giovedì 25 ottobre 2012

Donne che alzano la testa

"Dio fece le donne per piangere, parlare e filare" recitava un proverbio noto nella Francia medievale. Contro tali pregiudizi si scagliò Christine de Pizan, in realtà Cristina da Pizzano, la prima scrittrice di professione, attiva alla corte francese del XIV secolo. "Se le bambine potessero studiare si vedrebbe che non c'è nessuna differenza con i maschi" scriveva Cristina nel suo "La città delle dame". "Il vero problema che impedisce alle donne di studiare è la massa di uomini ignoranti che non sopporterebbero di vedere una donna che ne sa più di loro." Ed aggiunge: "Se le donne volessero studiare, allora vedreste che cambierebbe tutto." Questo ed altro ci racconta, con la sua consueta abilità comunicativa, lo storico Alessandro Barbero in una bella lezione tenuta al Festival della mente e riascoltabile sul relativo sito.

"La città delle dame" si rivolgeva anche alle donne per invitarle a farsi valere così come fece più di cinquecento anni dopo Betty Friedan con il suo memorabile "La mistica della femmilità" che uscì per la prima volta nel 1963 e che è stato di recente ripubblicato. Chiara Turozzi, la curatrice di questa nuova edizione, ne parla a Fahrenheit Radio 3 insieme alla psicanalista Manuela Fraire.
Un libro che fece scalpore perchè puntò il dito sul modello smagliante di femminilità, imposto subdolamente da educatori, psicanalisti e persuasori occulti, destinando le donne ad un'esistenza dedicata al ruolo di moglie-madre-regina della casa, con un bel marito, dei bei figli, una bella casa, tutti gli elettrodomestici che il mercato continuava a sfornare, ecc. Betty Friedan scopre che, aderendo a questo modello, le casalinghe americane vivevano una costante inquietudine indefinita, fatta di un persistente nodo alla gola, di un buco allo stomaco, di sfoghi della pelle, di abuso di alcolici e psicofarmaci, insomma di nevrosi. "Il problema senza nome", come lo chiama Betty Friedan cercando al contrario nel suo libro di darvi un nome e di dare la parola alle donne.
Intervistando un persuasore occulto, Betty Friedan gli chiede perché non suggerire alle donne di dedicare il tempo libero guadagnato grazie ai nuovi elettrodomestici a se stesse, alla propria cultura, magari a studiare astronomia. Ma i produttori vogliono che le donne rimangano in cucina magari investendo il nuovo tempo libero in maggiore creatività nel preparare i pasti o in una casa più lustra.

La stessa società patriarcale, che impediva alle contemporanee di Christine de Pizan di studiare e che imponeva alle donne americane degli anni Sessanta il modello di casalinga perfetta, oggi, che invece le donne, almeno nella società occidentale industrializzata, hanno l'opportunità di studiare e di farsi una posizione sociale fuori delle quattro mura domestiche (pur lavorando per due), suggerisce loro un modello altrettanto subdolamente repressivo e pericoloso: quello dell'immagine, l'imperativo di essere sempre belle, alte, magre, ricche, eleganti, giovani e desiderabili allo sguardo maschile.
Lo denunciano tante donne sulla rete (da Lorella ZanardoGiorgia Vezzoli di Vita da streghe, all'Associazione Donne Pensanti, alle ragazze di Frequenze di Genere, alle attentissime di Un altro genere di comunicazione e, per fortuna, tante altre) ma anche Laura Corradi, docente di Studi di Genere nell’Università della Calabria, nel suo saggio Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo, presentato a Fahrenheit Radio 3. Il libro si basa su una ricerca che nasce dalla didattica, frutto della collaborazione con le studentesse. Per dieci anni esse hanno raccolto le pubblicità e ne hanno fatto un'analisi semiotica, cioè dei segni, di ciò che ci viene trasmesso. Si sono divertite a decodificarle e decostruirle, a far notare l'implicito che contengono. Le pubblicità di un paese ci danno lo specchio dei rapporti di genere ed attuano, insieme a telefilm, telenovelas e simili, una sorta di propaganda di valori imposti dal mercato e quindi dal potere economico (assai più forte di quello politico). Si gioca molto sulle ansie e sulle paure di non essere all'altezza, di non essere accettate. Più si rendono insicure le donne, più facciamo in modo che esse non accettino se stesse, più si vendono merci (cosmetici, cure estetiche, ecc).
Il lavoro che le donne dovrebbero fare oggi più che mai è quindi acquisire la consapevolezza dei propri talenti, dei propri meriti e dei propri veri desideri (le "brame" al di fuori di quelle imposte dalla colonizzazione mentale della pubblicità). Consapevolezza che nel loro piccolo le studentesse calabresi della professoressa Corradi si ritrovano a fine corso quando confessano che la loro preoccupazione principale, in passato, era "abbinare lo smalto con il colore della borsetta".

