mercoledì 28 settembre 2011

Rincorrendo il palinsesto

La ripresa autunnale delle mie trasmissioni preferite mi trova orfana, ancora per il momento, del servizio offerto da Vcast mentre il digitale terrestre non mi permette ancora di registrare i canali RAI, in particolare la mia amata RAI3.
E così sono costretta ad arrabbattarmi un po' con le vecchie cassette VHS, un po' con quello che si trova su RAI.tv (o entro la settimana su RAI Replay) per vedere, per esempio, il ritorno di "Presa diretta" il programma di Riccardo Iacona che per me rimane un gioiello dell'informazione. Sinceramente l'assenza di Santoro mi trova piuttosto tiepida e il suo clone costituito da "Piazza pulita" su LA7 non mi piace perché delle chiacchiere degli esponenti politici non me ne importa proprio nulla.
Iacona (e i suoi ottimi collaboratori come Domenico Iannacone) invece va nei quartieri poveri di Napoli e ci fa vedere in quali misere case vive la gente, fa parlare i diretti interessati che arrivati a cinquant'anni, avendo sempre lavorato a nero, non hanno uno straccio di pensione, ci fa vedere le classi semivuote a causa della dispersione scolastica, gli insegnanti che comprano di tasca propria pennarelli e cartoncini pur di fare attività con i bambini, come è ridotta Bagnoli dopo vent'anni dalla chiusura delle acciaierie e tanti soldi spesi e quello che invece hanno saputo fare i tedeschi nella zona della Ruhr.
Altra trasmissione da rincorrere, ripartita in questi giorni, è Le storie - Diario Italiano, di cui tante volte ho parlato sul blog, con un Augias che ho trovato un po' affaticato e quasi affranto, combattuto dalla costante tentazione dell'invettiva contro la politica nazionale. Bella comunque la puntata su Angelo Vassallo con ospite il fratello Dario, che ha scritto nel libro "Il sindaco pescatore", la storia di questo amministratore che "ha trasferito la praticità, l'intelligenza e la durezza della sua attività di pesca nella pubblica amministrazione". Dario Vassallo racconta di quanto ha lottato suo fratello per difendere gli interessi del suo paese, attaccato da tante parti compresa certa magistratura, di come sia riuscito a liberarsi di un Segretario Comunale che non faceva il suo dovere, a portare la raccolta differenziata all'80%, a installare il primo depuratore di tutto il Cilento che ha reso il mare di Acciaroli il più pulito d'Italia. Una persona integra, che si prendeva le sue responsabilità, cosa che in Italia oggi non fa più nessuno.

lunedì 26 settembre 2011

Marciando tra Perugia e Assisi

"Quanto ritiene efficace la manifestazione per raggiungere i due obiettivi della pace e fratellanza dei popoli e della lotta contro le ingiustizie sociali?" pone una delle domande presenti nel questionario che mi è stato consegnato mentre marciavo alla volta di Assisi.
Ad essere sincera, penso che, dal punto di vista dell'efficacia, la Marcia per la Pace e la fratellanza tra i popoli serva a ben poco. Direi che è più un atto di testimonianza e di condivisione.
La cosa più bella della marcia Perugia-Assisi è il caleidoscopio di persone che vi partecipano: giovani, anziani, bambini, famiglie, migranti, scout, animalisti, ambientalisti, tante scolaresche con il loro striscione, associazioni di ogni tipo, dalla Lipu all'Avis, da Libera alla CGIL, dalle ACLI agli anarchici. Tutti si dichiarano (almeno a parole) contro la guerra. E chi non lo è. Quanto poi alla pratica quotidiana della nonviolenza (senza il trattino), del superamento dell'aggressività, del risentimento e del rancore, della soluzione pacifica di ogni tipo di conflitto (anche banale e spicciolo), beh, su questo, diciamo che c'è da lavorarci su.
Ciò nonostante quest'anno ho voluto parteciparvi, un po' perché si celebravano i cinquant'anni dalla prima marcia promossa da Aldo Capitini (quanti dei partecipati sanno chi è?), un po' perché è un'esperienza antropologicamente interessante, un po' perché vi regna un'atmosfera festosa, allegra e creativa.
Insomma il serpentone di venti chilometri di persone che ha marciato tra Perugia e Assisi non basterà a fermare gli enormi interessi economici che stanno dietro le guerre, lo sfruttamento, il commercio di armi, però è stato bello esserci.


