Il professor Ivano Dionigi, eletto di recente rettore dell'Università di Bologna (incarico che lui ha definito "meraviglioso e tremendo"), ospite nella trasmissione di Augias Le Storie, ha confermato (quasi un grido di dolore) i dati emersi da un'inchiesta del Centro Europeo dell'Educazione: l'8% dei laureati non sa scrivere, il 25% ha scarsa padronanza con l'italiano, il 21% arriva ad un livello minimo di comprensione del testo. Il rettore ha constatato che gli studenti arrivano all'università in condizioni di semianalfabetismo. Anche secondo un'inchiesta dell'Ocse il 33% degli Italiani legge senza poter capire, firma ma non è in grado di scrivere.
Il discorso e la ragione sono ciò che ci distingue dagli animali, dice il professor Dionigi e, citando Platone, ricorda che "parlare bene, oltre ad essere una cosa bella in sé, fa anche bene all'anima". Le cause, secondo Dionigi, vanno ricercate nella scuola, che è sottoposta a continui terremoti di riforme, e, più in generale, al fatto che si va sempre più verso un mondo facilitante, mentre dovremmo riscoprire la bellezza e la durezza dello studio. Fino agli anni Settanta abbiamo dovuto parlare di diritti e dovevamo conquistare certi diritti dei ceti più bassi, ma sono più di trent'anni che in questo paese non si declina più la parola doveri. Ai giovani viene trasmesso, anche dalle famiglie, il messaggio che la laurea non ha più il valore di una volta e in generale non c'è più l'educazione al lavoro, alla durezza della fatica.
Il magnifico rettore è forse un nostalgico e anche un po' snob. Può darsi. Nel mio piccolo però posso confermare che davvero nei ragazzi c'è ormai il rifiuto per tutto ciò che costa sforzo e non c'è il gusto del conquistarsi qualcosa con l'impegno e la fatica. Forse sarò conservatrice e desueta anche io, ma trovo che questo andazzo sia triste e desolante. La vita facilitata e predigerita (ammesso di poterla veramente ottenere) è una vita che non sa di niente.
Mi vengono in mente i miei figli: il grande che pontifica che "studiare non serve a niente, me lo ha detto la prof" (non so se sia vero o se sia una sua personale interpretazione) mentre il piccolo che adotta come criterio di scelta della scuola superiore: "voglio andare dove si fa meno". Non c'è male: proprio figli del loro tempo.
Il discorso e la ragione sono ciò che ci distingue dagli animali, dice il professor Dionigi e, citando Platone, ricorda che "parlare bene, oltre ad essere una cosa bella in sé, fa anche bene all'anima". Le cause, secondo Dionigi, vanno ricercate nella scuola, che è sottoposta a continui terremoti di riforme, e, più in generale, al fatto che si va sempre più verso un mondo facilitante, mentre dovremmo riscoprire la bellezza e la durezza dello studio. Fino agli anni Settanta abbiamo dovuto parlare di diritti e dovevamo conquistare certi diritti dei ceti più bassi, ma sono più di trent'anni che in questo paese non si declina più la parola doveri. Ai giovani viene trasmesso, anche dalle famiglie, il messaggio che la laurea non ha più il valore di una volta e in generale non c'è più l'educazione al lavoro, alla durezza della fatica.
Il magnifico rettore è forse un nostalgico e anche un po' snob. Può darsi. Nel mio piccolo però posso confermare che davvero nei ragazzi c'è ormai il rifiuto per tutto ciò che costa sforzo e non c'è il gusto del conquistarsi qualcosa con l'impegno e la fatica. Forse sarò conservatrice e desueta anche io, ma trovo che questo andazzo sia triste e desolante. La vita facilitata e predigerita (ammesso di poterla veramente ottenere) è una vita che non sa di niente.
Mi vengono in mente i miei figli: il grande che pontifica che "studiare non serve a niente, me lo ha detto la prof" (non so se sia vero o se sia una sua personale interpretazione) mentre il piccolo che adotta come criterio di scelta della scuola superiore: "voglio andare dove si fa meno". Non c'è male: proprio figli del loro tempo.
Io credo che i tuoi figli sono i figli di S. e R. e quello che emergerà sarà l'indirizzo impresso dai genitori ( e dalla scuola) e sicuramente avrete sempre motivo di essere orgogliosi di loro. Di questo non ho il minimo dubbio.
RispondiEliminaL'importante è che i figli abbiano genitori consapevoli, attrezzati culturalmente per ribattere ad eventuali obiezioni sull'inutilità dello studio e contrapporsi al messaggio diseducativo del successo personale da raggiungere -in termini di soldi e popolarità - attraverso la via più facile. Certo, rispetto ad alcuni fa il titolo di studio non è purtroppo più una garanzia , ma la cultura serve comunque per imparare a pensare con la propria testa, per sviluppare il senso critico, per attraversare i momenti difficili con consapevolezza.
