Sono sempre molto titubante a lasciarmi andare a facili entusiasmi.
Ma quanto mi garba, per la sua valenza simbolica, la vittoria di questa donna!
martedì 31 maggio 2011
domenica 29 maggio 2011
Ingrana la prima e vai
Un pezzetto di plastica rosa con una fotina non è poi questa grande cosa. Eppure ieri ti ho visto davvero raggiante quando sei tornato dall'esame di guida. E poi vuoi mettere dire agli amici: "Andiamo, vi porto tutti al Piazzale Michelangelo!" E poi che soddisfazione essere il primo del gruppo con la patente! Sono tappe che sembrano insignificanti. La patente ce l'hanno quasi tutti. Eppure sono importanti mattoncini nella costruzione della propria autostima.
Riflettevo giorni fa', osservando il mio vicino di casa, che ha due figlie esattamente della stessa età dei miei, come è buffa "l'evoluzione dei mezzi di trasporto in famiglia". Quando erano piccole, lo vedevo andare al lavoro con lo scooter, lo stesso che ho visto usare prima alla grande e, recentemente, alla piccola. Invece ultimamente ho visto lui inforcare la bici per andare al lavoro. E così è successo in casa nostra. Abbiamo una sola auto perché entrambi detestiamo guidare. Per anni, io e mio marito ci siamo spostati con lo scooter e ne abbiamo cambiati diversi di varie cilindrate. Da quando, a quattordici anni, la mia mitica nonna Vanda mi regalò un Ciao, il motorino per me è stato simbolo di libertà. Alla macchina non c'ho mai tenuto, però mi parve una conquista a vent'anni comprami con il mio stipendio una Vespa 125, con la quale trasportavo il mio ragazzo, studente squattrinato.
In seguito, la svolta ecologista unita alle ansie che sopravvengono ad una certa età, mi ha portato a farmi l'abbonamento all'autobus e a muovermi preferibilmente con i mezzi pubblici e, in seconda battuta, in bicicletta. Così come mio marito, con l'intento di tenersi in forma il più possibile, si fa i suoi venti chilometri in bicicletta tutti i giorni.
Ed ecco che il mio Liberty trova altri pretendenti. Prima il grande, che ora ambisce ad ottenere un 125 tutto suo, e poi il piccolo, al quale abbiamo promesso l'uso con la promozione a giugno. Mi piacerebbe assai che usassero invece la bicicletta ma so che alla loro età è considerata da sfigati e forse è giusto che sia così. In attesa, spero, della loro svolta ecologista/salutista.
venerdì 27 maggio 2011
Batosta su batosta
Non è possibile. Ancora non ci credo. Non mi sono ancora ripresa dalla scomparsa di Luciano, quando apprendo che anche Unodicinque se n'è andato. Ieri sera ho letto e riletto tante volte il post di Giangiacomo da cui l'ho appreso, sperando di aver capito male. Avevo capito che stava male ma non pensavo che fosse una cosa così veloce.
E' strano essere amici via rete. Mi sembra di sapere tante cose di Unodicinque, che ho cominciato a seguire già dal suo vecchio blog su Kataweb, anche senza averlo mai visto di persona e, in effetti, ci ha raccontato tanto della sua vita e della sua famiglia, della sua infanzia, del suo lavoro, di quanto ha sofferto per la perdita di sua madre. Sentivo molte affinità con lui: le idee politiche, la predilezione per la bella stagione, l'odio per il freddo, il piacere di raccontarsi (così raro negli uomini) e soprattutto le gioie e le ansie di essere genitori di figli adolescenti. Penso ai suoi ragazzi più grandi di cui era così orgoglioso (ho conosciuto il maggiore: un ragazzo intelligente, sensibile e solare) e penso alla sua più piccola, che ha l'età di mio figlio minore, e che adorava seguendo il suo farsi donna con il tipico pizzico di gelosia paterna. Mi si stringe il cuore nel pensarli e nel toccare con mano che Unodicinque (la scelta del suo nickname dice molto di lui) non li vedrà crescere. Non ci posso credere.
