mercoledì 31 ottobre 2012

Pausa caffè al bar tra maleducazione e cortesia

Talvolta, se sono un po' nervosa e ho bisogno di gratificazione, mentre, in veste di improprio fattorino, mi reco all'agenzia delle entrate per il mio ente, mi fermo alla pasticceria che sta accanto e mi mangio una pastina bevendo un caffè. Al contrario di altri, in questo locale sono molto gentili e sorridenti, mi interessa poco se per indole o per professionalità. Per me la gentilezza e la cortesia sono elemento essenziale perchè continui a servirmi presso un esercizio (ho scoperto che la pensa allo stesso modo il mio "angelo" dell'agenzia delle entrate).
Come molti bar anche questo ha una mensolina laterale per appoggiarsi quando il bancone è pieno e come succede spesso, la gente vi lascia le tazze e i bicchieri che ha utilizzato quando, semplicemente allungando il braccio, potrebbe rimetterli sul bancone agevolando il lavoro del barista. E' una piccola cosa che però mi dà particolarmente sui nervi. Sarà che la interpreto come mancanza di rispetto del lavoro degli altri, come maleducazione di chi è abituato ad avere la mamma o la moglie che gli/le fa da servente in casa, sarà che faccio continuamente sparate ai miei figli quando fanno cose simili in casa, insomma, anche stamani, mentre aspetto il mio caffè, non resisto a sparecchiare la mensolina passando le tazze sporche al barista.
Il giovane barista bruno mi ringrazia con il suo sorriso luminoso. Io (un po' bisbetica inacidita) gli faccio: "Certo, la gente è proprio maleducata! Vorrei proprio vedere se fanno uguale a casa loro!"
"Molti sono di fretta" mi dice il ragazzo giustificandoli ma si affretta ad aggiungere anticipandomi: "Sì, certo, ci vorrebbe un attimo ma... che vuole... il cliente ha sempre ragione. Anche quando fa di peggio..."
Ma che tenero!

1986: io c'ero


Dopo anni di documentari di storia sul fascismo, la seconda guerra mondiale, il boom economico degli anni Sessanta, il Sessantotto, gli anni di piombo e così via, ecco finalmente, all'avvicinarsi del compimento del mio primo mezzo secolo, una puntata di "storia" che parla di eventi che mi suonano familiari: "Correva l'anno: 1986".
Il disastro Chernobyl, il maxi processo a Cosa Nostra, il governo Craxi, il mondiale vinto dall'Argentina, il goal del secolo di Maradona, la P2, Sindona, la vicenda di Enzo Tortora, l'attacco alla Libia, il vento nuovo di Michail Gorbachov, il Nobel a Rita Levi Moltalcini.
Nel 1986 lavoravo già da circa tre anni e guadagnavo poco meno di 1 milione al mese mentre lo stipendio medio di un operaio italiano, secondo il documentario, era di circa 600.000 lire al mese. L'economia italiana andava piuttosto bene e sembra che proprio in quell'anno la borsa di Milano toccò il suo record.
La cultura giovanile era figlia del benessere di cui il paese stava godendo ed era caratterizzata dal disimpegno politico e dallo stile di vita fondato sulla spensieratezza (il cosiddetto edonismo reaganiano).
Pur non aderendo affatto a questo stile di vita, mi ricordo perfettamente il look paninaro che andava per la maggiore tra i giovani:  ogni capo di abbigliamento rigorosamente firmato, secondo i suggerimenti delle TV commerciali, scarponi chiari con la para, pantaloni stretti in fondo e strizzati in vita dalla cintura, bomber, abbronzatura da lampada. Scopro adesso, grazie al documentario di Correva l'anno, che la definizione di "Paninaro" deriva dal titolo di una canzone dei Pet Shop Boys proprio scritta e registrata nel 1986.
Nello stesso anno a Roma in piazza di Spagna Mac Donald aprì il primo fast food in Italia, un tipo di locale che presto colonizzò la nostra penisola diventando luogo di ritrovo per i giovani.
Io uscivo, andavo al cinema, avevo le mie storie sentimentali ma sostanzialmente facevo la formichina tanto che nel 1986 il grande evento dell'anno per quanto riguarda la mia vita fu l'acquisto di un piccolo appartamento, grazie ai miei risparmi (i miei genitori non avevano mai voluto che passassi loro niente del mio stipendio) e grazie ad un ottimo mutuo agevolato convenzionato con l'Ente per il quale lavoravo.
Per il resto mi adeguavo anch'io al disimpegno imperante, come accenno anche in questo post, ed è forse per questo che non ho ricordi particolari sulle vicende di politica interna e internazionale.
Il disastro di Chernobyl invece mi fece grande impressione e mi rammento quando la nuvola radioattiva, a causa dei venti, cominciò a dirigersi verso l'Italia. Mi ricordo che fu vietata la vendita di latte fresco e verdura a foglie ed infatti il latte UHT divenne presto introvabile. Ricordo anche che alcuni ricercatori del mio Istituto misuravano con degli apparecchi geiger la radioattività del terreno e delle piante e ci rassicuravano.
1986. Ventitre anni. Io c'ero.