RispondiEliminaBuona serata
Dolores
Non si può negare che - con tutto il rispetto per chi si dà da fare e lo fa con piacere: erano tanti una volta e sono altrettanti oggi - quanto si richiede oggi agli studenti sia meno di quanto si richiedeva anche solo 20 anni fa.
RispondiEliminaIn ogni caso, non credo che 20 anni fa (o prima), tra una strada facile e una strada difficile, lo scolaro scegliesse quest'ultima ;-)
Merita ulteriori indagini la frase della prof del grande!
Rispetto ad un tempo, credo sia anche definitivamente svanita la speranza che la cultura e l'istruzione fossero veicoli di promozione sociale: i genitori spingevano i figli a studiare perchè volevano per essi una vita migliore, e noi ci abbiamo giustamente creduto.
RispondiEliminaMa oggi, se io ripeto ai miei figli che la cultura e l'istruzione sono gli unici strumenti che consentono di scegliere la propria vita invece di farsela scegliere, so che sostenere questa tesi di fronte ad un mondo di furbi e di veline è come lottare contro i mulini al vento. Non ci resta altro da fare che continuare a seminare, sperando che qualche seme attecchisca (ed io vedo che succede, nonostante tutto!)
Ha un valore, la domanda: cazzo studiamo a fare se dobbiamo morire?
RispondiEliminaPotrebbe nascondere un'altra domanda: cazzo studiamo a fare se quello che studiamo non ci fornisce strumenti per rispondere alla domanda che cazzo studiamo a fare se dobbiamo morire?
Parlare bene fa bene all'anima? Mica scontato: anzi, troppo spesso la scuola insegna a parlare bene per fregare il prossimo proponendosi come primo prossimo che si fa fregare. Dài, ragazzo, impapocchiami un bel discorso, astratto che più astratto non si può, e io ti dò un bel voto: andrai forte nella vita, tu!
Non so. E poi, scusa, ci sono tanti ragazzi che conoscono, eccome, il lavoro, l'impegno dello studio.
Deve essere uno di quei momenti di inevitabile sconforto genitoriale, il tuo. Una paura. Per così come va il mondo. A un certo punto della mia vita di genitore mi sono detto: si sbaglia comunque, vale non fare gli errori peggiori. Quali sono i peggiori? Una graduatoria non è impossibile, penso. Uno è, per me: parlare bene e razzolare male. Essere doppi. Fingere di essere quelli che non siamo. La bugia è la madre di ogni follia. Anche se detta bene, con belle parole.
Non so se ho capito bene il tuo intervento, Rom. Comunque il mio accenno ai miei figli era una battuta. Il loro atteggiamento riflette l'andazzo generale e io ormai mi sto un po' rassegnando a sentirli lontani dal mio sentire. Di errori come genitore ne ho fatti sicuramente tanti ma li ho fatti in buona fede.
RispondiEliminaParlare "bene" ha tante gradazioni e tante accezioni. E' chiaro che la forma non e' tutto, pero' la trascuratezza non mi piace comunque. Forse saro' antiquata ma detesto il "chissenefregatantosicapisce".
Il tema sul quale mi piaceva riflettere e' quello dell'impegno e della soddisfazione che puo' dare ottenere una cosa con un certo sforzo. Ecco questo gusto mi pare che ci sia sempre meno e non solo tra i giovani.
Penso ai miei colleghi quando protestano scandalizzati cominciando la frase con "mi tocca..."
Ma come semianalfabeti laureati? Com'e' possibile? Dove hanno studiato se non sanno leggere? E come hanno prodotto la tesi se non sanno scrivere?
RispondiEliminaPer Dario.
RispondiEliminaNon penso che si esca dall'università semianalfabeti, penso piuttosto che ci si arrivi con qualche lacuna, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza e l'utilizzo del linguaggio scritto. Per mero privilegio anagrafico ho frequentato le scuole elementari nell'epoca in cui si insegnava a "leggere, scrivere e far di conto". La maestra ci faceva fare in continuazione dettati per controllare se avevamo ben assimilato l'utilizzo dell'acca, dell' apostrofo, degli accenti, se avevamo ben chiaro che soqquadro si scrive con due "q" e taccuino con due "c". In terza elementare nessuno commetteva più errori di ortografia, pur essendo la classe composta da 30 bambine provenienti in maggioranza da famiglie con un livello di scolarità piuttosto basso. L'utilizzo del congiuntivo e del condizionale alla fine delle elementari era patrimonio acquisito per tutte. E'chiaro che queste basi poi te le portavi dietro per sempre.
