La incontro spesso sull'autobus al ritorno dal lavoro. Con il suo zaino di tipo scolastico, la sua aria un po' a secchiona. E' una collega ricercatrice. Il suo contratto con l'ente scadrà a fine gennaio e dopo non si sa se sarà rinnovato oppure no. Non sappiamo nemmeno se ci saranno concorsi per assumere a tempo indeterminato. Il nostro presidente sta trattando con il ministro Brunetta e nessuno ad oggi può dare alcuna certezza.
Di solito parliamo del più e del meno. Lei e il marito hanno una casa vicino all'istituto ma non hanno a chi lasciare la bambina, che ha meno di un anno. Allora lei si è trasferita dai genitori che abitano a ottanta chilometri da Firenze. Tutte le mattine si alza alle cinque, prende l'auto fino alla stazione, poi il treno e poi il bus. Il pomeriggio al contrario. Infatti è sempre in ansia che il bus ritardi e le faccia perdere il treno. Il marito vede la figlia nel finesettimana.
L'altro giorno la vedo particolarmente nervosa e capisco che ha voglia di sfogarsi. Mi racconta che ha avuto una proposta di lavoro in una grande azienda ma sempre a tempo determinato per un anno e con un orario sicuramente meno favorevole per la sua situazione familiare. "D'altra parte", mi dice, "e se a gennaio rimango senza lavoro perché non mi possono rinnovare questo contratto? E poi in questo periodo non sono in grado di dare il meglio di me con la vita che faccio. Non sono neanche più tanto giovane. A trentacinque anni non posso contare su tante altre proposte di lavoro."
Salutandola pensavo alle mie maternità vissute con la massima tranquillità del posto garantito. Pensavo a chissà quanti casi come il suo ci saranno. Mi chiedevo come fanno i giovani a pensare di fare figli in situazioni così. Mi chiedevo perché bisogna sempre contare a tutti i costi sulla famiglia di origine per poter crearne una propria. Non è naturale. Non è giusto. E mi è salita una gran rabbia.
Di solito parliamo del più e del meno. Lei e il marito hanno una casa vicino all'istituto ma non hanno a chi lasciare la bambina, che ha meno di un anno. Allora lei si è trasferita dai genitori che abitano a ottanta chilometri da Firenze. Tutte le mattine si alza alle cinque, prende l'auto fino alla stazione, poi il treno e poi il bus. Il pomeriggio al contrario. Infatti è sempre in ansia che il bus ritardi e le faccia perdere il treno. Il marito vede la figlia nel finesettimana.
L'altro giorno la vedo particolarmente nervosa e capisco che ha voglia di sfogarsi. Mi racconta che ha avuto una proposta di lavoro in una grande azienda ma sempre a tempo determinato per un anno e con un orario sicuramente meno favorevole per la sua situazione familiare. "D'altra parte", mi dice, "e se a gennaio rimango senza lavoro perché non mi possono rinnovare questo contratto? E poi in questo periodo non sono in grado di dare il meglio di me con la vita che faccio. Non sono neanche più tanto giovane. A trentacinque anni non posso contare su tante altre proposte di lavoro."
Salutandola pensavo alle mie maternità vissute con la massima tranquillità del posto garantito. Pensavo a chissà quanti casi come il suo ci saranno. Mi chiedevo come fanno i giovani a pensare di fare figli in situazioni così. Mi chiedevo perché bisogna sempre contare a tutti i costi sulla famiglia di origine per poter crearne una propria. Non è naturale. Non è giusto. E mi è salita una gran rabbia.
E' sempre stato difficile ma ora ancora di più.Non c'è mai stata una politica a favore della famiglia.Il futuro,i figli, si possono progettare solo con un contratto a tempo indeterminato alle spalle,è avvilente ma è così.
RispondiEliminaMa la cosa che fa più incavolare è che non si sta parlando della luna: all'estero le madri sono tutelate, l'infanzia rispettata, la famiglia garantita. Qui no. A quanto pare non è conveniente.
RispondiEliminaSe si riflette bene, in pochi decenni la società ha perso tutti quei diritti che faticosamente aveva acquistato (od almeno provava).. tutto ormai è precario: il lavoro, la famiglia, i risparmi... trasmettendo un'ansia diffusa e togliendo perfino l'unica cosa che non dovrebbe mai mancare: la speranza del futuro!
RispondiEliminaPer la verità non è necessario un lavoro a tempo indeterminato, basterebbe la sicurezza di trovare lavori a tempo determinato ! Voglio dire che in altri paesi (civili) il lavoratore precario è risarcito della sua insicurezza sul lungo periodo da stipendi più alti e adeguate tutele, quì se sei flessibile, sei flessibile solo fino a 90 gradi ! Che tenerezza però queste mamma che nonostante tutto è mamma, e che tristezza la sua tristezza...
