Oltre 360 capolavori distribuiti tra il Museo degli Argenti, la Galleria Palatina, la Galleria d’Arte Moderna e la Galleria del Costume: da Giotto a Michelangelo, da Rubens a Bronzino, da Canova a Velazquez, da Beato Angelico a Parmigianino. Dopo due ore e un quarto di visita con gli Amici dei Musei alla mostra "La Bella Italia, arte e identità delle città capitali", rincorrendo per le sale di Palazzo Pitti una entusiasta ma ansimante Diletta Corsini, francamente mi sento di dare ragione a Tommaso Montanri che stronca la mostra nel suo articolo "Ma che Bananitalia! In mostra a Palazzo Pitti i 150 dell'Italia unita".
Sul valore delle opere esposte non si discute, ma è proprio l'operazione in sé che desta perplessità. E' vero che sembra un'antologia, è vero che ci sono pochissime spiegazioni, è vero che molte opere sono sacrificate in spazi angusti oppure offuscano alcune sale grandiose del palazzo.
Per fortuna, nonostante tutto, la passione e la bravura della dr.ssa Corsini mi hanno dato alcuni spunti interessanti. Tanto per cominciare, la mostra è pensata come un Gran Tour, cioè un viaggio di istruzione che i giovani di buona famiglia europei facevano in Italia per arricchire la loro cultura e completare la loro formazione (per esempio, a Torino si imparavano le arti militari). Una sorta di Erasmus antelitteram che durava circa tre anni e che introduceva il rampollo presso le varie corti italiane.
Inoltre mi è piaciuto riflettere, grazie alle vedute esposte, su quanto sono cambiate le città italiane rispetto ad un paio di secoli fa: una Roma tranquilla, bucolica, quasi provinciale senza i palazzoni ministeriali di fine Ottocento e senza i retorici edifici del Ventennio fascista, e una sorprendente Genova, "una città piena di rose e di luce", la più ricca d'Italia (la Superba), la seconda più ricca d'Europa dopo Anversa, adagiata nel suo golfo, con uno splendido mare davanti, con le ville incastonate come diamanti nelle verdi colline, lontana dalla città inquinata e devastata dall'edilizia del dopoguerra.
Sul valore delle opere esposte non si discute, ma è proprio l'operazione in sé che desta perplessità. E' vero che sembra un'antologia, è vero che ci sono pochissime spiegazioni, è vero che molte opere sono sacrificate in spazi angusti oppure offuscano alcune sale grandiose del palazzo.
Per fortuna, nonostante tutto, la passione e la bravura della dr.ssa Corsini mi hanno dato alcuni spunti interessanti. Tanto per cominciare, la mostra è pensata come un Gran Tour, cioè un viaggio di istruzione che i giovani di buona famiglia europei facevano in Italia per arricchire la loro cultura e completare la loro formazione (per esempio, a Torino si imparavano le arti militari). Una sorta di Erasmus antelitteram che durava circa tre anni e che introduceva il rampollo presso le varie corti italiane.
Inoltre mi è piaciuto riflettere, grazie alle vedute esposte, su quanto sono cambiate le città italiane rispetto ad un paio di secoli fa: una Roma tranquilla, bucolica, quasi provinciale senza i palazzoni ministeriali di fine Ottocento e senza i retorici edifici del Ventennio fascista, e una sorprendente Genova, "una città piena di rose e di luce", la più ricca d'Italia (la Superba), la seconda più ricca d'Europa dopo Anversa, adagiata nel suo golfo, con uno splendido mare davanti, con le ville incastonate come diamanti nelle verdi colline, lontana dalla città inquinata e devastata dall'edilizia del dopoguerra.
Pare che l'espressione "la bella Italia" fosse stata di uno Stendhal diciassettenne che aveva appena varcato le Alpi, sconvolto non solo dalla bellezza delle opere d'arte famose, alle quali era preparato, ma anche dall'incredibile variegata sfaccettatura del nostro paese, dalla "iridescente pluralità della nostra cultura", per usare le parole di Antonio Paolucci. Uno stupore che ho ritrovato negli occhi di mio figlio quando a Roma, qualche giorno or sono, ha visto dal vivo le chiese, i dipinti, i palazzi e gli scenari che aveva appena studiato a scuola.