporre a quelle del fascismo e del nazismo.
"Compito della storia invece non è formulare giudizi ma far capire i contesti in cui le cose sono accadute. Non è vero che le vittime delle foibe siano di destra e quelle della Risiera di San Sabba siano i morti di sinistra. Entrambi sono vittime della storia italiana che hanno pagato le colpe di ciò che l'Italia è stata tra il 1922 e il 1940."
Questa in sintesi l'intervista a Fahrenheit Radio3 al professor Gianni Oliva, che ha studiato a lungo quel periodo di vuoto di potere che si è creato tra il 1943 e il 1948 e che ha pubblicato il saggio fotografico "Esuli".
Per capire, al solito, bisogna risalire alle radici dei problemi. Nella zona del Nord Adriatico, alla caduta dell'Impero Romano, si forma un ceppo italiano, che si basa sull'eredità romana, e un ceppo slavo di nuovi arrivati. Le due etnie convivono pacificamente per tutti i secoli della Repubblica di Venezia fino al Trattato di Campoformio del 1797. Anche con l'Impero Asburgico, che era piuttosto multietnico, la convivenza resta pacifica: gli Italiani tendenzialmente occupano la costa e si dedicano ad attività commerciali, gli slavi occupano prevalentemente l'interno e si dedicano ad attività agricole. Le divisioni nascono quando, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale quella terra diventa Italia, si afferma un regime nazionalista come il fascismo che predica la superiorità italiana sulle altre nazioni e che qui ha un impatto deleterio con una "politica di forzata italianizzazione": soffocamento della cultura slava, obbligo dell'uso esclusivo dell'Italiano negli uffici pubblici, nelle scuole, nelle omelie dei sacerdoti, nazionalizzati i termini geografici e i cognomi. Tra il 1941 e il 1942 con l'occupazione Italo-Tedesca si arriva a creare dei campi di concentramento per slavi ove il tasso di mortalità si aggira intorno al 20%.
Questo quadro, spiega Gianni Oliva, non giustifica affatto il vergognoso crimine delle foibe perpetrato dalle truppe del maresciallo Tito e che ha portato, tra il maggio e il giugno del 1945, all'assassinio di 8/10 mila Italiani e all'esodo di altri 250/300 mila, così come non assolve coloro che fornirono ai Titini i nominativi, ma serve a capire che esso fu il prezzo pagato dagli Italiani Giuliano-Dalmati alla guerra.
Il maresciallo Tito voleva annettere alla Yugoslavia tutte le terre mistilingue addirittura fino all'Isonzo. Per portare avanti questo piano era necessario che nessuno difendesse l'italianità di quelle zone. Di qui l'obiettivo politico di decimare la comunità italiana, tutti quelli che avevano avuto un ruolo nel regime fascista, ma anche tutto il CNL della Venezia Giulia, come gli antifascisti del Partito d'Azione. Dal 12 giugno 1945, con l'accordo sulla linea Morgan tra Italia e Slovenia, le foibe cessarono perché non avevano più ragione e cominciarono gli esodi degli Italiani che si trovavano al di là. Essi abbandonarono volontariamente la loro terra e si ritrovano a vivere nei 109 campi profughi allestiti in tutt'Italia, accolti spesso dal pregiudizio che fossero dei fascisti ricchi che non avevano accettato il regime yugoslavo, mentre invece, il più delle volte, erano poveracci, come raccontano le foto del libro di Oliva.
Seguirono quarant'anni di silenzio con la complicità di tutti: del PCI, che aveva tutto l'interesse a tacere le sue contraddizioni tra l'essere un partito nazionale in politica interna e un partito internazionale in politica estera, ma anche delle potenze occidentali che avendo fatto di Tito, dopo la sua rottura con Stalin, un interlocutore, uno dei leader dei paesi non allineati, e che quindi non si voleva mettere in imbarazzo con domande difficili. Soprattutto c'è stato un silenzio di Stato perché dopo il 1945 abbiamo fatto finta di essere un paese che ha vinto la guerra e che, eliminati Mussolini e il Re, si potessero immaginare risolte tutte le colpe e traghettare tranquillamente la precedente classe dirigente.
Appreso quanto sopra, capisco ancora meno perché la giornata del ricordo per le vittime delle foibe debba continuare ad essere considerata una commemorazione di destra.