Non saprei dire cosa sia cambiato negli anni, certo è che una volta, come si dice, eravamo un popolo di analfabeti che in televisione seguiva la prosa e ci siamo trasformati in un popolo di laureati che guarda (non tutti, certo!) "Il Grande Fratello" . Fuori dagli scherzi, Dario, può darsi semplicemente che in molte facoltà gli esami orali prevalgano su quelli scritti e così gli errori di grammatica e sintassi possono non venire fuori. Può anche darsi che per molti laureati la sostanza prevalga sulla forma e che l'utilizzo delle e-mail al posto delle lettere formali sul lavoro abbia portato al prevalere di una lingua parlata "trascritta" molto più diretta e colloquiale e qualche "dettaglio" sia saltato.
Buona serata
Dolores
Quando ci sono genitori attenti, i figli saranno altrettanto, l'importante è stimolare i ragazzi e se anche inizialmente non ameranno lo studio e si chiederanno - ma a cosa serve lo studio con i tempi corrono? - alla fine si applicheranno. Ciò che conta è far comprendere che quello che si semina troverà la sua utilità, senza l'istruzione l'anima inaridisce e le aspettative in qualunque campo anche. Le statistiche dicono il vero, i giovani giungono all'università carenti di cultura, non amano scrivere e parlano sgrammaticato, la scuola dovrebbe impegnarsi di più ed anche le famiglie.
RispondiEliminaBuona serata cara, ti lascio un abbraccio al profumo di mimose.
annamaria
che studiare (da un punto di vista economico e sociale) non serva in questo Paese è vero. anzi ti penalizza. Perdi anni all'università per poi ritrovarti in un marasma di precariato, co.pro, partite iva finte, quindi non solo parti in ritardo, ma non hai prospettive di recuperare minimamente gli anni persi, anzi continui a perdere terreno.
RispondiEliminaGli amici che non hanno fatto l'università sono generalmente sistemati con un lavoro regolare, hanno casa, figli.
noi non lo sapevamo ma temo che i quindicenni di oggi sì...
Resta il lato personale. Studiando impari ad imparare, ad applicarti. e soprattutto ad esprimerti, e quindi a pensare. A giudicare con la tua testa, a non farti abbindolare, a fare le scelte della tua vita.
Però è un po' difficile convincere i ragazzi con queste argomentazioni...
P.s. per Dario
RispondiEliminate le raccomando certe tesi...
mi spiace dirlo ma quella di mia sorella piccola (ricca nella sostanza, è stata anche pubblicata nel suo settore ultra specialistico) a leggerla ti girava la testa per il disordine sintattico, e l'infantilità del lessico.
è che all'università mica fai grammatica e analisi logica, io per cinque anni ho studiato soprattutto formule,
certo l'epsilon piccolo a piacere non l'ho dimenticato, ma non è che mi abbia arricchita liguisticamente...!
Capisco l'amarezza del tuo bilancio, Manu. Ma se tu avessi un figlio adolescente cosa gli consiglieresti? Di puntare a fare il calciatore o la velina? Oppure di smettere di studiare e fare l'apprendista idraulico o imbianchino o il cameriere? Massimo rispetto per questi mestieri nei quali però la concorrenza della manodopera straniera non gioca certo a tuo favore. I tuoi amici non laureati sono sicuramente "sistemati" ma sono anche soddisfatti?
RispondiEliminaE' difficile consigliare un ragazzo oggi. E non credere che il fatto che "studiare non serve" lo dicano per preveggenza. Credo che se dovessero andare a lavorare ora non sarebbero tanto contenti, avrebbero assai meno tempo libero, sarebbero più stanchi la sera, non si potrebbero permettere di giocare al loro amato calcio e così via.
Prima o dopo i tuoi figli cpiranno. Oggi fanno molta più fatica a capire che la scuola è importante. Per questo il lavoro dei genitori è più duro e, se lo fanno bene, anche quello degli insegnanti.
RispondiEliminaIl guaio è per chi non ha genitori alle spalle ed una scuola "rasseganta".
Un abbraccio
è che la vita non è solo lavoro. avere un Lavoro significa poter costruire tutta una serie di cose importanti. casa, figli, interessi personali. non è facile vivere senza quasi mai ferie se non qualche giorno risicato qua e là, senza coltivare interessi che non siano il lavoro (io da due anni e mezzo non finisco mai prima delle sei e mezzo, di solito sette, a volte ben più tardi: impossibile avere una vita oltre la giornata lavorativa, impossibile legger un libro...).