Ciao, Alessandro. Mi mancherai tanto. Mi mancheranno i tuoi post, i tuoi commenti, le tue ricette, le tue battute, la tua sensibilità e la tua leggerezza nell'attraversare la vita. Non sai quanto ora mi mangi le mani per non essere arrivata a Spoleto lo scorso febbraio e non aver avuto la possibilità di conoscerti. "Sarà per la prossima volta" ci siamo detti al telefono. Chissà se tu sapevi di avere poco tempo davanti a te. Io non immaginavo proprio e ora mi dispiace davvero tanto.
Io che sono sempre e comunque ottimista penso che finché quei due o tre punti di riferimento ci saranno varrà la pena di vedere come vanno a finire quei trecentocinquantaquattro giorni che restano.
lunedì 23 maggio 2011
Non è giusto
E come facciamo noi a fare a meno del tuo sorriso, della tua brillante intelligenza, della tua sensibilità, dei tuoi post, dei tuoi preziosi spunti di riflessione, della tua ironia, dei tuoi libri, insomma di te?
Luciano, per me eri un punto di riferimento. Tutte le volte che mi facevo un'opinione sull'attualità politica ma non mi sentivo sicura andavo sul tuo blog e mi confortava vedere che anche tu la pensavi come me. Solo allora mi dicevo: "Ecco, anche Luciano la pensa così, quindi c'ho visto giusto".
Non riesco proprio ad accettare che tu te ne sia andato.
Ci mancherai, Luciano. Ci mancherà il tuo insostituibile "Ringhio di Idefix".
Luciano, per me eri un punto di riferimento. Tutte le volte che mi facevo un'opinione sull'attualità politica ma non mi sentivo sicura andavo sul tuo blog e mi confortava vedere che anche tu la pensavi come me. Solo allora mi dicevo: "Ecco, anche Luciano la pensa così, quindi c'ho visto giusto".
Non riesco proprio ad accettare che tu te ne sia andato.
Ci mancherai, Luciano. Ci mancherà il tuo insostituibile "Ringhio di Idefix".
domenica 22 maggio 2011
Ha mai sentito parlare di CONSIP?
Sopravvissuta. Queste due giornate di colloqui con i candidati al concorso sono state, tutto sommato, un'esperienza interessante, anche se massacrante. Ci sarebbero tante considerazioni da fare. Quando qualcuno mi racconta la sua vita (la prima domanda era ovviamente: "Ci parli delle sue esperienze formative e professionali"), mi viene spontaneo provare empatia per l'interlocutore, sia che si tratti di una donna, nella quale mi viene da immedesimarmi, sia che si tratti di un giovane, per il quale scatta per me subito un pensiero ai suoi genitori e alle loro aspettative per il ragazzo che ho davanti. Senza contare il cuore che ti si stringe a sentire i giovani sfruttati con stage gratuiti o con paghe da fame presso i call center, o le persone di una certa età che dopo anni di lavoro presso un'azienda si sono trovate con il culo per terra, costrette a rimettersi in gioco. Dipendesse da me, darei un lavoro dignitoso a tutti (anche se non a tutti uguale, perchè non tutti si meritano la stessa cosa).
Detto questo, la prima cosa che mi ha colpito è l'ignoranza che impera. La prova scritta verteva in quiz a risposta multipla, sia di natura "tecnica" (contabilità di stato, normativa del pubblico impiego, inglese e informatica), sia di cultura generale e di matematica. Preparando le prove temevamo di averle fatte troppo facili (tant'è che tali le hanno giudicate persino i miei figli), ed invece ci siamo trovati di fronte ad un livello generale piuttosto basso (con le dovute eccezioni, per fortuna).
Un esempio per tutti, alla domanda "quando è stato riconosciuto il voto alle donne in Italia?", la cui scelta era tra a) durante il periodo fascista; b) nel 1913; c) in occasione del referendum del 2.6.1946; non pochi, e soprattutto (ahinoi) non poche non hanno saputo rispondere. Una giovane candidata, che aveva tralasciato la risposta, quando le ho riproposto il quesito all'orale, mi ha detto: "Ah, no, le date proprio non me le ricordo! La storia non è mai stata il mio forte!" Peccato che non lo sia nemmeno la geografia, visto che (in buona compagnia) non ha saputo dire in quale regione si trovi Ascoli Piceno (qualcuno si è giustificato persino dicendo: "Sa, non ci sono mai stata!"). Per non parlare del panico in cui ha gettato il quesito di matematica sul "doppio di 2 alla dodicesima"!
