In questi giorni tutti rievocano l'alluvione di Firenze di cinquant'anni fa. La retorica degli angeli del fango, le testimonianze dirette, la città che seppe rimboccarsi le maniche e autorganizzarsi senza aspettare gli aiuti nazionali che ritardarono tantissimo.
Stamattina camminavo lungo l'Arno al Parco delle Cascine. L'acqua marrone del fiume scorreva veloce sotto un cielo plumbeo. Alla pescaia si ammirava tutta la forza impetuosa della massa dei flutti e si poteva avere un piccolo assaggio di cosa poteva essere cinquant'anni fa.
Io non avevo neppure quattro anni e abitavo al settimo piano di un palazzo nella periferia Nord di Firenze dove la piena non arrivò. Ho un vago ricordo però di allarme e concitazione tra i miei genitori, con mio padre che voleva andare a vedere cosa fosse successo e mia madre che non voleva che lui uscisse di casa. Non so bene se è un ricordo diretto o frutto di racconto successivo, tuttavia pare che quando vidi mio padre prepararsi per uscire, corsi a mettermi i miei stivaletti di gomma per andare con lui. Mi bloccarono sulla porta con la scusa che li avevo messi al contrario e mio padre mi lasciò a casa.
Mi spiace un po' non avere ricordi di un evento importante per la mia città tranne il fatto che in quel periodo mancava spesso l'acqua dai rubinetti e saltava la corrente.
Certo, fecero bene i miei genitori a non farmi correre rischi. Tuttavia nei giorni seguenti, passato il pericolo, avrebbero potuto portarmi a vedere la città devastata dal fango. Avrei avuto anch'io il mio personale ricordo dell'alluvione.
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