Consiglio la visione della puntata de La Grande Storia andata in onda il 3 ottobre 2011 ma rivedibile su Rai.TV.

sabato 24 settembre 2011

Il mio luogo del cuore


Da anni il Fondo Ambiente Italiano porta avanti il censimento "I luoghi del cuore" chiedendo ai cittadini di indicare i luoghi che sentono particolarmente cari e importanti e che vorrebbero fossero ricordati e conservati intatti per le generazioni future. Mi sono sempre chiesta se avessi anch'io un luogo del cuore ma non mi è mai venuto in mente un posto che, al di là dei ricordi personali, avesse senso raccomandare per la sua salvaguardia.
Ecco che forse l'ho trovato. Nel mezzo del Prato del Quercione al Parco delle Cascine sorge un abbeveratoio opera di Giuseppe Manetti (architetto vissuto al tempo del Granduca Leopoldo) chiamato "Fontana delle boccacce". Quand'ero bambina i miei genitori mi portavano spesso la domenica su questo pratone, per giocare, correre e passare una giornata all'aria aperta. A me, che sono sempre stata un maschiaccio e non stavo mai ferma, piaceva moltissimo arrampicarmi sulla vasca che circonda questo abbeveratoio, dove quasi mai scorreva l'acqua, e girarci intorno, saltar giù, rimontarci su, far finta che fosse un palcoscenico ove cantare, ballare e così via. Ho sempre associato la vista di questa fontana a qualcosa di familiare come possono essere i luoghi ove abbiamo trascorso tante ore.
Recentemente l'abbeveratoio è stato restaurato e presumo che sia anche tutelato dalla Sovrintendenza. Perciò forse non vale la pena di segnalarlo al FAI ma, in ogni caso, mi piaceva mostrarlo qui con il suo bell'aspetto rimesso a nuovo.

mercoledì 21 settembre 2011

Piccoli umili oggetti quotidiani

Avete presente quei banali oggetti quotidiani, destinati ad umili funzioni per poi finire, dopo poco tempo, nel cassonetto e quindi in discarica? Assurdo affezionati ad una bacinella di plastica, comprata per poche migliaia di lire in uno di quei negozi di casalinghi senza grandi pretese. Eppure nell'atto di buttarla via mi sono resa conto che questa bacinella bianca ha ben diciotto anni. La comprò mia madre per fare il primo bagnetto a mio figlio maggiore, appena nato, visto che nella vecchia casa non avevamo una vasca da bagno.
Così ho voluto immortalare questa bacinella con la sua immagine di diciotto anni fa' accanto al ranocchietto nudo che aveva appena ospitato e che si faceva asciugare con aria un po' spaventata. Pochissimo tempo dopo, il recipiente è passato "ad altri incarichi", si è fatto il trasloco nella nuova casa e tanti tanti di quei viaggi in su e giù per le scale trasportando i panni sporchi in cantina e quelli puliti da stendere due piani sopra in mansarda. Forse anche gli oggetti soffrono il passare degli anni e da un po' di tempo la bacinella segnalava la sua stanchezza sbertucciandosi nei bordi, finchè, alcune sere or sono, le si è spaccato il fondo.
E così, dopo diciotto anni di onorato servizio, abbiamo deciso di accompagnarla al cassonetto. Riposi in pace. Se lo merita.

lunedì 19 settembre 2011

Ma perché tutto in questo periodo?