Tuttavia, ho provato una certa irritazione verificando che ben pochi, dopo lo scritto, si sono disturbati di andarsi a vedere le eventuali risposte che avevano tralasciato, soprattutto quelle sulla normativa. In diversi si sono giustificati candidamente dicendo: "Non ho avuto tempo!" Ma come?! Se non ti interessa questo posto, non sei obbligato a partecipare. E allora perchè io dovrei perdere tempo per te?
Piano piano mi sono resa conto che, a forza di vedere facce interrogative e terrorizzate ad ogni mia domanda che contenesse un termine minimamente tecnico, ho banalizzato sempre di più la materia, tanto che, se qualcuno dei miei colleghi amministrativi mi avesse sentito, non avrei fatto una gran bella figura. Alla fine mi sono ridotta a fare domande del tipo: "ha mai sentito parlare di...?" "per caso, sa cos'è ...", "le dice niente il termine..."
Non è certo il sapere tali nozioni che rende valida una persona, e certo bisogna considerare l'emotività e tutto il resto, però, perbacco, un po' più di impegno e di rispetto per il gioco delle parti me lo sarei aspettato, no?
martedì 17 maggio 2011
Nelle vite degli altri
Non è la prima volta che mi capita di essere nella commissione esaminatrice di un concorso. E' un lavoro che da un lato mi crea ansia, per la responsabilità che comporta, dall'altro mi incuriosisce perchè mi mette a contatto "con il resto del mondo", cosa che nella quotidianità (a parte i rapporti con i fornitori) non accade spesso.
La selezione di personale per la quale sono commissaria in questo periodo è anche insolitamente affollata per il fatto che, per parteciparvi, è sufficiente un qualsiasi diploma di scuola media superiore. Per noi della commissione risulta quindi anche piuttosto faticosa.
Già l'operazione di valutazione dei titoli dei candidati porta a fare diverse riflessioni. C'è il ragazzino appena diplomato; c'è la giovane dotata di un paio di lauree per la quale non si capisce come possa essere appetibile un posto da diplomato a tempo determinato; c'è il più che quarantenne che ha fatto i lavori più disparati e che probabilmente si è trovato improvvisamente disoccupato; c'è la signora non giovanissima che ha solo il diploma e quasi nessuna esperienza di lavoro. "E che ha fatto fino ad adesso?" chiede il mio collega della commissione. "Ha fatto la mamma!" dico io. Ahi, sacrosanto ed impegnativo ruolo sociale ma che purtroppo non viene mai valutato abbastanza! C'è il candidato che ha un diploma di maturità con 37/60 seguito però da una laurea ed una sfilza di corsi e tirocinii vari a segnalare una svolta nella sua vita. Purtroppo, almeno nella nostra valutazione, il voto della maturità lo penalizza. "I nostri genitori ce lo dicono sempre di studiare", fa la giovane segretaria della commissione, "peccato che non si dia mai loro retta!"
Dai curriculum emergono le vite delle persone: c'è chi ha fatto il muratore, chi il raccoglitore di olive, chi il necroforo, chi ci scrive di essere un donatore di sangue, chi segnala di saper fare massaggi shatzu, chi cita gli hobby, le passioni, le capacità comunicative e la propensione a lavorare in gruppo.
Anche la cura dei documenti presentati e l'attenzione per certi aspetti formali parla del candidato. Come si fa a dichiarare sotto la propria responsabilità un sacco di belle cose, salvo dimenticare di firmare l'autocertificazione? Perché scrivere "ho lavorato qui dal 2005 al 2006" senza specificare esattamente le date in modo da permettere l'attribuzione del punteggio corretto? Certo anche partecipare ai concorsi, alla fine, diventa quasi un mestiere.
Mi aspettano un paio di giornate di colloqui orali. Temo che non sarà un compito leggero perché so già che non mi riuscirà di non immedesimarmi in queste persone e nelle loro speranze.
sabato 14 maggio 2011
Specchio specchio delle mie brame
Il romanzo "La vita accanto" di Mariapia Veladiano, che è stata ospite a Le Storie Diario Italiano di Corrado Augias, è incentrato sul tema della bellezza o meglio sul fatto di non rientrare nei canoni estetici comunemente riconosciuti.
