Alcuni storici segnano con il 10 giugno 1924, data del delitto Matteotti, la nascita del fascismo, non più come movimento pararivoluzionario, ma come regime. "La dittatura è un frutto avvelenato della democrazia" afferma Giovanni Borgognone, docente dell'Università di Torino, autore di "Come nasce una dittatura" e ospite a Le Storie - Diario Italiano.
Una democrazia dovrebbe tenersi in equilibrio tra due poli in concorrenza fra loro: i partiti da un lato e i leader carismatici che si appellano direttamente al popolo dall'altro. Gli inevitabili pericoli dei due poli sono, da un lato, la partitocrazia, il potere nelle mani dei funzionari di partito, e dall'altro il leader plebiscitario che può sfociare nella dittatura. Fin qui niente di nuovo.
Tuttavia il quadro che Borgognone traccia dell'Italia dei primi anni Venti fa accendere qualche campanello d'allarme nella mia mente. Approfittando della crisi economica e della impotenza della politica, il fascismo si affermò come movimento anti-istituzionale e Mussolini come leader nuovo, uomo dell'antipolitica, figura che si opponeva ai partiti, sinonimo di corruzione. Peccato che il leader, una volta arrivato al potere, si sia portato dietro un proprio partito, una propria corte da basso impero. Addirittura si scopre che vi erano persino i "fascisti padani", cioè quel gruppo di intransigenti che faceva capo a Farinacci e che accusavano Mussolini di essersi "romanizzato" perdendo lo spirito sanguigno originario della Pianura Padana.
Mussolini fu il primo uomo politico in Italia a rivolgersi direttamente alle masse. Il vecchio Giolitti, uomo di esperienza e per niente sprovveduto, fu talmente spiazzato da questo uomo nuovo spuntato dal nulla che, come tanti, pensò erroneamente che potesse servire per stabilizzare il paese per poi tornare a governarlo con la vecchia partitocrazia.
L'opposizione? Anche allora divisa: i liberali passarono all'opposizione, i cattolici e i socialisti si ritirano sull'Aventino confidando erroneamente sul Re e sulla reazione della stampa. Essi vollero rimanere nei limiti costituzionali temendo che una reazione delle masse sfociasse in una rivoluzione. I comunisti invece, guidati da Gramsci, formarono un parlamento alternativo che doveva essere l'anticamera ai comitati degli operai e dei contadini.
Solo Gobetti, genio liberale capace di leggere contemporaneamente Marx ed Einaudi, aveva capito che il mussolinismo era assai più pericoloso del fascismo in quanto confermava nel popolo l'abito cortigiano, la tendenza alla comoda soluzione di un deus ex machina che ci togliesse dai guai.
Fino al 3 gennaio 1925, quando Mussolini rivendicò la responsabilità morale del delitto Matteotti ("se il fascismo è stata un'associazione a delinquere io ne sono il capo"), secondo Giovanni Borgognone, l'evoluzione degli eventi non era affatto scontata e si poteva ancora evitare lo scivolamento nella dittatura.
Non è tanto importante fare parallelismi precisi con la situazione odierna che risulterebbero forzati, quanto drizzare le antenne e pensare che nel 1924 l'Italia era comunque una democrazia, c'era una stampa libera, una magistratura indipendente e un sistema pluralistico di partiti. Per questo, al di là delle indiscutibili differenze, provo sempre una sensazione di disagio di fronte alle legittime reazioni di disgusto verso i partiti del tipo "son tutti uguali" o ancora peggio di fronte all'investitura popolare di nuovi guru che ci dovrebbero salvare promettendoci tabula rasa di tutto ciò che è stato.
Una democrazia dovrebbe tenersi in equilibrio tra due poli in concorrenza fra loro: i partiti da un lato e i leader carismatici che si appellano direttamente al popolo dall'altro. Gli inevitabili pericoli dei due poli sono, da un lato, la partitocrazia, il potere nelle mani dei funzionari di partito, e dall'altro il leader plebiscitario che può sfociare nella dittatura. Fin qui niente di nuovo.