Dalla fine di agosto una specie di tour de force di feste, incontri, dibattiti, serate, occasioni. Prima la Festa Democratica sull'Informazione, poi l'Incontro Nazionale di Emergency, infine la Festa Regionale di Sinistra Ecologia Libertà. Vogliamo metterci anche il Festival del Viaggio e la Festa de Il Fatto Quotidiano? Praticamente tutti i giorni c'è qualcosa di un qualche interesse e ogni volta la difficile scelta tra i vari eventi concomitanti oppure tra il crollare a letto vinta dal sonno o infilare la porta di casa ed andare.
Alla Festa Democratica ho accuratamente evitato i big ed ho seguito invece con molto interesse altre iniziative minori ma molto più valide come la presentazione del libro "Informazione, istruzioni per per l'uso",  del giovane giornalista Giulio Sensi,  l'incontro con Debora Cartisano, conosciuta quest'estate in Calabria e che ho riascoltato molto volentieri, e il dibattito sul ruolo delle donne nell'informazione.
Alla Festa del PD si vive un certo dualismo tra la forte presenza di spazi commerciali, che la rendono troppo simile ad una fiera paesana, e l'atmosfera ancora casareccia e spontanea che si respira negli stand del partito dove si trova la parte migliore del PD, quella dei volontari, anziani o giovani, che ancora si sentono di prestare il loro tempo e le loro energie senza alcun ritorno che non sia un bel momento di socialità. Non è un caso che il ricordo migliore di questa festa siano per me le squisite ficattoline dello stand del Valdarno e gli ottimi cocktail preparati da mio figlio allo stand dei Giovani Democratici.
Un po' sottotono quest'anno l'Incontro Nazionale di Emergency, sarà perché mancava Gino Strada (collegato via Skype dal Dafur), sarà che le serate conclusive erano un po' più povere di ospiti, sarà che il pubblico non era straripante come le altre volte (forse proprio a causa della spietata concorrenza di altri avvenimenti contemporanei).
Per fortuna la Festa del Fatto Quotidiano alla Versiliana si può rivedere, anche un po' per giorno, sul sito del giornale. Non è la stesa cosa che esserci, ne sono consapevole, ma riesco in tal modo a non perdermi nessuno degli ottimi dibattiti dei tre giorni. Tra questi segnalo quello sull'economia (condotto da Stefano Feltri) che mi ha permesso di capire molte cose di cui si è parlato in questi mesi, e quello sulla politica con un incontenibile Maurizio Landini.
Quanto ad atmosfera "ruspante" la Festa Regionale di SEL batte tutti. Vi ho seguito un agghiacciante film sui fatti di Genova del 2001, "Bella ciao", prodotto da Carlo Freccero per la RAI e mai messo in onda ed un dibattito sulla manovra economica che vedeva ospiti diversi sindaci. Dopo un fugace intervento di Massimo Zedda, richiestissimo giovane sindaco di Cagliari, con la sua semplicità lontana anni luce dal teatrale Renzi (ha esordito con un applauditissimo "compagne e compagni" confessando umilmente di non essere "nuovo" ma di esser cresciuto a "pane e politica"), hanno parlato i sindaci di San Godenzo ("che potremmo vendere per fare cassa? Noi abbiamo tanti alberi nel nostro comune, che hanno il difetto che non pagano le tasse, ma hanno il pregio che almeno stanno zitti e non dicono cazzate come certi esponenti del governo"), quello di Lamezia Terme che deve placare le ire delle mamme che non hanno di che pagare la mensa per i figli, quello di Rio nell'Elba e il vulcanico Massimo Borghi, sindaco di Gavorrano, che con la sua voce tonante ha denunciato il fatto che tagliare i piccoli comuni significa tagliare spazi di democrazia e non "costi della politica", che sono ben altri a partire dagli apparati regionali.
Insomma un periodo intenso accompagnato da una domanda di fondo: ma perché la sinistra riesce a litigare persino costringendo i simpatizzanti a dividersi tra gli eventi organizzati in contemporanea?