6 commenti:

  1. Chissa' perche', chiacchierando di questi argomenti, io mi pongo sulla difensiva per il semplice fatto di essere maschio (e non c'e' dolo, visto che il genere non e' frutto di libera scelta).
    Io credo che se la societa' e' maschilista, al giorno d'oggi, non lo sia per scelta consapevole dell'uomo. Ne', tantomeno, della donna.
    Io credo che ai vertici della piramide ci siano i piu' aggressivi, e credo che i piu' aggressivi siano in genere gli uomini (anche se non ho ancora deciso se si tratta di una questione genetica o culturale, ma non credo faccia gran differenza). Praticamente chi comanda e' chi e' piu' aggressivo, ed in genere e' un uomo, che tende a dare piu' potere ad altri uomini, per una delle due seguenti ragioni:
    1) se e' "onesto" (da notare le virgolette), tende ad assegnare ruoli di potere ad uomini, poiche' riconosce in essi piu' aggressivita', e quindi migliori capacita' di ricoprirli.
    2) se e' "disonesto" tende a non riconoscere l'aggressivita' come qualita' necessaria ad assumere un ruolo di potere, e quindi finisce per riconoscere in una donna altre qualita' che lui giudicherebbe invece cruciali, minando quindi l'ordine preesistente che l'ha posto al vertice.
    In altre parole l'uomo di potere reprime l'ascesa sociale della donna vuoi perche' riesce a sfogare cosi' la propria innata aggressivita', vuoi perche' ritiene che la donna non sia adeguatamente aggressiva per ottenere potere.

    Queste considerazioni (che sono, sottolineo, solo una mia interpretazione personale dei fatti), chiaramente limitano le possibilita' della donna nella scalata sociale.

    Pero' questo e' l'effetto del fatto che l'aggressivita', o se vuoi chiamala l'istinto alla "competizione" e' il metro con cui bisogna misurarsi per ottenere posti di potere. Credo che si tratti di una caratteristica piu' degli uomini che nelle donne, ma credo anche che sia una caratteristica negativa che sarebbe meglio reprimere piuttosto che premiare.
    Io ad esempio non sono aggressivo ne' competitivo (e dove mi capita di essere spinto ad esserlo cerco di reprimere questa disposizione d'animo perche' la ritengo negativa). Il che ha sempre pregiudicato la mia ascesa sociale. Io non ricopro ruoli dirigenziali ne' ambisco a ricoprirli. Faccio il mio lavoro, e lo faccio bene, e trovo ingiusto che chi mi sta sopra nella scala gerarchica percepisca un trattamento migliore del mio, indipendentemente dalle sue capacita' tecniche. Perche' sono convinto che la sua posizione sociale sia l'effetto della sua maggiore aggressivita', non della sua preparazione.

    In buona sostanza penso che la contrapposizione non sia tra uomini e donne, ma tra chi ha potere e chi non ce l'ha. Un maschio che per natura o per scelta rifiuta il meccanismo competitivo ha le stesse possibilita' di una donna che faccia altrettanto.
    Un maschio che invece non lo rifiuta ha piu' possibilita'. Questa, pero', non riesco a percepirla molto come ingiustizia, trovandomi io dalla parte giusta della barricata. Se si colmasse il divario tra maschi stronzi e femmine stronze non si limiterebbe il numero di stronzi totale o il livello della loro stronzaggine.

