Quest'estate si sono susseguite a Fahrenheit Radio 3 letture e analisi dell'attuale crisi economica con ipotesi di vie d'uscita.
Una piuttosto affascinante, anche se di difficile approccio, è stata quella di Mauro Magatti, professore di sociologia all'Università Cattolica di Milano e
autore de "La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto". Mi ricordo di aver sentito questa intervista in campagna mentre preparavo delle mele cotte e mi sono detta: "Interessante, anche se ci ho capito poco. La metto da parte per un post e magari, riascoltandola con più attenzione, mi risulterà più chiara". A dire il vero anche al secondo ascolto tanto chiara non mi è parsa, ma, come sempre, sono affascinata da queste analisi a largo raggio, che vanno oltre la quotidianità e cercano di spiegare l'oggi guardando a ieri.
Magatti vede la crisi del 2008 come un infarto, il collasso di una fase storica iniziata alla fine degli anni Settanta - inizio anni Ottanta con l'avvento dei governi neoliberisti e che poi si è affermata a partire dall'Ottantanove con la caduta del muro di Berlino. Si tratta dei primi trent'anni in cui in una larga parte del mondo, quello Occidentale fatto da Europa e Stati Uniti, il novanta per cento della popolazione ha avuto accesso a inedite condizioni di libertà, ragionevole benessere economico, discreta democrazia politica e ampio accesso ad un pluralismo culturale; un modello di libertà di massa che però era fragile.
Questi ultimi trent'anni sono figli della stagione precedente, gli anni Sessanta, con le sue luci e le sue contraddizioni. Dal Sessantotto è venuta una richiesta di libertà soggettiva e postmateriale che è stata incarnata dall'economia, la quale ha capito meglio della politica che le persone desideravano fare esperienze e provare emozioni ancor più che possedere beni.
Oltre a questo, sempre secondo il professor Magatti, per capire questi ultimi trent'anni non bisogna dimenticare l'evoluzione poderosa della tecnica e soprattutto del sistema di comunicazione. Non è un caso che proprio dagli anni Settanta ci sia stata la nascita delle TV commerciali private seguita dalle antenne paraboliche ed infine da internet. Risultato è che siamo immersi in un ambiente mediatizzato dove tutti possono dire qualunque cosa senza nessun impegno né di coerenza né di veridicità.
Alla fine, secondo il sociologo, creiamo una realtà fantasmagorica dove la verità dipende dalla forza con cui una cosa viene affermata, dal suo impacchettamento. Rischiamo cioè di credere a tutto oppure di non dare più valore a nulla.
A ciò si aggiunge ancora, eredità del Sessantotto, il disconoscimento di ogni autorità al di fuori di noi stessi. Il sacrosanto diritto di pensare ciascuno con la propria testa associato alla modalità orizzontale di internet non ha come risultato di farci capire meglio la realtà che ci circonda quanto di farci galleggiare in questo mondo ultramediatico.
Insomma una società dove regna il regime dell'equivalenza, tutto e il contrario di tutto, tutte le opinioni sono ugualmente rispettabili, tutto si polverizza e il confine tra illusione e realtà diventa sottilissimo.
Una società definita da Magatti Capitalismo tecno-nichilista: un capitalismo che ha messo al centro un sistema tecnico planetario e ne ha sfruttato la potenza fino al collasso. Un sistema nichilistico perchè il sistema dei media consuma rapidamente tutti i significati che esso produce, distrugge i valori e rende insensata qualsiasi fede o anche semplicemente mantenere una certa coerenza.
Concetti difficili che però il sociologo raffigura efficacemente nell'immagine di noi, abitanti del mondo occidentale, costretti a correre sempre più forte come criceti dentro la ruota che la tecnica fa girare sempre più velocemente, vittime di una carenza di senso pazzesca, sia sul piano personale che sul piano collettivo.
Subito dopo aver trovato il farmaco salvavita per superare l'infarto della crisi, secondo Mauro Magatti, bisognerebbe cominciare a parlare delle sue cause sia strutturali che di comportamento e sviluppare un nuovo immaginario sintetizzato nell'intervista in tre tappe: 1) riammettere la realtà, 2) assumere il limite, 3) discorrere sulla trascendenza.
Insomma in qualità di esseri liberi abbiamo una grande chance: mettere al mondo il valore che dà un senso alla nostra vita ed amarlo, che sia un figlio, che sia un'impresa, che sia un'associazione di volontariato, che siano i nostri studenti, ecc.
Molto più abbordabile, forse anche troppo semplice, invece la lettura della crisi fatta da Andrea Segré, Preside della Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna, con il suo libro "Economia a colori.
Il senso del limite, auspicato da Magatti, ritorna in Segré, che afferma di guardare, come agronomo, il mondo "dal basso verso l'alto", ed è anzi al centro della sua visione perché, come diceva Goethe, "le piante non crescono fino in cielo".
La sfida, secondo l'agronomo, è assicurare a tutti una qualità e una quantità adeguata ma non oltre e semmai espandere i beni non materiali: la ricerca, la cultura, la spiritualità, le relazioni. Il professore non è convinto fino in fondo dal Movimento per la decrescita, che vede come una bella utopia che fa pensare un futuro diverso ma difficile da mettere in pratica. Chi decide, per esempio, chi deve decrescere?
Per Segré ci vuole il passaggio successivo: una società fondata sull'ecologia economica, dove cioè la natura sta al centro e l'economia è solo uno dei suoi tanti capitoli.
Poichè dopo questa crisi nulla sarà come prima, dovremmo provare ad immaginare una società diversa: meno sprechi, meno rifiuti, più ecosostenibilità vera (oltre il green washing dove il prefisso "eco" sembre risolvere magicamente tutto), più valore alle relazioni, come quelle che stanno alla base della piccola esperienza del Last minute market, che Andrea Segré ha realizzato in più di 40 città, e che fa intravvedere un'economia che passa anche attraverso il dono.
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