sabato 17 settembre 2011

Donne

15 settembre, ore 16
Sono l'unica passeggera a bordo del bus numero 57. Il caldo, a quest'ora del giorno, è ancora inesorabilmente estivo. Dopo qualche fermata salgono tre donne, utilizzando tre porte diverse.
Dalla porta centrale sale una signora. Non saprei darle l'età. Ha dei bellissimi occhi verdi, ma il viso butterato e con una vistosa cicatrice sulla guancia. I fianchi completamente sformati sotto un paio di pantaloni di maglia neri e aderenti. I capelli nerissimi raccolti con una pinza come se avesse appena finito le faccende di casa.
Dalla porta anteriore sale invece una ragazza tra i venti e i trent'anni. Snella, tonica e abbronzata, veste calzoncini corti, canotta, scarpe da ginnastica, occhiali da sole. I capelli lunghi sono raccolti sopra il capo con uno chignon. Non è elegante ma sicuramente ha l'abbigliamento più adatto alla temperatura.
Infine dalla porta posteriore sale una giovane donna di pelle scura e i lineamenti africani. Non sono esperta, ma direi di origine somala o eritrea. Magra, il viso lungo, un vistoso ombretto blu sulle palpebre. L'unico capo di abbigliamento che porta consono alla stagione sono un paio di zoccoletti con il tacco appena accennato che mettono in mostra il bel piede snello e curatissimo. Per il resto veste un paio di jeans, una maglia accollata a maniche lunghe con sopra uno scamiciato nero lungo fino alle caviglie ed infine uno hijab
colorato che le lascia scoperto il viso ma le avvolge capo e collo. Il suo look è forse il più elegante e ricercato ma soffro per lei per il caldo che deve provare sotto quegli strati di stoffa.
Chissà dove vanno queste tre donne. Chissà che storie così diverse avranno alle spalle. Per un attimo provo quella simpatia e tenerezza che mi fanno un po' tutte le donne, le quali si "arrangiano" tutti i giorni come possono, proprio come faccio io.
Ah, già, la quarta donna sono io!

giovedì 15 settembre 2011

Pile scariche

La pausa di Agosto è ormai lontana e la sensazione di rilassatezza che ne avevo ricavato manco me la ricordo più. Ricordo però come mi avevano piacevolmente sorpreso la lucidità di pensiero e l'energie mentali che mi sentivo. Grazie a quella carica riuscivo a leggere di più e con più soddisfazione, mi venivano in mente tante idee e riflessioni, mi godevo di più film e documentari.
Possibile che sia bastato così poco per tornare nella costante sensazione di scarsa concentrazione, di carenza di sonno, di cervello appannato, di palpebre che si chiudono nei momenti in cui vorrei stare attenta? Ma perché si deve vivere così? Dove sta scritto?
Mi rendo conto che spesso ci illudiamo di padroneggiare la stanchezza mentale bevendo caffè, facendo finta che non ci sia o comuqne stringendo i denti, ma a cosa serve?
Vorrei svegliarmi la mattina con i miei ritmi biologici. Non mi serve la quantità, quanto un sonno di qualità, davvero ristoratore. Sento di averne diritto.
E poi vorrei più spazi liberi nella mia giornata. Spazi per me, per pensare, ascoltare, leggere, scrivere.
Michela Marzano, che insegna Filosofia all'Università di Parigi, in una bella intervista pubblicata su Noidonne, afferma che "si perde di vista il fatto che per poter avere un contatto con la propria interiorità ci vuole la lentezza. Bisogna poter lentamente avere la possibilità di fare ciò che si desidera."
Anche la Marzano ammette di vivere la dicotomia tra essere donna dinamica e integrata nel nostro sistema di vita e la sua professione che ha bisogno di una riflessione che passa obbligatoriamente attraverso la lentezza del pensiero, ma dice di aver trovato una soluzione nella divisione del tempo. Ha creato cioè un tempo differente per sé, in isolamento, in cui legge, riflette e scrive, non risponde né al telefono né alle email, uno spazio personale completamente separato dal momento "dell'attività".
Praticamente un lusso! Eppure ci devo provare. E magari anche dormire di più e meglio.

lunedì 12 settembre 2011

Troppi libri!