"Che la bellezza abbia un peso è normale", afferma l'autrice, "ma il canone estetico è strettissimo ed è talmente generalizzato che sfiducia soprattutto i giovani e le ragazze in particolare". La Veladiano parla per esperienza diretta perché, insegnando Italiano e Storia in un Istituto Professionale, ha notato nelle sue alunne un'insicurezza crescente nei riguardi del loro aspetto. Essa registra tale insicurezza nella quantità e nell'ossessione per gli specchietti (negli zaini, negli orologi, negli anelli): come un bisogno costante di conferme riguardo al loro aspettto. In realtà queste ragazze hanno segretamente il desiderio di essere apprezzate per quello che sono, come è normale che sia, ma è talmente pervasiva l'immagine che arriva loro attraverso la pubblicità e gli scandali, che si fa fatica a sottrarsi.
Secondo Mariapia Veladiano è necessario un percorso di consapevolezza che proprio la scuola pubblica può aiutare a fare, perché nella scuola pubblica vanno belli e brutti, ricchi e poveri, disabili e stranieri. E' l'unico forte laboratorio di integrazione. Se salta questa, salta la convivenza.
Quando Augias le chiede cosa fa quando una ragazza viene emarginata perché non adeguata ai canoni in voga, la professoressa risponde che in questo caso cerca di smontare il meccanismo del gruppo.
"Deve essere un osso duro, lei!", le dice Augias.
"Sì", risponde semplicemente Mariapia Veladiano con un sorriso radioso.
Pensandoci bene non porto mai con me uno specchietto e mi capita molto di rado di guardarmi allo specchio. Temo di essere troppo vecchia per preoccuparmi di cercare conferme sul mio aspetto.
giovedì 12 maggio 2011
Richiedente asilo
L'altro giorno, mentre stavo potando la siepe, sento un chiock chiock provenire dal terreno. Ed eccolo là, saltellante davanti alla nostra portafinestra tentando di entrare in cucina. Uno dei pullus del nido avvistato giorni fa probabilmente. Ancora non sa bene volare. Fa solo piccoli tratti. La sera sparisce tra le foglie dell'oleandro, probabilmente perchè si sente più sicuro, ma durante il giorno razzola nel nostro giardino. Appena qualcuno di noi esce, gli saltella incontro fiducioso. Addirittura prende il cibo dalle mani dei miei figli, aprendo il becco da sotto in su come scambiandoli per la sua mamma. Non abbiamo ancora capito se è un maschio o una femmina e difatti non ha ancora un nome. Non ha un'espressione troppo intelligente, ma ormai fa parte della nostra famiglia.
domenica 8 maggio 2011
Viva l'autarchia!
Sin da piccola ho sempre detestato il dipendere da qualcuno. Penso che sia un'eredità della mitica nonna Vanda. Crescendo ho imparato da accettarlo ma, quando mi capita di subire i ritardi o le negligenze di qualcuno di cui non posso fare a meno, mi sovviene la rabbia di non poter mandarlo a quel paese e fare da sola. Oltre che del classico "chi fa da sé, fa per tre", mi sento una fan del "chi vuole vada, chi non vuole mandi", che citava sempre mio padre.
In una casa c'è sempre qualcosa da riparare ed è dura essere un'inetta dal punto di vista manuale. Avendo uno sciacquone rotto, abbiamo dapprima aspettato i comodi di un idraulico inviato dal vicino per un'altra riparazione a suo carico, pensando così di risparmiare il tempo e la fatica di chiamarne uno di nostra fiducia. Il ragazzo però, dopo aver cambiato il sifone (quello nella foto non è un pezzo del relitto del Titanic ma quanto emerso dal nostro sciacquone), non è riuscito a farlo funzionare e ha proposto di fare una breccia nel muro fino al pulsante che lo aziona. Inorriditi dall'idea dello sporco che ciò avrebbe comportato e di dover inseguire un muratore per fare la traccia e, successivamente alla riparazione, per ripristinare il muro, abbiamo dovuto aspettare, ricorrendo per diversi giorni ai secchi, un altro trombaio più esperto che, dopo un'ennesima mattinata di lavoro (in due), è riuscito a riparare.