lunedì 29 ottobre 2012

A single man

Los Angeles, anni della guerra fredda. Un professore vive in solitudine il suo lutto per la perdita dell'amato compagno e cerca di continuare a recitare la sua parte nella società, accompagnato costantemente dalla sua angoscia, mentre gli altri si ostinano a non volerlo lasciare da solo a fare i conti con il proprio dolore ed il proprio male di vivere.
Davvero un bel film, molto poetico. Bravissimo il protagonista e splendide le musiche.

Incipit:
Ci si sveglia. Si comincia col dire "sono" e "ora". Negli ultimi otto mesi svegliarsi è stata una sofferenza. La consapevolezza di essere ancora qui lentamente si materializza. Il risveglio non mi è mai piaciuto. Non sono mai saltato giù dal letto per sorridere alla giornata come faceva Jim. A volte volevo prenderlo a pugni al mattino. Lui era così felice! Gli dicevo che solo gli stolti sorridono al giorno e solo gli stolti fuggono alla semplice verità: che "ora" non è semplicemente "ora". E' un freddo promemoria, un giorno più di ieri, un anno più dell'anno scorso, e che prima o poi Lei arriverà. Lui rideva di me e mi dava un bacio sulla guancia.
Ci metto tempo la mattina a diventare George. Tempo per adeguarmi a quello che ci si aspetta da George, a come deve comportarsi. Una volta vestito e data un'ultima lucidatura a quello che è il debolmente rigido ma perfetto George, so quale parte interpretare.
Dallo specchio mi fissa di rimando non tanto un volto, quanto l'espressione di una difficoltà.

A lezione con gli studenti:
Una minoranza è considerata tale solo quando costituisce una minaccia per la maggioranza, reale o immaginaria. Ed è lì che si annida la paura.
La paura dopo tutto è il nostro vero nemico. La paura sta invadendo il nostro mondo. La paura viene usata per manipolare la nostra società. E' così che i politici spacciano la loro politica. Madison Avenue ci vende cose che non ci servono. La paura di essere attaccati. La paura che ci siano comunisti in agguato dietro ogni angolo. La paura che un piccolo paese dei Caraibi che non condivide il nostro stile di vita costituisca una minaccia. La paura che la cultura nera possa conquistare il mondo. La paura dei fianchi di Elvis Presley. La paura che l'alito cattivo possa rovinarci le amicizie. La paura di invecchiare, di essere soli. La paura di essere inutili, che non interessi ciò che abbiamo da dire.

Finale:
Nella vita ho avuto momenti di assoluta chiarezza, quando per pochi, brevi secondi il silenzio soffoca il rumore e provo un'emozione, invece di pensare. E le cose sembrano così nitide. E il mondo sembra così nuovo. E' come se tutto fosse appena iniziato. Non riesco a far durare quei momenti. Io mi ci aggrappo ma, come tutto, svaniscono. Ho vissuto la vita per quei momenti. Mi riportano al presente e mi rendo conto che tutto è esattamente come deve essere.

