Ci sono storie che ti fanno pensare che, quando un essere umano è dotato dalla natura di un forte talento, non ci sono ostacoli sociali, economici, familiari che tengano. Quante attenzioni, quanti stimoli e quante opportunità potrà aver ricevuto un bambino nato undicesimo di quattordici figli di contadini della provincia di Avellino alla fine dell'Ottocento? Quanti "Salvatore" dai capelli neri ondulati ed il tipico aspetto mediterraneo saranno emigrati negli anni dal nostro Mezzogiorno verso gli Stati Uniti?
Eppure Salvatore Ferragamo è riuscito a diventare uno degli stilisti italiani più famosi del mondo, ad affermare il suo nome e il suo marchio a livello internazionale, a registrare quasi quattrocento brevetti, a vincere nel 1947 il ‘Neiman Marcus Award’ (l'Oscar della moda), a fare tanti soldi da potersi permettere di comprare uno dei più antichi palazzi del centro di Firenze.
Questa l'impressione più forte che mi sono portata a casa dopo la visita al Museo Ferragamo, che espone a rotazione i 14.000 modelli di calzature dell'omonimo archivio.
Personalmente non condivido l'attrazione estatica di molte donne per le scarpe, ma non ho potuto fare a meno di provare ammirazione per quest'uomo sia per le sue doti creative estetiche, sia per la sua genialità nell'uso dei materiali i più innovativi (dalla pelle di dentice al nylon, dal merletto al filo da pesca, dal sughero alla rafia), sia per la sua capacità imprenditoriale che lo ha portato ad inserirsi nell'industria cinematografica di Hollywood ed a captare i fermenti culturali e le abilità artigianali della Firenze degli anni Trenta.
Tra le invenzioni tecniche di colui che si è sempre definito "un calzolaio" vi è il cambrione, una staffa di acciaio che fa da anima alla calzatura e la rende stabile. Negli anni dell'autarchia e della difficoltà di reperire l'acciaio, Ferragamo escogitò la zeppa, riempiendo con sottili strati di sughero lo spazio tra il tacco e la punta e ottenendo così una calzatura ugualmente stabile ma nello stesso tempo leggera.
Storie come quella di Salvatore Ferragamo, di cui trovate tanti altri particolari sul sito del Museo o nell'autobiografia "Il calzolaio dei sogni", ci confortano e alimentano la nostra autostima di Italiani, di cui c'è tanto bisogno oggi.
Eppure Salvatore Ferragamo è riuscito a diventare uno degli stilisti italiani più famosi del mondo, ad affermare il suo nome e il suo marchio a livello internazionale, a registrare quasi quattrocento brevetti, a vincere nel 1947 il ‘Neiman Marcus Award’ (l'Oscar della moda), a fare tanti soldi da potersi permettere di comprare uno dei più antichi palazzi del centro di Firenze.
Questa l'impressione più forte che mi sono portata a casa dopo la visita al Museo Ferragamo, che espone a rotazione i 14.000 modelli di calzature dell'omonimo archivio.
Personalmente non condivido l'attrazione estatica di molte donne per le scarpe, ma non ho potuto fare a meno di provare ammirazione per quest'uomo sia per le sue doti creative estetiche, sia per la sua genialità nell'uso dei materiali i più innovativi (dalla pelle di dentice al nylon, dal merletto al filo da pesca, dal sughero alla rafia), sia per la sua capacità imprenditoriale che lo ha portato ad inserirsi nell'industria cinematografica di Hollywood ed a captare i fermenti culturali e le abilità artigianali della Firenze degli anni Trenta.
Tra le invenzioni tecniche di colui che si è sempre definito "un calzolaio" vi è il cambrione, una staffa di acciaio che fa da anima alla calzatura e la rende stabile. Negli anni dell'autarchia e della difficoltà di reperire l'acciaio, Ferragamo escogitò la zeppa, riempiendo con sottili strati di sughero lo spazio tra il tacco e la punta e ottenendo così una calzatura ugualmente stabile ma nello stesso tempo leggera.
Storie come quella di Salvatore Ferragamo, di cui trovate tanti altri particolari sul sito del Museo o nell'autobiografia "Il calzolaio dei sogni", ci confortano e alimentano la nostra autostima di Italiani, di cui c'è tanto bisogno oggi.