domenica 16 giugno 2013

L'insostenibile leggerezza del prezzo

Un altro "regalo" dell'abile antennista è stata la possibilità di vedere RAI 5, un canale un po' particolare che manda trasmissioni curiose. Quelle che mi piacciono di più sono i documentari della BBC (pare che il nome tecnico sia factual) nei quali si trattano temi ambientali e di consumo consapevole. Non hanno il classico formato noioso e didattico ma mostrano degli esperimenti su persone normali che si prestano per esempio a mangiar sano per una settimana per vedere se ciò ha effetto sui valori di colesterolo oppure a sperimentare per un certo periodo uno stile di vita più parsimonioso in quanto a risorse naturali oppure mostrano i vari mercati di filiera corta, e così via.
Una serie per me molto affascinante si intitola "L'insostenibile leggerezza del prezzo". Negli ultimi tre anni la BBC ha inviato dei giovani consumatori a scoprire la verità sui luoghi da dove provengono molti degli oggetti di uso quotidiano. Giovani fanatici della moda e del lusso hanno così scoperto lati dell'industria che pochissimi conoscono, le condizioni di lavoro massacranti dei loro coetanei che, dall'altra parte del mondo, producono quei beni che essi consumano e gettano con tanta facilità, quello che si cela dietro il mondo patinato della moda ed infine il prezzo umano di ciò che mangiano.
Le puntate vengono trasmesse ciclicamente e i relativi promo sono rivedibili su rai.tv. Una delle due che ho visto riguardava il Ghana  ("Il lusso a buon mercato, l'oro e i rifiuti elettronici") dove i giovani consumatori inglesi hanno sperimentato due giorni di lavoro in una miniera per capire da dove proviene l'oro di anelli e orecchini di cui essi fanno facile uso. Mentre gli uomini spalavano la terra ricca d'oro, le donne, alcune portando bambini sulla schiena o incinte, trasportavano bacini da venti chili sulla testa (almeno 160 carichi al giorno) in un caldo infernale. Dopo due giorni massacranti nei quali i giovani inglesi non sono riusciti a mantenere neppure il ridotto carico a loro richiesto, essi sono rimasti allibiti di fronte alla  piccola pallina di oro raffinato che ne rappresentava il risultato ed impressionati dalla sproporzione tra la fatica e il ricavo (427 Cedi Ghanesi, circa 250 Euro destinati a coprire tutte le spese, la paga dei lavoratori, circa 5 Euro per gli uomini e 4 per le donne ed il guadagno poco superiore del proprietario del mezzo ettaro di miniera). Lo stesso oro, trasformato in anello, costa il doppio in Inghilterra.
I ragazzi hanno alloggiato presso famiglie del luogo e sono rimasti colpiti da storie come quella di Emanuelle, loro coetaneo, che dopo la morte del padre, con il suo salario, mantiene la sua famiglia composta di ben 18 componenti (15 bambini suoi nipoti). "Si usa così qui" dice Emanuelle. "In Ghana non ci sono alternative." "Nella mia vita io penso solo a me stesso" osserva invece un ragazzo inglese, "e lui, così giovane, deve pensare a tutti."
Il ventiquattrenne Ato, che lavora in miniera da cinque anni e che ama la lettura ma non potrà mai permettersi di andare all'università, ha fatto riflettere la ragazza inglese Shivonne, che non ha voluto proseguire gli studi e che ha capito ora quale privilegio ha avuto a portata di mano.
Nel resto della puntata i ragazzi visitano una delle più estese discariche di materiale elettronico (oltre un km e mezzo) ad Accra, capitale del Ghana. Il giornalista ghanese che li guida ha spiegato che, quando sono arrivati i primi rifiuti tecnologici gli abitanti del Ghana li hanno accolti pensando che li avrebbero aiutati a superare il divario tecnologico tra loro e il resto del mondo, poi però si sono accorti che non si trattava di apparecchi di seconda mano ma di rifiuti inutilizzabili. Ogni mese arrivano centinaia di tonnellate di rifiuti elettronici occidentali. Il numero di rifiuti continua a crescere e così le discariche dove frotte di bambini, anche molto piccoli, rovistano e soprattutto bruciano materiali tossici per ricavarne piccole  quantità di metalli da rivendere.