domenica 28 ottobre 2012

Due ore di attesa per un appuntamento

Tormentata da diversi mesi da un'orticaria che va e viene in punti diversi del corpo e che ha visto recentemente un'esplosione, mi viene prescritto, oltre alla cura per superare la fase acuta, una visita allergologica presso un noto ospedale fiorentino.
Telefono e mi invitano a riprovare per il giorno x dalle 14 quando "apriranno le agende per il 2013". Provo a chiamare dall'ufficio per una mezz'oretta ma, come previsto, non c'è modo di prendere la linea.
Rassegnata, inforco lo scooter, sfidando la pioggia, e mi reco all'ospedale. Qui trovo un corridoio affollato di persone in attesa. Ho il numero 134 e stanno ricevendo il numero 79. Sono le 15 passate ma qualcuno, mi dicono, è qui dalle 11 di stamani. Per fortuna, c'è posto a sedere e per fortuna mi sono portata una rivista da leggere.
Dopo due ore di attesa esco con il mio appuntamento: 27 febbraio 2013.
Una ragazza molto innervosita mi dice che nello stesso ambulatorio andando "privatamente" c'è posto tra quindici giorni.
"E quanto costerebbe?" chiedo. "120 Euro. Pensi che con il ticket ed avendo una fascia di reddito non troppo bassa si va comunque a spendere circa 70."
Capisco che la sanità pubblica e completamente gratuita ormai ce la dobbiamo scordare e mi sembra pure giusto, nonostante che abbia pagato il servizio con le tasse, che io debba contribuire al costo di esso, visto che me lo posso permettere. Sono disposta anche a pagare di più se mi garantiscono che chi è più povero di me o chi ha malattie più gravi della mia possa essere curato gratuitamente, velocemente e bene. Sono anche consapevole che in Toscana abbiamo ancora una situazione dignitosa in confronto ad altre parti d'Italia.
Tuttavia ho sempre di più il timore che stiano smantellando pezzo per pezzo, manovra per manovra, senza che noi ce ne rendiamo conto se non quando ne abbiamo bisogno, quella grande conquista sociale che è il Sistema Sanitario Nazionale.
Dobbiamo difenderlo a tutti i costi! Cominciando, per esempio, con il ricordare le grandi conquiste sociali.

giovedì 25 ottobre 2012

Donne che alzano la testa

"Dio fece le donne per piangere, parlare e filare" recitava un proverbio noto nella Francia medievale. Contro tali pregiudizi si scagliò Christine de Pizan, in realtà Cristina da Pizzano, la prima scrittrice di professione, attiva alla corte francese del XIV secolo. "Se le bambine potessero studiare si vedrebbe che non c'è nessuna differenza con i maschi" scriveva Cristina nel suo "La città delle dame". "Il vero problema che impedisce alle donne di studiare è la massa di uomini ignoranti che non sopporterebbero di vedere una donna che ne sa più di loro." Ed aggiunge: "Se le donne volessero studiare, allora vedreste che cambierebbe tutto." Questo ed altro ci racconta, con la sua consueta abilità comunicativa, lo storico Alessandro Barbero in una bella lezione tenuta al Festival della mente e riascoltabile sul relativo sito.

"La città delle dame" si rivolgeva anche alle donne per invitarle a farsi valere così come fece più di cinquecento anni dopo Betty Friedan con il suo memorabile "La mistica della femmilità" che uscì per la prima volta nel 1963 e che è stato di recente ripubblicato. Chiara Turozzi, la curatrice di questa nuova edizione, ne parla a Fahrenheit Radio 3 insieme alla psicanalista Manuela Fraire.
Un libro che fece scalpore perchè puntò il dito sul modello smagliante di femminilità, imposto subdolamente da educatori, psicanalisti e persuasori occulti, destinando le donne ad un'esistenza dedicata al ruolo di moglie-madre-regina della casa, con un bel marito, dei bei figli, una bella casa, tutti gli elettrodomestici che il mercato continuava a sfornare, ecc. Betty Friedan scopre che, aderendo a questo modello, le casalinghe americane vivevano una costante inquietudine indefinita, fatta di un persistente nodo alla gola, di un buco allo stomaco, di sfoghi della pelle, di abuso di alcolici e psicofarmaci, insomma di nevrosi. "Il problema senza nome", come lo chiama Betty Friedan cercando al contrario nel suo libro di darvi un nome e di dare la parola alle donne.
Intervistando un persuasore occulto, Betty Friedan gli chiede perché non suggerire alle donne di dedicare il tempo libero guadagnato grazie ai nuovi elettrodomestici a se stesse, alla propria cultura, magari a studiare astronomia. Ma i produttori vogliono che le donne rimangano in cucina magari investendo il nuovo tempo libero in maggiore creatività nel preparare i pasti o in una casa più lustra.