Un interessante articolo di Altreconomia aiuta a capire come funziona il mercato editoriale. Si scopre, per esempio, che, come in molti altri settori, sono i distributori a guadagnarci di più (e per di più non rischiando niente) e che, pur essendoci un proliferare di case editrici, alla fine la maggior parte di loro fa capo a quei cinque gruppi che si spartiscono più del 60% del mercato (hai voglia a voler evitare Mondadori!)
Sarà che il mio rapporto con i libri è sempre stato un po' di odio-amore, ma continuo a pensare che ne vengano pubblicati troppi e qualche dato contenuto in questo articolo lo conferma.

Trovo un po' inquietante e, sinceramente, un po' assurdo che:

1) in un paese come l'Italia dove si legge pochissimo vengano immessi 160 nuovi titoli al giorno;
2) il tempo di permanenza medio di un titolo sugli scaffali sia pari a un mese (di fatto buona parte di essi non ci arriva nemmeno);
3) se un libro entra di costola sugli scaffali, in una o due copie (cioè non ha la fortuna di andare a formare le pile e le piramidi che si vedono entrando nelle librerie), la possibilità che diventi un bestseller sia pari a zero;
4) se il libro non ha successo, le rese possano arrivare anche all’80% della produzione e per coprirne i costi gli editori non facciano altro che immettere nuovi titoli sul mercato;
5) poiché i resi costituiscono un valore da iscrivere in bilancio, che però non ha alcuna speranza di essere smaltito, i piccoli editori preferiscano mandare i libri al macero piuttosto che conservarli.

Mi chiedo che senso abbia tutto questo. Non sarebbe meglio un filtro più rigoroso prima di stampare un libro? Non dico una sorta di censura ma, azzardo, proporlo in ebook e poi solo dopo aver verificato un certo successo passare a stamparlo. E poi com'è che tutte le persone di una qualche notorietà, politici, cantanti, magistrati, attori e persino personaggi di dubbia moralità, provano l'irresistibile desiderio di vedersi pubblicare un libro? Siamo proprio sicuri che tutti questi volumi siano una ricchezza per l'umanità e non uno spreco di risorse?
A me continua a venire in mente la battuta di Massimo Troisi in "Le vie del signore sono finite":

"Io non leggo mai. Non leggo libri, cose... Pecche... Che comincio a leggere mo che so' grande, che i libri sono milioni e milioni? Non li raggiungo mai, hai capito? Pecche io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere."

Mi consola sapere che anche la mia amica blogger Alchemilla, vorace lettrice, si pone questo tipo di dubbi proponendosi la lettura di "I troppi libri, Leggere e pubblicare in un'epoca di «abbondanza»".