A parte il dover pagare questi manutentori e il rimanere per giorni e giorni con gli oggetti sparsi per la stanze, la cosa che più mi dà fastidio è doverli rincorrere, sottostando all'orario che propongono (con inevitabile richiesta di permesso in ufficio) e sperare che non si rivelino incompetenti (chissà perché ciascun artigiano critica con aria sprezzante il lavoro di quello intervenuto prima). Come mi piacerebbe avere le manine d'oro e poter fare da sola!
giovedì 5 maggio 2011
I numeri sono neutri? Ma quando mai!
I numeri sembrano la cosa più obiettiva e asettica che ci sia. Quante volte si cita la massima: "la matematica non è un'opinione". Niente di più falso. Le cifre, escludendo la possibilità di truccarle in modo fraudolento, possono essere usate in modo così diverso da influenzare pesantemente chi ci ascolta dando nel contempo ad intendere di essere neutrali. E' un giochetto comunissimo per chi fa informazione e per chi vuole influenzare l'opinione pubblica.
Faccio un paio di esempi tra i tanti che se ne potrebbero fare.
Le cifre sparate con enfasi sugli sbarchi dei profughi, anche nel caso riportino numeri realistici riguardo al singolo sbarco, danno un messaggio apocalittico ("assalto", "tsunami umano", "orda", "sbarchi di massa"), che viene percepito, dall'uomo comune frettoloso e distratto, come un'emergenza. "Ma quanti ne arriva! Dove li potremo mettere?", mi fa giusto l'altro giorno la mia pizzicagnola. Eppure a guardare il totale degli arrivi si vede che siamo ben al di sotto delle migliaia di persone che partecipano ad un evento come una manifestazione o una partita di calcio allo stadio.
Carlo Gubitosa fa parte di "Giornalisti contro il razzismo" e porta avanti campagne per il corretto uso delle parole sui media, come per esempio "emergenza". Intervistato a Controradio, Gubitosa ci spiega che se si leggono le statistiche con un'idea preconcetta si possono fare grandi disastri. "Se affermo che il 50% degli Italiani ha un quoziente di intelligenza al di sotto della media, dico una verità matematica ma trasmetto all'ascoltatore l'immagine degli Italiani come un popolo di deficienti. Viceversa posso dire che la metà degli Italiani ha un'intelligenza al di sopra della media, che è la stessa identica cosa, ma dà tutto un altro messaggio." Così se si afferma che "il numero di crimini commessi dagli immigrati è aumentato", si può dare l'idea che siamo invasi da un'orda di delinquenti, mentre, se si va a controllare, si scopre che l'aumento dei crimini è inferiore all'aumento dei permessi di soggiorno, cioè i crimini aumentano di meno degli arrivi. Se poi si va a vedere che il numero dei crimini commessi dagli immigrati sono una parte minima di quelli commessi in Italia, le cose prendono le loro proporzioni.
Un altro esempio. "Nel 2009 sono stati intercettati sette Milioni di Italiani" è il messaggio utilizzato da coloro che voglio mettere un freno a questo strumento di indagine. Nicola Gratteri a Le Storie spiega con estrema chiarezza che, se il dato fosse stato vero, avremmo dovuto avere l'irrealistico numero di 250.000 ascoltatori. Il numero si riferisce probabilmente alle richieste di utenze da intercettare. Bisogna considerare che, se dobbiamo indagare una persona sospetta, dobbiamo mettere sotto controllo il telefono di casa, dell'ufficio, la microspia in macchina e mediamente due cellulari (cinque richieste per una persona). Il trafficante di droga normalmente ogni 48 ore butta la SIM del cellulare. Ecco perché, dice Gratteri, per indagare una cinquantina di persone in due anni si arriva ad intercettare oltre 10.000 numeri di telefono. "Se sono onesto", afferma il magistrato, "parlo di numeri di telefono messi sotto controllo, se sono in malafede parlo di persone intercettate".
Insomma, non solo la matematica può essere eccome un'opinione, ma comincia a starmi veramente antipatica.
martedì 3 maggio 2011
Un alieno in giardino
Nel nostro "giardino responsabile" è spuntata una pianta misteriosa, alta ormai circa 50 cm con grandi foglione. Non esistono esemplari simili nei dintorni e la sua crescita repentina ci fa sospettare che si tratti di un seme marziano.
Qualcuno ci può dare un'idea di che diavolo di pianta si tratti?
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