La stessa società patriarcale, che impediva alle contemporanee di Christine de Pizan di studiare e che imponeva alle donne americane degli anni Sessanta il modello di casalinga perfetta, oggi, che invece le donne, almeno nella società occidentale industrializzata, hanno l'opportunità di studiare e di farsi una posizione sociale fuori delle quattro mura domestiche (pur lavorando per due), suggerisce loro un modello altrettanto subdolamente repressivo e pericoloso: quello dell'immagine, l'imperativo di essere sempre belle, alte, magre, ricche, eleganti, giovani e desiderabili allo sguardo maschile.
Lo denunciano tante donne sulla rete (da Lorella ZanardoGiorgia Vezzoli di Vita da streghe, all'Associazione Donne Pensanti, alle ragazze di Frequenze di Genere, alle attentissime di Un altro genere di comunicazione e, per fortuna, tante altre) ma anche Laura Corradi, docente di Studi di Genere nell’Università della Calabria, nel suo saggio Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo, presentato a Fahrenheit Radio 3. Il libro si basa su una ricerca che nasce dalla didattica, frutto della collaborazione con le studentesse. Per dieci anni esse hanno raccolto le pubblicità e ne hanno fatto un'analisi semiotica, cioè dei segni, di ciò che ci viene trasmesso. Si sono divertite a decodificarle e decostruirle, a far notare l'implicito che contengono. Le pubblicità di un paese ci danno lo specchio dei rapporti di genere ed attuano, insieme a telefilm, telenovelas e simili, una sorta di propaganda di valori imposti dal mercato e quindi dal potere economico (assai più forte di quello politico). Si gioca molto sulle ansie e sulle paure di non essere all'altezza, di non essere accettate. Più si rendono insicure le donne, più facciamo in modo che esse non accettino se stesse, più si vendono merci (cosmetici, cure estetiche, ecc).
Il lavoro che le donne dovrebbero fare oggi più che mai è quindi acquisire la consapevolezza dei propri talenti, dei propri meriti e dei propri veri desideri (le "brame" al di fuori di quelle imposte dalla colonizzazione mentale della pubblicità). Consapevolezza che nel loro piccolo le studentesse calabresi della professoressa Corradi si ritrovano a fine corso quando confessano che la loro preoccupazione principale, in passato, era "abbinare lo smalto con il colore della borsetta".

domenica 21 ottobre 2012

Fior d'autunno

    

A proposito di piante che hanno superato gelo e siccità, uno dei due gerani di cui a questo post, l'unico sopravvissuto, ci continua a stupire.

giovedì 18 ottobre 2012

Le stelle e strisce che non ti aspetti

Grande paese gli Stati Uniti. In tutti i sensi. Questa l'impressione a pelle che ho ricavato durante il mio viaggio di quest'estate. Eppure ci sarebbero diversi luoghi comuni da sfatare su di esso come ci racconta Oliviero Bergamini, storico e giornalista, intervistato a Fahrenheit Radio 3 ed autore di Da Wall Street a Big Sur. Un viaggio in America. Gli Stati Uniti sono sempre stati per noi Europei un prodigioso produttore di immaginario, straordinariamente capace di intrattenere anche se, anni e anni di fruizione di prodotti mediatici americani, ci hanno dato un'immagine che non corrisponde del tutto alla realtà.
Un paese dove lo stato è "leggero"? In USA vi sono in proporzione più dipendenti pubblici che in Italia.
Un paese ricco? La ricchezza media delle famiglie italiane è più che doppia di quella americana (gli americani lasciano in media 10.000 $ ai figli). La ricchezza è così concentrata negli strati alti che gli strati medi e bassi sono più poveri degli analoghi europei. La classe media americana non è più solida e abbiente.
Paese di grande mobilità sociale? Mito ampiamente incrinato. Secondo studi di università europee e americane, la possibiltià di salire a strati sociali superiori ed anche di perdere il proprio status è inferiore a quella che si ha in Danimarca o in Germania. Le città tendono a dividersi ormai in quartieri omogenei per reddito e ciò ha ripercussioni gravi sulla mobilità sociale.
Università eccellenti? Accanto a quelle prestigiose che in effetti occupano i primi venti posti della classifica mondiale, la media delle università americane (che sono più di 3000) è piuttosto bassa pur essendo comunque costose (chissà come risulta l'università che ho visto a Bozeman, anonima cittadina del Montana).
Un altro stereotipo duro da scalzare è che gli Stati Uniti siano un paese storicamente senza conflitti sociali o comunque dove la classe operaria è integrata, conformista, senza storia.
A sfatare questa immagine ci pensa invece il libro "Storia del Movimento operaio negli Stati Uniti" di Richard Boyer e Erber Morais di cui si è parlato invece nella puntata di Fahrenheit che ospitava Mario Maffi, docente di Cultura Anglo-americana presso l’Università di Milano.
Grazie a questo libro scopriamo infatti che gli USA dal 1861 al 1955 hanno visto una straordinaria storia di organizzazione operaia con scontri acuti e violenti come il grande sciopero delle ferrovie del 1877 che diventò poi generale e sfociò nella Comune di Saint Louis. 
Dopo il 1955 il boom economico vide ricadute di benessere per ampi settori della classe operaia, ma negli anni sessanta esplosero di nuovo le contraddizioni. Il Sessantotto fu sì movimento di studenti e minoranze razziali ma contemporaneamente a Detroit e a Chicago si creano strutture sindacali di avanguardia che si contrapposero alle grandi organizzazioni sindacali (Lega Operai Neri di Detroit, braccianti in California, ecc.). Negli anni ottanta, con lo sciopero dei controllori di volo, licenziati in tronco da Reagan, si ebbe un'ultima fiammata di conflittualità sociale.
Oggi la classe operaia in USA è in una situazione difficilissima. Le grandi organizzazioni sindacali sono fortemente integrate con lo Stato. Solo alcuni sindacati minori di categoria reagiscono e cercano di mantenere la dimensione conflittuale e antagonista. Secondo Maffi il movimento Occupy Wall Street è effimero e destinato a finire perché non riflette tanto un ceto operaio organizzato quanto la classe media che vede intaccata la propria posizione sociale. A queste parole mi è subito venuto in mente quello sparuto gruppetto di ragazzi che ho visto ripararsi dalla pioggia quando ero a New York.
La precarietà e la dispersione sul territorio fa tornare il movimento operaio agli albori della rivoluzione industriale ed ha ragione Maffi quando dice che leggere come si organizzavano gli scioperi allora è di insegnamento per l'oggi e soprattutto per il domani. Anche per noi Europei.