Tuttavia il quadro che Borgognone traccia dell'Italia dei primi anni Venti fa accendere qualche campanello d'allarme nella mia mente. Approfittando della crisi economica e della impotenza della politica, il fascismo si affermò come movimento anti-istituzionale e Mussolini come leader nuovo, uomo dell'antipolitica, figura che si opponeva ai partiti, sinonimo di corruzione. Peccato che il leader, una volta arrivato al potere, si sia portato dietro un proprio partito, una propria corte da basso impero. Addirittura si scopre che vi erano persino i "fascisti padani", cioè quel gruppo di intransigenti che faceva capo a Farinacci e che accusavano Mussolini di essersi "romanizzato" perdendo lo spirito sanguigno originario della Pianura Padana.
Mussolini fu il primo uomo politico in Italia a rivolgersi direttamente alle masse. Il vecchio Giolitti, uomo di esperienza e per niente sprovveduto, fu talmente spiazzato da questo uomo nuovo spuntato dal nulla che, come tanti, pensò erroneamente che potesse servire per stabilizzare il paese per poi tornare a governarlo con la vecchia partitocrazia.
L'opposizione? Anche allora divisa: i liberali passarono all'opposizione, i cattolici e i socialisti si ritirano sull'Aventino confidando erroneamente sul Re e sulla reazione della stampa. Essi vollero rimanere nei limiti costituzionali temendo che una reazione delle masse sfociasse in una rivoluzione. I comunisti invece, guidati da Gramsci, formarono un parlamento alternativo che doveva essere l'anticamera ai comitati degli operai e dei contadini.
Solo Gobetti, genio liberale capace di leggere contemporaneamente Marx ed Einaudi, aveva capito che il mussolinismo era assai più pericoloso del fascismo in quanto confermava nel popolo l'abito cortigiano, la tendenza alla comoda soluzione di un deus ex machina che ci togliesse dai guai.
Fino al 3 gennaio 1925, quando Mussolini rivendicò la responsabilità morale del delitto Matteotti ("se il fascismo è stata un'associazione a delinquere io ne sono il capo"), secondo Giovanni Borgognone, l'evoluzione degli eventi non era affatto scontata e si poteva ancora evitare lo scivolamento nella dittatura.
Non è tanto importante fare parallelismi precisi con la situazione odierna che risulterebbero forzati, quanto drizzare le antenne e pensare che nel 1924 l'Italia era comunque una democrazia, c'era una stampa libera, una magistratura indipendente e un sistema pluralistico di partiti. Per questo, al di là delle indiscutibili differenze, provo sempre una sensazione di disagio di fronte alle legittime reazioni di disgusto verso i partiti del tipo "son tutti uguali" o ancora peggio di fronte all'investitura popolare di nuovi guru che ci dovrebbero salvare promettendoci tabula rasa di tutto ciò che è stato.
Non riesco proprio ad essere d'accordo... Quale sarebbe la soluzione politica? Chi ha fatto questa analisi e chi la condivide che proposta ha per "salvare " questo paese? Quale politica si fa propositiva per migliorare? Quale partito si avvicina realmente alla gente? Come venirne a capo? C'è una doppia Italia: i cittadini ricchi di inventiva e capacità e la
RispondiEliminaclasse politica povera di idee, incapace. Come fare in modo che al governo lavorino con competenza? Come eliminare gli interessi delle lobby? Perché non provi a raccontarmi la tua alternativa all'antipolitica? Sai che io amo capire e cambiare idea...
Calma, Alchemilla. Se io avessi la ricetta per "salvare" questo paese non farei la semplice ragioniera, no?
RispondiEliminaGiovanni Borgognone (docente di storia delle dottrine politiche all'Università di Torino) ci racconta l'Italia del 1924 mettendoci in guardia da alcuni pericoli che ci possono essere anche oggi. Punto.
Tra l'altro, nella puntata (ma qualcuno cliccherà mai sui link per rivedere/sentire le puntate di cui parlo? Mi è sempre rimasto questo dubbio) dice anche che sono meccanismi presenti in TUTTE le democrazie. Non è che noi siamo particolarmente sfigati.