RispondiEliminaSono troppe le donne che non hanno nessun aiuto e lo Stato se ne frega di loro, anzi col decreto gelmini diminuiscono le ore di asilo e di scuola...è pazzesco quanto quanto è cieco e stupido questo governo, ma in fondo è quello che mi aspettavo!!!...buona giornata con tanto affetto...carmela
RispondiEliminaLa rabbia e l'indignazione sono fortissimi anche per me.
RispondiEliminaChi è stato a togliere il futuro e le speranze di intere generazioni in cambio di un pugno di voti che garantiscono a vita la "casta".
Ora ci troviamo con una classe politica incapace di difendere i più deboli, i precari, i diversi, i giovani che vivono nell'incertezza del futuro, però
quei politici che hanno inventato la " flessibilità" del lavoro, ci avevano raccontato che quella era la modernità del non non fossilizzarsi, ma che cambiare era bello.
E sempre gli stessi sono ancora là, intenti nei loro giochini fatti di poltrone, scranni, strapuntini, presidenze e ricche prebende e pensare che erano (dicevano) di sinistra.
Aggiungo tutta la mia solidarietà e tutto il mio affetto per quella ragazza e a tutte quelle centinaia di migliaia di giovani che si trovano in situazioni difficili e col futuro scippato.
RispondiEliminaAuguro loro un futuro finalmente sereno, e una società migliore di questa.
Il 25 dicembre per cristiani è la festa della sacra famiglia (precaria), aderiamo all'invito di un'alta carica dello stato e festeggiamo alla grande spendendo tutta la tredicesima in regali, perché il futuro del paese è roseo e se qualche ragazza ha dei problemi finanziari, li può risolvere sposando un miliardario.
di fronte a queste tesi,non ho parole, ma questa è la società che ci siamo creati e questi governano il nostro futuro.
Vedo che questa storia ha colpito molti altri oltre a me. Non e' certo la sola e nemmeno la piu' drammatica, pero' un conto sono i numeri, un conto e' quando quel numero ha un nome, una faccia, una voce.
RispondiEliminaNon vorrei diventare troppo invadente, ma questi versi di Rita Santoro sono troppo belli ed attinenti al tema:
RispondiElimina"...Il mondo del 2000 scoprir vuole i tuoi pregi
ma tu questo pianeta da sempre lo sorreggi,
consolida il sapere che a società ti accosta
ti vuole emancipata e madre senza sosta"
Dedicato a tutte le Donne
Sileno
Grazie, Sileno. Sempre ben accette le tue "invasioni". :-)
RispondiEliminao si taglia la testa al toro. Non si fanno figli. Io non ci penso nemmeno.
RispondiEliminase resto incinta non lavoro più. Se sono stanca e devo correre a casa dal pupo perdo il lavoro.
Mia madre è una scapestrata, mio padre l'eterno assente, i suoceri sono anziani. Uno dovrebbe non lavorare.
con uno stipedio e un mutuo di trent'anni... in tre??? prima cosa via l'auto, ma poi come si vive senza?
Non è una scelta fra carriera e figli, ma fra lavoro e figli.
E' un tasto dolente Artemisia, tanto dolente che io sono arrivata al pensiero, io a questo Paese figli non ne dò. Paese che li ha fatti diventare un lusso, che pare che una donna che ha studiato e vuole fare un lavoro decente è da punire.
I figli restano una appannaggio di chi ha un contratto regolare, sempre più raro fra i lavoratori laureati. e poi come si fa a farli se non sai cosa farai i prossimi mesi? Vivere alla giornata a lungo andare è sfinente, e i figli richiedono energie, sempre in ogni istante.
Cara Manu, mentre scrivevo questo post pensavo proprio a te. Sapevo di toccare un tasto dolente. Sono scelte difficili. Mi ricordo una mia amica pianista che si arrovellava sul questo tema e mi diceva: "Quello che mi fa rabbia e' anche che mio marito potra' sempre piantarmi tra vent'anni e fare un figlio con una ventenne mentre io ho questo orologio biologico che mi impone una scelta entro una scadenza.
RispondiEliminal'aspetto più sgradevole di tutta la nostra triste vicenda italiana è quel riempirsi la bocca con la parola "famiglia" come sei bastasse pronunciarla per risolvere i problemi della famiglia; che poi in effetti sono i problemi DELLE famiglie, perché il termine poi lo devi riempire con una coppia (e chi se ne frega se è sposata, se è gay), con dei bambini, quando e se ci sono. Ecco, mi da veramente fastidio ascoltare questi sepolcri imbiancati che si lanciano contro le unioni civili, le coppie di fatto e l'aborto, scambiando l'effetto con la causa. Ma è come la sicurezza, sempre meglio parlarne in generale perchè nel particolare c'è la gente vera.