lunedì 15 ottobre 2012

Ci sono ragazzi che.../5

In una puntata del programma di RAI3 "Percorsi" mi ha colpito una frase della giovane ospite, Valeria Cucinotta, una ragazza che ha avuto la disgrazia di perdere tutta la sua famiglia in un incendio e che ha trovato la forza di riscattarsi e costruirsi un avvenire di tutto rispetto. Di fronte ad immagini di suoi coetanei, e soprattutto coetanee, preoccupati solo di diventare veline e tronisti e comunque di avere il proprio quarto d'ora di celebrità televisiva, Valeria ha affermato che dietro questo c'è "l'interesse del potere di creare un annichilimento generale dei pensieri e delle idee, della forza rivoluzionaria che i giovani potrebbero avere e che in realtà hanno, come hanno dimostrato sempre nella storia."
E' vero: i giovani hanno una grande forza, una grande energia che potenzialmente potrebbe essere rivoluzionaria ma che è abilmente disinnescata dalla società individualista che fa loro pensare di potercela fare da soli mentre è solo unendosi e facendo rete che riuscirebbero a conquistarsi lo spazio che è loro dovuto.
In verità c'è un campo dove invece i giovani trovano subito spazio e possibilità di arrivare presto ai vertici: la criminalità organizzata. Parte proprio da questa constatazione questa puntata di Fahrenheit prendendo come spunto l'estrema spavalderia dimostrata da due giovani che hanno ucciso, in modo plateale e sfrontato, la scorsa estate un boss della camorra su una spiaggia affollata.
Raffaele Cantone, magistrato che ha combattutto a lungo la camorra, conferma che, soprattutto nella camorra cittadina, i giovani hanno assunto ruoli di vertice e presentano aspetti di modernità e di spregiudicatezza inauditi. Su questo pare che la camorra abbia fatto da apripista e che la mafia e la 'ndrangheta, più legate alla tradizione, la stiano seguendo. E' vero anche che il fenomeno del ringiovanimento dei vertici è dovuto ai colpi giudiziari inferti negli ultimi anni che hanno aperto spazi incredibili per le nuove leve. Il magistrato denuncia anche che in queste nuove leve della camorra c'è un utilizzo abnorme di cocaina, soprattutto tra i killer che li rende delle bombe umane.
"Esistono realtà," dice Cantone, "nelle quali un ragazzino di dodici/tredici anni, facendo la vedetta, cioè stando semplicemente seduto davanti ad un palazzo, apparentemente senza fare nulla, guadagna 500 Euro a settimana che è la paga che un operaio apprendista non riesce a guadagnare in un mese."
Ed ecco ancora un salto associativo. Al campo di Libera l'estate scorsa ho conosciuto tre ragazzi che lavoravano per la cooperativa. Erano definiti "messi alla prova". Ingenuamente pensavo che fossero "in prova per essere assunti" ed invece poi mi hanno spiegato che il loro lavoro presso la cooperativa costituiva una pena alternativa al carcere. Erano ragazzi giovanissimi, coetanei di mio figlio maggiore (19-20 anni) con già uno o due figli a carico, provenienti da quartieri disagiati di Catania. "Sai, F. faceva già rapine a 13 anni" mi ha raccontato il responsabile della cooperativa.
Essere giovani oggi può significare condizioni assai diverse anche all'interno dello stesso nostro paese. Dai nostri figli superaccuditi, ai ragazzi che sognano l'apparire invece dell'essere, a quelli come Valeria Cucinotta che trovano la forza nei propri valori e nella cultura per farsi strada, ai ragazzi di Scampia, dello Zen o di Librino con le loro esistenze bruciate nella malavita. Eppure tutti loro avrebbero grandi potenzialità rivoluzionarie.