I giovani inglesi sono rimasti colpiti nel leggere su molti monitor o case i bollini di inventario di college e scuole superiori inglesi e persino di stazioni di polizia del loro paese. Gli enti di provenienza degli oggetti probabilmente sono all'oscuro perché pensano semplicemente di aver destinato gli oggetti ad un riuso nel Terzo Mondo, non sapendo che imprese senza scrupoli li smaltiscono scaricandoli così, con conseguenze drammatiche.
L'altra puntata che ho visto ("Il lusso a buon mercato: alta tecnologia") era ambientata nel distretto della gomma di Manila, noto come la Silicon Valley delle Filippine. Lì i giovani consumatori inglesi hanno provato a lavorare in una fabbrica che produce 250 milioni di componenti elettronici all'anno per alcuni dei giganti della tecnologia industriale. Le operaie, munite di tuta, guanti e mascherina, dovevano produrre mille unità ogni ora (una ogni tre secondi). Non ci si poteva distrarre per nessun motivo, era proibito parlare e si era controllati a vista. Mezz'ora di pausa per mangiare, bere e fare pipi senza altre interruzioni. Gli inglesi, che hanno clamorosamente mancato i livelli di velocità e qualità richiesti, sono rimasti scioccati dall'ambiente spersonalizzato della fabbrica che rende le persone automi.
Tuttavia alla fine i ragazzi hanno capito perché gli operai di queste fabbriche, spesso giovani donne della provincia, si ritengano fortunati in quanto almeno hanno un lavoro che consente loro di inviare il sostentamento alla loro famiglia, tipicamente con la madre vedova, i fratellini e talvolta anche figli piccoli. L'alternativa sarebbe la prostituzione oppure vivere nelle baracche degli slum (che essi infatti hanno visitato) selezionando la spazzatura per ricavarne di che sostentarsi.
"Non penso mai alla provenienza delle cose che compro" diceva una delle ragazze prima di partire. "Non mi sento in colpa perché spendo tutti questi soldi", affermava uno dei sette ragazzi inglesi, "me li sono guadagnati. E' un mio diritto spenderli." Dopo questa esperienza i giovani inglesi però hanno inevitabilmente rivisto il proprio stile di vita.  
A parte che da anni il consumo consapevole è una delle mie fissazioni, mi chiedo comunque a che serva conoscere da vicino le realtà, i volti e i modi dello sfruttamento dell'Occidente industrializzato sul Terzo Mondo. E' utile toccare con mano fino in fondo l'avidità su cui è basata la globalizzazione? La disperazione e l'impossibilità di scelta che c'è dietro il nostro lusso? Il vantaggio che noi occidentali traiamo dal fatto che questi paesi sono molto poveri e che la gente che vi vive deve accettare qualsiasi tipo di lavoro? Oppure, non avendo scelta neppure noi, coatti del consumo, vedere queste cose fa sì che continuamo lo stesso identico stile di vita ma solo con più sensi di colpa?
Sono dubbi che mi rimangono. Sono convinta, al di là della finzione che c'è sicuramente dietre queste trasmissioni, che le realtà che esse mostrano siano vere o verosimili e che la consapevolezza di esse sia doverosa ed anche utile per mettere in pratica quel minimo di scelta che possiamo avere, che sia il commercio equo e solidale, che sia diffidare della merce che costa troppo poco, che sia rinunciare al superfluo perché ne conosciamo i costi umani che si porta dietro. "Vedo le persone dietro al prodotto, non più solo l'oggetto" dice una delle inglesi al ritorno.
E ora mi guardo le altre puntate. 

3 commenti:

  1. Da qualche anno guardo spesso rai5 ed ho visto anche alcune puntate di questo programma, interessante ed istruttivo.

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  2. Segnalazione interessante. Andrò a rivedere le puntate sul sito di Rai 5. Anch’io da qualche tempo sono un po’ fissata sulla provenienza delle cose che compro. Prima mi preoccupavo solo della filiera del cibo, ultimamente mi interrogo molto sull'abbigliamento e le scarpe. Per quanto riguarda l’abbigliamento, in particolare, fare acquisti “consapevoli” è sempre più difficile, a volte quasi impossibile.

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    1. E' vero per l'abbigliamento è molto difficile.
      Purtroppo ho scoperto che sul sito c'è solo il promo e non tutta la puntata. Comunque vedo che stanno rimandando in onda le prime, quelle sulle fabbriche indiane. Quindi con un po' di pazienza si riesce a registrale.

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