RispondiEliminae io sono fortunata perchè il mio lavoro mi piace, ma c'è chi lavora alle stesse condizioni senza avere la mia soddisfazione.
nella vita si deve poter progettare, non poterlo fare ti spegne, ti rende amaro e sfiduciato.
tra l'imbianchino e il laureato ci sono tante vie di mezzo. che credo siano le migliori, il giusto compromesso. almeno in questo momento in questo Paese.
Mia cara, ne avevo parlato qui: http://ilsilenziodeisentimenti.splinder.com/?from=5 dei dati Ocse, che spiegano anche perchè una buona parte di italiani scelgano il papi e la sua cricca e di come la persuasione palese e occulta delle tv commerciali, soprattutto, abbia provocato questa scelta eversiva.
RispondiEliminaI tuoi figli, purtroppo, sono figli del loro tempo, ma hanno genitori in grado di fornire le migliori e più eloquenti risposte con la coerenza e con l'esempio.
Oggi sembra affermata, ahimè, l'idea che l'ignoranza sia un valore. Tra qualche anno, però, quando i coetanei europei dei tuoi figli li sorpasseranno con facilità, arrivando sempre prima di loro (non dico dei tuoi figli, ma dei figli in generale) qualche domandina se la porranno e il rimpianto non mancherà di certo. Lo studio, la cultura, la sana curiosità pagano sempre e si rivelano vincenti.
Non scoraggiarti, d'accordo? E grazie per questi preziosi apporti. Naturalmente condivido le riflessioni del rettore.
Un caro abbraccio
P.S. Ho integrato i tuoi commenti da me e scusami per l'autocitazione.
brevemente sui tuoi figli: ti sorprenderanno per partecipazione e capacità di scegliere e agire. Adorano provocare, le piccole canaglie!
RispondiEliminaInvece sul discorso della scuola in generale i giovani percepiscono sia il disprezzo che viene riservato dalla cultura dominante alla istituzione scuola sia la sua scarsa significanza nell'avanzamento sociale.
Non possiamo aspettarci che in un clima sociale di esaltazione del successo facile i giovani siano capaci di fare argine.
marina
Manu, pero' non mi hai risposto: cosa consiglieresti ad un ragazzo che deve scegliere la scuola superiore? Di concentrarsi su un tecnico che gli fornisce un diploma spendibile sul mercato del lavoro o di scegliere un liceo che da' per scontato il proseguimento degli studi?
RispondiEliminaE' questo il dubbio di fondo.
Marina: lo so che provocano. Infatti (e rispondo anche a Marco) scavando si e' scoperto che l'affermazione della prof era: "e' inutile studiare tutto insieme la sera prima dell'interrogazione, bisogna farlo volta volta". Concetto che non gli ripetiamo tutti i giorni ma che non entra nella sua testolina.
Dimenticavo: Frank hai fatto benissimo a citarti. Ottimo l'articolo di Alessandra Muglia "Analfabeti, un popolo in crescita"
RispondiEliminaconcreta come sempre eh? :)
RispondiEliminaecco la mia risposta (per quel che vale data la difficoltà del tema...):
se vuole realizzare una vita "normale" gli consiglierei un istituto tecnico, di quelli buoni (che non sono mica sempre più facili di un liceo e richiedono un impegno serio), non una scuola professionale, per intenderci, che poi spesso ti indirizza a lavori pesanti (mannaggia i miei colleghi operai sui tetti in ogni stagione a montare impianti...). Scuole che comunque ti lasciano aperte le porte dell'università se poi decidi di proseguire.
se invece vuole studiare, se ama la conoscenza di per sè, meglio il liceo, l'importante è non pensare che studiare ti porterà ad elevarti economicamente e socialmente. se uno vuole fare il ricercatore perchè ama la professione, bene, ma sia consapevole delle conseguenze (per fare un esempio estremo).
i tuoi figli sono di una generazione che incontrerà il non contratto anche con un istituto tecnico, temo. ma almeno che non si facciano anni di università con l'idea che poi sarà remunerativo, a meno, s'intende che non lo facciano per sè, o molto molto determinati a combattere. insomma, no allo sudio protratto a tutti i costi.
sono cose che dico a posteriori, perchè a 34 anni, a forza di credere nello studio, mi sono accorta di non aver costruito niente delle cose importanti della vita.
poi anche il fatto della cultura... neanche tu sei laureata, ma sei molto più colta di me che lo sono. la cultura, data una base di partenza comunque importante, poi uno se la fa, io da quando mi sono laureata se leggno tre libri l'anno (in vacanza) è tanto.
Grazie Manu e grazie anche del complimento (non so quanto sia vero ma mi fa davvero piacere).
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