Ci sono ragazzi che... /1, /2, /3, /4

venerdì 12 ottobre 2012

Il capitalismo tecno-nichilista e la rivoluzione silenziosa dell'ecologia economica

Quest'estate si sono susseguite a Fahrenheit Radio 3 letture e analisi dell'attuale crisi economica con ipotesi di vie d'uscita.
Una piuttosto affascinante, anche se di difficile approccio, è stata quella di Mauro Magatti, professore di sociologia all'Università Cattolica di Milano e autore de "La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto". Mi ricordo di aver sentito questa intervista in campagna mentre preparavo delle mele cotte e mi sono detta: "Interessante, anche se ci ho capito poco. La metto da parte per un post e magari, riascoltandola con più attenzione, mi risulterà più chiara". A dire il vero anche al secondo ascolto tanto chiara non mi è parsa, ma, come sempre, sono affascinata da queste analisi a largo raggio, che vanno oltre la quotidianità e cercano di spiegare l'oggi guardando a ieri.
Magatti vede la crisi del 2008 come un infarto, il collasso di una fase storica iniziata alla fine degli anni Settanta - inizio anni Ottanta con l'avvento dei governi neoliberisti e che poi si è affermata a partire dall'Ottantanove con la caduta del muro di Berlino. Si tratta dei primi trent'anni in cui in una larga parte del mondo, quello Occidentale fatto da Europa e Stati Uniti, il novanta per cento della popolazione ha avuto accesso a inedite condizioni di libertà, ragionevole benessere economico, discreta democrazia politica e ampio accesso ad un pluralismo culturale; un modello di libertà di massa che però era fragile.
Questi ultimi trent'anni sono figli della stagione precedente, gli anni Sessanta, con le sue luci e le sue contraddizioni. Dal Sessantotto è venuta una richiesta di libertà soggettiva e postmateriale che è stata incarnata dall'economia, la quale ha capito meglio della politica che le persone desideravano fare esperienze e provare emozioni ancor più che possedere beni.
Oltre a questo, sempre secondo il professor Magatti, per capire questi ultimi trent'anni non bisogna dimenticare l'evoluzione poderosa della tecnica e soprattutto del sistema di comunicazione. Non è un caso che proprio dagli anni Settanta ci sia stata la nascita delle TV commerciali private seguita dalle antenne paraboliche ed infine da internet. Risultato è che siamo immersi  in un ambiente mediatizzato dove tutti possono dire qualunque cosa senza nessun impegno né di coerenza né di veridicità.
Alla fine, secondo il sociologo, creiamo una realtà fantasmagorica dove la verità dipende dalla forza con cui una cosa viene affermata, dal suo impacchettamento. Rischiamo cioè di credere a tutto oppure di non dare più valore a nulla.
A ciò si aggiunge ancora, eredità del Sessantotto, il disconoscimento di ogni autorità al di fuori di noi stessi. Il sacrosanto diritto di pensare ciascuno con la propria testa associato alla modalità orizzontale di internet non ha come risultato di farci capire meglio la realtà che ci circonda quanto di farci galleggiare in questo mondo ultramediatico.
Insomma una società dove regna il regime dell'equivalenza, tutto e il contrario di tutto, tutte le opinioni sono ugualmente rispettabili, tutto si polverizza e il confine tra illusione e realtà diventa sottilissimo.
Una società definita da Magatti Capitalismo tecno-nichilista: un capitalismo che ha messo al centro un sistema tecnico planetario e ne ha sfruttato la potenza fino al collasso. Un sistema nichilistico perchè il sistema dei media consuma rapidamente tutti i significati che esso produce, distrugge i valori e rende insensata qualsiasi fede o anche semplicemente mantenere una certa coerenza.
Concetti difficili che però il sociologo raffigura efficacemente nell'immagine di noi, abitanti del mondo occidentale, costretti a correre sempre più forte come criceti dentro la ruota che la tecnica fa girare sempre più velocemente, vittime di una carenza di senso pazzesca, sia sul piano personale che sul piano collettivo.
Subito dopo aver trovato il farmaco salvavita per superare l'infarto della crisi, secondo Mauro Magatti, bisognerebbe cominciare a parlare delle sue cause sia strutturali che di comportamento e sviluppare un nuovo immaginario sintetizzato nell'intervista in tre tappe: 1) riammettere la realtà, 2) assumere il limite, 3) discorrere sulla trascendenza.
Insomma in qualità di esseri liberi abbiamo una grande chance: mettere al mondo il valore che dà un senso alla nostra vita ed amarlo, che sia un figlio, che sia un'impresa, che sia un'associazione di volontariato, che siano i nostri studenti, ecc.

