mercoledì 8 febbraio 2012

Del cielo azzurro ci occuperemo più avanti

"La Cina è la base produttiva del mondo e intende restarlo." Inizia così, con le parole di un rappresentante della camera di commercio cinese, un interessante reportage di Radiopopolare che Controradio ha ritrasmesso di recente (ho scoperto solo dopo che esso risale a qualche anno fa'). Massimo Rebotti, l'autore, partecipò infatti ad un viaggio nella Terra di mezzo insieme ad alcuni sindacalisti CGIL della Lombardia. Pur tenendo conto che probabilmente qualcosa sarà cambiata in questi anni, il reportage colpisce per vari aspetti: la Cina come trionfo definitivo del prodotto, le prime timide preoccupazioni per l'inquinamento, la quantità strabiliante di abitanti che si addensa in certe aree del paese, il ruolo per noi anomalo dei sindacati cinesi.
"Oggi a Pechino il clima non è male" esordisce la rappresentante del ministero dell'ambiente cinese mentre gli ospiti osservano dal venticinquesimo piano del grattacielo, sede del ministero, il brulichìo incessante delle strade sottostanti, trafficate ai limiti del collasso, e soprattutto la densa cappa di smog. Pare che comunque l'inquinamento sia ben peggiore in quelli che chiamano "parchi industriali" o "aree speciali di sviluppo", zone enormi nelle quali, secondo un preciso piano, si concentrano le più grandi aziende, statali, multinazionali o a capitale misto. Posizionate strategicamente vicino a porti, aeroporti e grandi strade, esse attirano masse di lavoratori e facendovi sorgere a margine dal nulla nuove città, avveniristiche e inquietanti come Tianjin, 11 milioni di abitanti, nata senza storia né tradizioni, solo come retrovia delle aziende, che a noi Europei sembra un posto da incubo.
In questi "parchi industriali", soprattutto quelli creati nell'Ovest per sollevarlo dalla sua arretratezza, in nome dello sviluppo, si sono accettate anche produzioni molto inquinanti. "Del ritorno del cielo azzurro ci occuperemo più avanti" affermano alla camera di commercio di Chongqing (più 30 milioni di abitanti!).
I sindacalisti lombardi insistono per visitare una fonderia e si rendono conto che le condizioni di lavoro sono quelle che si avevano in Italia negli anni Sessanta. Il sindacato ufficiale in Cina infatti fa parte della triade partito-governo-sindacato e quindi si preoccupa più della produzione che delle condizioni di lavoro ("il nostro compito di lavoratori è contribuire allo sviluppo del paese. Se l'azienda va bene i lavoratori ne traggono benefici"). Qualcosa però sta cambiando da quando sono arrivate le multinazionali e nelle rivendicazioni nei loro confronti, qualche volta, il sindacato ufficiale ha preso posizione a fianco dei lavoratori. Il sindacalista infatti ammette alla fine che gli scioperi in Cina ci sono, soprattutto per la riduzione degli orari e per l'abolizione della pratica dello straordinario non pagato. Fenomeno ampiamente confermato dai sindacati dei dissidenti, che, rifugiati ad Hong Kong, curano il China Labour Bulletin: "Lo sciopero in Cina non è né legale né illegale, semplicemente non se ne parla".
Mi piacerebbe davvero un aggiornamento di questo viaggio perché la Cina non è così lontana. Da questo grande paese si capiscono molte cose che ci riguardano da vicino.

3 commenti:

  1. Uhm... si', pero' ogni volta che si parla di Cina mi viene il sospetto che ci sia almeno in parte della propaganda anti-cinese, protezionistica della nostra economia. Dici che sono un po' troppo complottaro?

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  2. Non saprei. Non mi pare proprio che la nostra economia "si protegga" da quella cinese. Siamo circondati di oggetti made in PRC!

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  3. infatti. Non si protegge, ma ci prova con la propaganda...?

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