Ottima iniziativa quella dei PD metropolitano di Firenze e dei Giovani Democratici della mia provincia: tre giorni di dibattiti sulle mafie con personalità di grande rilievo.
Venerdì sera mi sarebbe piaciuto sentire di più Saverio Lodato, giornalista autore di una serie di libri che sono quasi un "dizionario" degli eventi legati alla criminalità organizzata e di cui l'ultimo si intitola "Quarant'anni di mafia". Il tavolo dei relatori era però troppo affollato e l'ora troppo tarda per poter approfondire i temi.
Meglio sabato mattina quando un vulcanico Francesco Forgione ha dipinto sotto i nostri occhi un quadro di legami affaristici e malavitosi che ha come centro essenziale la piana di Gioia Tauro e che si dirama tra Milano, Roma, Caracas e il resto del mondo.
Anche Tano Grasso, ospite del dibattito di domenica pomeriggio, ha ribadito che non ci può essere mafia senza aggancio con il territorio. Il presidente dell'antiracket ce l'ha un po' con la rappresentazione mediatica della "mafia invincibile e dell'antimafia eroica", con la deformazione da fiction che rende il contrasto alla mafia più debole e deresponsabilizza. Per Grasso invece, se davvero si vuole capire il fenomeno fino in fondo, bisogna concentrarsi di più sul gesto quotidiano dell'imprenditore che paga il pizzo, sulla forza della mafia nella vita di tutti i giorni, quella che non fa notizia ma che deprime la vita sociale ed economica italiana.
Il dibattito di domenica mattina è finito per concentrarsi invece sulla vicenda della trattativa Stato-mafia legata all'inchiesta della procura di Palermo. Devo dire che su questa vicenda ho le idee piuttosto confuse. Se emotivamente mi sento dalla parte di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione Vittime della Strage dei Georgofili, e di Salvatore Borsellino che stanno investendo grandi aspettative di chiarezza sulle indagini della Procura di Palermo relative alle oscure vicende degli anni dello stragismo, devo dire che mi ha messo dei grandi dubbi la posizione di Pino Arlacchi, sociologo amico di Chinnici, Falcone e Borsellino, collaboratore del ministro Mancino, il quale non crede assolutamente all'esistenza di una vera e propria trattativa (semmai si è trattato di pezzi delle istituzioni che possono aver seguito strade diverse dal contrasto diretto con la mafia). Spero proprio che si riesca a fare chiarezza ma più che altro spero vivamente che la procura di Palermo non abbia preso un granchio prestando così il fianco a chi non aspetta altro per delegittimare la magistratura.
L'incontro più emozionante è stato quello sulle donne e la mafia. Interessanti gli interventi dello storico Enzo Ciconte sulle donne apparentemente tenute del tutto fuori dalla 'ndrangheta ma essenziali portatrici dei valori mafiosi da trasmettere ai figli, della giovane magistrata Alessandra Cerreti, che ha raccolto le soffertissime testimonianze della collaboratrici di giustizia rese, con grandi sensi di colpa verso i propri familiari nella speranza di un futuro diverso di libertà per i propri figli, della brava senatrice Silvia Dalla Monica, ma sopratutto della sindaca di Rosarno, Elisabetta Tripodi, la quale ci ha raccontato la sua esperienza di donna sindaco in un paese in mano all'ndrangheta, delle intimidazioni ricevute e dei tentativi di delegittimazione continui per ostacolare il suo operato, dettato da normalissimo rispetto delle regole, ma inaudito in quel contesto. L'incontro finisce con la lettura, di una poesia della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce alla sua bambina Angela.
Articolo molto interessante che mi cade a puntino perché sto leggendo Gomorra (ho aspettato molti anni, lo so...) e ho sete di legalità e di comprensione.
RispondiEliminaIl giudice Paolo Borsellino fu ucciso per nascondere la trattativa tra stato e mafia, la negoziazione tra stato e anti-stato.
RispondiEliminaAlto Tradimento.
Pena di morte per comportamento mafioso ed alto tradimento.
http://www.ilcittadinox.com/blog/paolo-borsellino-ucciso-per-nascondere-trattativa-stato-mafia.html
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X