Molto più abbordabile, forse anche troppo semplice, invece la lettura della crisi fatta da Andrea Segré, Preside della Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna, con il suo libro "Economia a colori.
Il senso del limite, auspicato da Magatti, ritorna in Segré, che afferma di guardare, come agronomo, il mondo "dal basso verso l'alto", ed è anzi al centro della sua visione perché, come diceva Goethe, "le piante non crescono fino in cielo".
La sfida, secondo l'agronomo, è assicurare a tutti una qualità e una quantità adeguata ma non oltre e semmai espandere i beni non materiali: la ricerca, la cultura, la spiritualità, le relazioni. Il professore non è convinto fino in fondo dal Movimento per la decrescita, che vede come una bella utopia che fa pensare un futuro diverso ma difficile da mettere in pratica. Chi decide, per esempio, chi deve decrescere?
Per Segré ci vuole il passaggio successivo: una società fondata sull'ecologia economica, dove cioè la natura sta al centro e l'economia è solo uno dei suoi tanti capitoli.
Poichè dopo questa crisi nulla sarà come prima, dovremmo provare ad immaginare una società diversa: meno sprechi, meno rifiuti, più ecosostenibilità vera (oltre il green washing dove il prefisso "eco" sembre risolvere magicamente tutto), più valore alle relazioni, come quelle che stanno alla base della piccola esperienza del Last minute market, che Andrea Segré ha realizzato in più di 40 città, e che fa intravvedere un'economia che passa anche attraverso il dono.

martedì 9 ottobre 2012

Buona giornata!

Suona la sveglia e mi trova in un sonno leggero ma che comunque avrei voluto continuare. La prima cosa che percepisco è che fuori è ancora buio, segno dell'inverno che avanza a dispetto del fatto che stia dormendo ancora con il solo lenzuolo. La seconda cosa che percepisco è il ticchettìo della pioggia sul vetro della finestra sopra la mia testa. Mannaggia! I panni stesi fuori! Ah no, meno male che li ho stesi dentro.
Mi rilasso facendo i mie ormai numerosi esercizi di stretching: abbraccia le ginocchia per tirare la schiena, apri le ginocchia per prevenire l'artrosi all'anca, tira il gomito per stirare la spalla, allunga il collo oltre il bordo del letto per la cervicale ed infine qualche movimento destra-sinistra, alto-basso della testa. Praticamente una seduta di ginnastica calibrata sul tempo che mio marito finisca in bagno.
Via di corsa lavarsi, spalmarsi di crema, vestirsi, colazione con cereali, yogurt e caffè d'orzo, denti, saluto veloce al figlio liceale che stenta ad alzarsi e poi fuori. In 35 minuti dalla sveglia sono fuori perchè il bus non perdona.
Infatti mentre mi avvicino a grandi passi alla fermata avvisto sia il 23 che il 57. Mi rassegno a perdere il primo perchè è ormai oltre la piazza, ma non posso permettermi di perdere il secondo. Così la mia corsetta quotidiana non me la leva nessuno. Salgo sopra e mi siedo (tanto è sempre semivuoto a quest'ora) contando sul rilassante ascolto dei miei amati audiolibri. Sto per finire "I duellanti" di Joseph Conrad (interessante, ma non mi ha appassionato più di tanto). Apro lo zaino e improvvisamente mi rendo conto di aver lasciato il lettore di mp3 sul mobile accanto alla porta. Niente paura: ho un lettore di mp4 e una coppia di auricolari di riserva. Vorrà dire che mi guarderò qualche puntata di "Lucarelli racconta". Oh no! Orrore! Insieme all'mp3 ho lasciato anche gli auricolari di riserva tirati fuori perché giusto ieri mi si erano rotti quelli di maggior valore.
E ora? E beh pazienza! Farò un viaggio così, accompagnata dai miei pensieri. Pensare, riflettere, svagolare: attività che non riesco a fare più ma che tutto sommato sono anche utili e importanti.
Scendo dal 57 e la pioggerellina si trasforma in acquazzone. Peccato che nelle lande sconfinate della periferia di pensiline alle fermate neanche l'ombra. Così mi avvio a grandi passi ad un'altra fermata del 59, ugualmente priva di pensilina, a che almeno pochi metri prima ha una casa con il tetto (di portare l'ombrello non se ne parla, per me è un oggetto sconosciuto).
Mancano ancora diversi minuti all'orario di transito del 59. E' sempre piuttosto buio ed anche un po' nebbioso ma dovrei riuscire a intravedere il bus in arrivo per poterlo intercettare. Mi faccio prendere dai miei pensieri. Mi viene in mente la splendida puntata di "Lucarelli racconta" che ho visto ieri sera: Giornalisti nel mirino. Che bella puntata! Ma come è bravo Lucarelli! Eh meno male che c'è RAI 3! E poi dicono che la TV è solo spazzatura....
Oh ma quello è il 59! Scatto come una centometrista verso la fermata mentre mi sbraccio perché l'autista mi veda. Ovviamente non c'è nessun altro alla fermata. Chi vuoi che ci sia alle 7.30 di mattina in questa zona desolata, in questa giornata di pioggia scrosciante e per di più in bus? Solo gli sfigati o i fanatici come me. Comunque riesco a salire e mi siedo. "Biglietto, per favore!" Ma cos'è, la giornata dei trabocchetti? Pioggia, mp3 dimenticato, controllori. Niente paura, anzi, sono lieta di mostrare il mio nuovo abbonamento. 
Tutto sommato non sta andando malissimo. Speriamo che il lavoro in ufficio sia tranquillo.
"Buona giornata!" E' così di moda dirlo.