E poi non è mica tanto vero che ci sono i cittadini ricchi di inventiva da un lato e la classe politica incapace dall'altra. I cittadini (purtroppo) sono per la maggior parte dei casi, uguali a chi li governa, salvo le dovute eccezioni.
La mia alternativa? la butto là: leggi chiare ed efficaci, controlli incrociati in modo che nessuno approfitti della propria posizione, impegno e partecipazione da parte dei cittadini, persone competenti in tutte le posizioni, e... tante altre cose.
Ho pensato molto prima di rispondere perché non volevo fare polemica. Ma alla fine non so che dire...Io sono purtroppo convinta che in politica si lancino le persone meno capaci e che hanno interessi personali. Io italiani creativi, intelligenti e laboriosi ne vedo molti, la maggior parte completamente disinteressata alla politica.
EliminaLa tua alternativa è perfetta ma c'è un problema: chi applica quello che tu dici? Il problema credo sia quello: avere qualcuno che quando arriva al potere mantiene le promesse, avere qualcuno che non si lascia schiacciare dalle lobby e dagli interessi personali. Tu conosci qualcuno così?
Cara Alchemilla, sono molto lusingata per averti dato spunti di riflessione.
EliminaDi grandi uomini politici ce ne sono stati nel passato. Sono di ritorno da una lezione sulla costituzione e mi vengono in mente i 175 padri (e madri, poche) costituenti, tanto per fare un esempio.
Sono convinta che anche oggi qualcuno onesto c'è ma probabilmente non riesce a fare strada e soprattutto non fa notizia.
Quello che non condivido affatto è questa contrapposizione tra la classe politica brutta e cattiva da una parte e i cittadini bravi e onesti dall'altra. Non ho dati statistici ma sono ragionevolmente convinta che non sia così.
Magari onesti no (proprio no, direi...), ma capaci e creativi sì.
EliminaMi sembra che alla classe politica (tutta, non solo quelli seduti in parlamento, anche tutti quelli che lavorano per loro) manchi proprio la creatività e la capacità di fare.
Se un politico ruba ma ruba quello che avanza dopo aver fatto bene il suo lavoro nessuno se ne accorge e se ne lamenta...
Sono arrivata al punto che non chiedo onestà...Rubate pure ma prima abbiate almeno la decenza di aver investito un po' nella nazione.
Naturalmente non intendevo tutti i cittadini, magari!!! Ma l'Italia è conosciuta nel mondo per tante eccellenze!
Ben vengano riflessioni e spunti dalla storia per capire meglio.
RispondiEliminaPersonalmente a me disgusta vedere imprenditori che si suicidano, pensionati che dopo una vita a sgobbare prendono una miseria e giovani che crescono senza fiducia nel futuro quando al contempo c'è gente che per un giorno di lavoro prende quanto gli altri messi insieme...
Chiamala pure antipolitica.. però, ti chiedo, di chi è la colpa di tutto ciò? Chi sta spezzando la corda tesa?
Non si intende questo per antipolitica, Spunto. Ci mancherebbe.
RispondiEliminaSAe ho ben capito l'antipolitica coinciderebbe con i "Tribuni della Plebe", coloro che nei momenti critici, ammantati di moralismo ipocrita si presentano nei momenti critici come i " Salvatori della Patria" un ottimo esempio di antipolitica si è verificato nel 1994 con la presa del potere da parte di due antipartiti, uno che urlava contro le tasse e contro le regole, l'altro che sventolava il cappio in parlamento e quando la maggioranza degli italiani che li sosteneva si è resa conto che il re era nudo, abbiamo visto che eravamo ormai nel baratro e quanto bisogna pagare per uscire.
RispondiEliminaOggi sta nascendo un altro antipartito con un condottiero che sembra avere qualche scheletruccio nell'armadio, agli elettori poi fare una scelta od aprire gli occhi, quasi sempre chi predica bene poi razzola molto male.