    Per cio' che concerne invece la divisione dei ruoli, secondo me non e' cosi' generalizzabile che le donne "lavorano per due". Nella mia famiglia, ad esempio, io vado al lavoro e R si occupa delle faccende di casa. A volte (troppo spesso) mi piacerebbe che fosse a rovescio, ma per varie ragioni (non voglio farla ancora piu' lunga...) non puo' essere cosi'. Non credo, in ogni caso, che uno di noi lavori di piu' dell'altro. In condizioni diverse non credo comunque sarebbe giusto che fosse cosi'.

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    1. Il "lavorare per due" è statistico (vedi il link al post in cui parlo dei dati ISTAT).

      Sull'aggressività maschile e femminile gli psicanalisti hanno scritto fiumi di parole e anche Manuela Fraire nella citata intervista a Fahrenheit ne accenna (mistica della mascolinità=dover essere per forza competitivi).

      Il dato SOCIALE inconfutabile (non personale!) è che da sempre le donne di tutto il mondo, in misura maggiore o minore, sono represse dal potere patriarcale. Non certamente solo loro ma tutte le categorie che non rientrano nel maschio bianco eterosessuale, come dice Laura Corradi nella sempre succitata intervista.

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  2. Mh... mi sa che dovrei ascoltare le interviste, perche' io di citazioni da portare non ne ho, salvo il mio caso personale.
    Io sono maschio bianco eterosessuale eppure non mi ci identifico proprio manco per niente (tra l'altro, perche' "bianco"? I neri sono statisticamente meno maschilisti? E che dire dei gialli? I mediorientali?)

    Piuttosto che "maschio bianco eterosessuale" direi "maschio eterosessuale rampante". Ecco. In questa categoria non mi ci identifico proprio.

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    1. Mi sono volutamente spiegata male perchè tu ascoltassi le interviste... :-)
      I neri, gialli, ecc., gli omosessuali, ecc. sono altre categorie oggetto di repressione/discriminazione. Non ho scritto che sono maschilisti! Come categorie... non come singoli! Così come non tutti i maschi-bianchi-eterosessuali hanno potere e sono maschilisti.
      Non sentirti sempre sul banco degli imputati, Dario! Ti identifichi nei maschi che vedi nelle pubblicità sempre belli, giovani, magri e ricchi? Non credo, no?

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    2. be', pur essendo bello, giovane, magro e ricco no che non mi ci identifico!

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  3. Pero' c'e' una cosa, e te la dico perche' mi ci sono gia' imbattuto, e mi ha irritato parecchio.

    Piu' o meno lo stesso concetto mi stava raccontando V. Cioe' che le donne non hanno le stesse opportunita' degli uomini eccetera. E in questo ovviamente lei si includeva nella categoria delle donne e includeva me nella categoria degli uomini. Poi e' cresciuta, si e' laureata in america ed e' tornata. Ora e' nel consiglio di amministrazione dell'azienda, pur essendo una emerita idiota, solo perche' figlia del presidente (il quale e' pure lui un emerito idiota).
    Ora lei ha infilato gli artigli nella poltrona e fa il bello e il cattivo tempo, non formalizzandosi a mettere in cassa integrazione padri e madri di famiglia che hanno dato tutto per l'Azienda.

    Ebbene, preferisco dividere il mondo, anziche' in maschi bianchi eterosessuali e femmine in persone represse dal sistema e persone che le reprimono.
    Ammetto che la maggior parte (non la totalita', ma quasi) delle donne appartengono alla prima delle due categorie, cui appartengo anch'io.

    Mi spiace, non riesco a non sentirmi sul banco degli imputati se dici che i maschi bianchi eterosessuali, un po' ciccioni, biondi, con gli occhiali, allergici all'aspirina e che soffrono di vertigini sono stronzi.

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