RispondiEliminaBelo però che nonostante tutto abbia avuto il coraggio di diventare mamma.
e poı dıcono che ı gıovanı non pensano, non hanno cervello, non sı ınteressano, pensano pıu alla playstatıon che ha studıare e a pensare al futuro....
RispondiEliminama chı cı vuole pensare a un futuro cosı??
Che forza che hanno certe donne,mia cara Arte.Riescono a dividersi in tanti ruoli diversi.Basterebbe un po' più di rispetto e considerazione e sarebbero anche felici.
RispondiEliminaCristiana
PS
L'altroieri Augias ha mostrato alcuni cartelli relativi alla manifestazione.C'era anche il tuo un po' riveduto.L'ahi visto?
deniz sono ıo.... scusamı....
RispondiEliminaCiao. Bel post. Sarebbe bello dire che il caso della tua amica e' triste ma isolato, ma ho paura che sia piuttosto generalizzato.
RispondiEliminaScusa ma passo solo per un salutino. Sto benone, ho solo un diavolo per capello (che uomo impegnato!). Grazie per l'affetto.
Bene, Dario. Stavo in pensiero.
RispondiEliminaUn abbraccio
...c'è di peggio: conosco due miei coetanei ed oltre (ed uno è un mio amico) licenziati in tronco a oltre cinquant'anni, con poche speranze di ritrovare lavoro nel tessile. Uno ha provato a fare il muratore, ha retto tre giorni ed un crollo di impalcature e poi non ce l'ha fatta. Ambedue possono essere considerati ancora fortunati, con moglie che lavora, un solo figlio, no mutuo.
RispondiEliminaNon ho molte speranze di miglioramenti futuri.
Credo che ora si faccia anche molto allarmismo su "non arrivare alla fine del mese": ci arrivano persino i due di cui sopra. Il problema sono le prospettive.
La famiglia, le donne... quanta retorica che si sente... Il reato realmente in aumento nel 2007 è stato quello "familiare": ci si mena, ci si violenta.
Oh che bello
Beh ciao
E come può non salire la rabbia, di fronte a queste cose, putroppo sempre più diffuse? Il fatto è che ormai siamo arrivati a raschiare il fondo, e la via più facile e comoda, per mantenere i privilegi dei pochi, è quella di contrarre, fino ad eliminare del tutto, garanzie e sicurezza dei molti. Prospettive tetre, abbiamo davanti, anzi, mancanza di prospettive...:-(
RispondiEliminasì Artemisia non è giusto, non è umano e nemmeno civile.
RispondiEliminaL'organizzazione della società andrebbe rivoluzionata, questa nostra è disgustosa nella sua ingiustizia. Io penso, forse sono una sciocca, che forse si potrebbe lavorare tutti qualche ora meno efare un po' di posto a chi non ha lavoro; non so forse scrivo cazzate
marina
Marina, l'idea non e' sciocca e nemmeno nuova. Purtroppo, al contrario di qualche anno fa, sembra sempre piu' utopistica.
RispondiEliminaIo lo farei volentieri, nel senso sarei disposta a lavorare meno perche' il mio ente possa assumere una persona in piu'. Le norme ci sono. Il fatto e' che se io prendo il parttime (e un mio collega gia' lo fa) l'ente non puo' comunque assumere un altro lavoratore pagando il pezzo del mio stipendio a cui io rinuncio. Capisci? Infatti non abbiamo potuto assumere nessuno (neanche parttime) al posto del mio collega che fa il 33%. Lo trovo assurdo.
Non ho molto da aggiungere, vorrei però esprimere la mia solidarietà alla tua collega (e anche a liber) e dire che condivido le parole di molti di voi, soprattutto quelle di seneca52.
RispondiEliminaCiao gentilesca signora.
Irnerio
Sembrerebbe che una ventina di anni orsono il PIL veniva suddiviso col 50% al mondo del lavoro e 50% al mondo della finanza, oggi sembrerebbe che al mondo del lavoro vada il 40% e il 60% agli altri; è così che si spiegherebbero molte cose.
RispondiEliminaE' vero, Sileno, anzi, io avevo sentito parlare di una maggiore sproporzione a favore della finanza rispetto a quella che citi tu.
RispondiEliminaGiocano davvero con la vita della gente e questo fa rabbia davvero anche a me. Quante storie senti... E' terribile, Giulia
RispondiElimina