sabato 10 settembre 2011

Parole, parole, parole



"Le parole sono importanti", urlava Nanni Moretti in "Palombella Rossa". Le parole possono essere anche pietre, possono ferire, possono trascinare. Eppure le parole seguono le mode, alcune sono collegate a certi periodi storici e poi cadono in disuso, altre migrano da una lingua all'altra anche con distorsioni di significato.
Argomento affascinante che ha occupato due libri presentati tempo fa' a Fahrenheit Radio 3: "Itabolario" di Massimo Arcangeli, un viaggio tra le parole utilizzate in Italia negli ultimi centocinquanta anni, e Le parole disabitate di Raffaella De Santis, che ricostruisce attraverso alcuni termini i momenti centrali della nostra storia linguistica, culturale e sociale.
Parole come «adunata», «comizio», «padrone», «proletario» ci rievocano tempi andati, così come "compagno" oggi non suggerisce più il militante del PCI. "Patriota" ci suona di estrema destra ma non è sempre stato così, basti pensare che è una delle definizioni possibili con cui si è iscritti alla Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
Se negli anni Settanta andava di moda "fare un discorso su" qualsiasi cosa, oggi, grazie ai social network, abbiamo invece una sovraesposizione della parola amico e vanno per la maggiore espressioni come assolutamente o il detestabile uso di "piuttosto che" nel senso di "oppure".
Varie sorti ha avuto la sensibilità del politicamente corretto. Negli anni Sessanta per pubblicizzare il confetto Falqui si diceva "basta la parola" perché pronunciare "lassativo" non era considerato elegante, mentre, nello stesso spot di Carosello, Tino Scotti poteva tranquillamente rivolgersi ad un nero chiamandolo "Bongo".
Infine c'è la questione degli anglicismi. Tutte le lingue hanno sempre accolto parole dall'esterno, dice Massimo Arcangeli, e ciò non è negativo in sé, ma oggi c'è un'eccessiva esterofilia stilistica che andrebbe evitata. Spesso, senza alcuna necessità ma soltanto per snobismo, rinunciamo talvolta ad usare termini nazionali perfettamente funzionali per quello che vogliamo dire. Ho scoperto che su questo tema c'è un progetto chiamato "Stop itanglese" dove si trova addirittura un "traduttore itanglese-italiano come piccolo rimedio contro la pigrizia".
La puntata di Fahrenheit termina con la celebrazione di una bella parola che abbiamo esportato in tutto il mondo, nata a Venezia nel Settecento ed entrata ufficialmente nella letteratura con il romanzo Eros di Verga: Ciao.

mercoledì 7 settembre 2011

martedì 6 settembre 2011

domenica 4 settembre 2011

Amazzonia, addio!

In ufficio sono arrivata alla sofferta conclusione che debbo mettere a tacere i miei scrupoli di ambientalista. Il mio lavoro consiste soprattutto in maneggiare delle carte (vedi immagine a destra che ho scelto anche come desktop sul PC sul quale lavoro) e, ahinoi, nonostante qualche proclama che ogni tanto viene buttato là, posso assicurare che nella pubblica amministrazione italiana la strada per l'abbandono (o almeno la consistente riduzione) della carta è molto molto lontana. Portali web di tutti i tipi (il più delle volte fatti veramente con i piedi), posta elettronica certificata, firma digitale. Gran belle parole!
Nella sostanza ad ogni nuova norma che entra in vigore corrisponde un aumento della produzione di documenti e quindi di fogli di carta. L'intento è sicuramente quello di un maggiore controllo della spesa pubblica e questo è certamente positivo. Purtroppo però il controllo va di pari passo con l'ossessione della documentazione. Bisogna documentare tutte le spese, le scelte, le mosse. Tuttavia, alla resa dei conti, se non cambia la mentalità, se non si capisce che quello che è di tutti va trattato con più cura e attenzione di quello che è di nostra proprietà (utopia, certo), hai voglia a mettere paletti e controlli! Alla fine aumenta solo la carta!
Ci aggiungiamo inoltre la pigrizia dell'impiegato medio: è possibile che uno stesso manuale di istruzioni all'uso (udite, udite!) della firma digitale consistente in 41 pagine (peraltro tranquillamente scaricabile dalla rete) mi venga mandato due volte (prima una volta per fax e poi per posta) e per di più fotocopiato su un solo lato? Ahi, il fronteretro, questo sconosciuto!
L'altro giorno stavo firmando un mandato di pagamento di una fattura di Euro 3,24 (ripeto:trevirgolaventiquattro) e mi è venuta la fantasia di contare i fogli che erano di corredo a questa spesa "da capogiro": 1 mandato di pagamento, 2 pagine di fattura, 1 DDT, 4 pagine di ordinativo (si trattava di un articolo facente parte di una lunga lista di oggetti ordinati), 3 pagine per la dichiarazione per la tracciabilità dei flussi finanziari (legge 138/2010), per un totale di 11 FOGLI DI CARTA!!. Sempre in questi giorni ho firmato un'ordine di di acquisto per 92 Euro, fogli allegati: 21!
Con buona pace di Greenpeace e della sua campagna "Deforestazione zero", temo che l'Amazzonia ormai sia persa.