sabato 6 ottobre 2012

Commoventi anni Settanta

Commuoversi constatando che anche gli Italiani hanno creduto in un futuro migliore e si sono impegnati a costruirlo. Ricordare, ma anche scoprire, visto che allora ero solo una ragazzina, un'Italia che partecipava, non si limitava a delegare ed a lamentarsi ed una classe dirigente che non poteva fare a meno di rispondere alle richieste che venivano dal basso.
Questi i sentimenti che ho provato guardando la puntata di Correva l'anno Rai3 dal titolo: "Diritti civili. Le grandi battaglie degli anni '70" (non capisco perchè la puntanta non sia "on demand" sul sito della RAI).
Gli anni Settanta infatti non furono solo "anni di piombo", come siamo soliti marchiare quel periodo, che certo ha visto 600 morti e 3000 feriti, ma anni magnifici, caratterizzati dal raggiungimento di conquiste civili e sociali che oggi vengono continuamente messe in discussione. Pur essendo giovanissima, mi ricordo nettamente quanto davo per scontato il progresso, il fatto che la società sarebbe sempre andata avanti e che le condizioni di vita delle persone sarebbero inevitabilmente migliorate sempre di più, i figli sarebbero sempre stati meglio dei genitori. Purtroppo oggi questa sensazione non si prova più: al suo posto c'è la paura e l'ansia.
Vale la pena quindi trarre conforto e stimolo ricordando queste conquiste proprio come ha fatto la bella trasmissione di RAI3. Accanto alle grandi battaglie per il divorzio e per la legalizzazione dell'aborto che tutti ricordiamo, il vento del cambiamento investì tutti i campi.

L. 20/05/1970 n.300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) - I diritti conquistati dai lavoratori alla fine degli anni Sessanta diventano legge indiscussa nello Statuto dei Lavoratori: il più completo strumento legislativo a tutela sia dei singoli che dei sindacati mai realizzato in Europa Occidentale.

Collegato ad esso ma rivolto soprattutto al riconoscimento di un nuovo ruolo della donna nella società, furono approvate:
L. 30/12/1971 n. 1204 (Tutela lavoratrici madri); 
L. 18/12/1973 n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) fortemente voluta da Tina Anselmi; 
Riconoscimento che si ebbe anche nella sfera privata con la Riforma del diritto di famiglia - L. 19/05/1975 n. 151.

Alcune leggi cercarono di attuare pienamente il dettato costituzionale per un universale accesso all'istruzione per tutti:
DPR n. 416, 417, 418, 419 e 420 del 31/05/1974 (Decreti delegati … sulla scuola: gestione democratica, stato giuridico dei lavoratori, sperimentazione) che resero possibile un'inedita partecipazione alla vita delle scuole. Le prime elezioni dei rappresentanti di genitori e studenti videro una grande partecipazione di cui oggi rimane solo una pallida ombra nelle desolanti riunioni di quattro gatti per classe, triste segno del disinteresse delle persone per la scuola.

E poi ancora il fermento rinnovatore riuscì a partorire: 
L. 29/07/1975 n.405 (Istituzione dei consultori familiari);
L. 13/05/1978 n. 180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) La cosiddetta "Legge Basaglia" che riconobbe la dignità del malato mentale.

Ha ragione Chiara Ingrao quando, durante la puntata in questione, afferma che raccontare gli anni Settanta come anni violenti fa torto ai tanti, soprattutto giovani, che si impiegarono energie, tempo e passione per il raggiungimento di queste conquiste. Magari gli Italiani di oggi ritrovassero questa forza!