venerdì 17 aprile 2009

Non so compatire

Da giorni mi dico che forse dovrei fare un post sul terremoto in Abruzzo ma poi mi chiedo: "Che posso dire mai che non sia già stato detto e mille volte meglio?" "Che cosa posso avere da aggiungere io?". Poi mi dico che può sembrare cinico parlare delle mie vacanze quando c'è chi ha perso in un attimo, se non la vita, tutto quello che ha.
Confesso che io non riesco a compatire, cioè a "partecipare all'altrui patimento" come recita il vocabolario. Certo che mi dispiace, certo che seguo con ansia le notizie che ci arrivano da Anna e dai miei colleghi dei Laboratori del Gran Sasso, certo che vorrei fare e cercherò di fare quello che posso per aiutarli, ma non mi viene niente da dire che non mi suoni falso o assurdo o retorico.
Senza togliere assolutamente niente a chi lo fa ( e sicuramente fa bene a farlo), mi rendo conto che questo è un mio personale limite.
Recentemente sono andata ai funerali dei genitori di una mia collega, morti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altra. Penso che le abbia fatto piacere vedere che le sono vicina, sono arrivata lì, l'ho abbracciata, ma non ho saputo cosa dirle. Che le dico? Le dico quello che penso e cioè che la morte di due persone molto anziane che da tempo soffrivano e vivevano una vita-non-vita secondo me è una liberazione per loro e per lei? Non sta bene.
Cosa dico al marito di una mia amica morta a cinquanta anni di tumore in questi giorni? Cosa gli dico io che non credo in nessun aldilà, in nessuna consolazione eterna, io che trovo la cosa solo una grande ingiustizia e una grande sfiga?
Non so consolare. Ci sono persone bravissime a trovare le parole giuste in queste circostanze. Io non ci riesco. Perdonatemi. Sento che nessuno possa capire veramente quello che si prova in certe situazioni se, per fortuna, non ci si è passati. Ecco perché ha ragione Saretta nel citare De Andrè:
E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà
.

13 commenti:

  1. Eppure io, che penso di essere in questo simile a te, credo che in molte situazioni il silenzio sia la migliore delle consolazioni. Il silenzio apre spazi di riflessione, sia personale che condivisa, le parole spesso servono solo a coprire il dolore degli uni e l imbarazzo degli altri.

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  2. Mi trovo frequentemente nella tua stessa situazione, perciò ti comprendo bene e anch' io penso che in molte circostanze sia più opportuno tacere,
    Ciao
    Sileno
    PS: ho accolto il tuo invito riguardo le erbe commestibili.

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  3. vedi Arte, in questi giorni si sono sentiti fiumi di parole, su FaceBook (ebbene si mi sono lasciato prendere) si sono formati gruppi, si sono lette frasi; ebbene credo che la stragrande maggioranza di queste iniziative siano assolutamente vuote e prive di valore. Io penso che in certe circostanze, specie se dolorose, ma anche felici, non servano le parole ma solo sentire la vera vicinanza e l'affetto. Che spesso si può dimostrare solo con braccia che sappiano accogliere.

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  4. Non sempre i sentimenti personali hanno bisogno di essere palesati tramite parole scritte o azioni. Si può essere addolorati nel cuore e non dire niente a nessuno.

    Rino.

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  5. haı detto esattamente quello che pensavo ıo. solo che ıo so gıa dı non saperlo spıegare bene come te... uso le parole deglı altrı per aıutarmı.
    non seı l unıca. sıcuro sıamo ın 2. e apprezzo molto ıl commento dı rıno.
    un abbraccıo.

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  6. stavo pensando che, sı.
    tu saı compatıre, probabılmente compatıscı molto dı pıu con ı tuoı sılezı rıspettosı pıuttosto che la "gente" (sı faccıo dı tutta l erba un fascıo, me ne scuso) con tante parole e frası fatte.

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  7. per una volta mi trovo a dire che io in questo sono molto diversa. spesso il dolore altrui mi travolge (compreso quello lontano del terremoto). tendo ad assorbire le emozioni, quasi mi entrassero dentro (e senza chiedermi il permesso).
    e quando sto male ho bisogno delle parole altrui, detesto il silenzio, mi fa sentire sola. a volte una sola frase di un amico che però mi fa sentire che ha capito (e compatito, proprio nel senso vero della parola che hai citato) mi dà la forza di superare il momento di crisi e mi avvicina alla persona in maniera forte e duratura.
    allo stesso modo tendo a stare vicina quando vedo qualcuno stare male, forse per questo ho avuto spesso il ruolo di confidente (con i consigli invece vado malissimo). più di qualche volta qualcuno mi ha detto che mi ha parlato di cose che non dice facilmente. Credo che l'epmatia sia una cosa innata, a volte un pregio, a volte un difetto.
    anche se forse la sto un po' perdendo. questi due anni di vita da sola mi hanno indurita un po', una specie di presa di distanza (sana?) dalle emozioni, mie e altrui. perchè l'empatia scassa, ti scassa proprio. sono emozioni che ti entrano dentro, ti fanno soffrire, a volte sentire impotente.
    e avendo ormai (non per scelta ma a casua del fatto che passo le mie giornate in ambienti con carenza di donne) più amici che amiche qualche volta il silenzio mi pesa. gli uomini sono degli ottimi amici se sei in difficoltà e loro possono fare qualcosa, ma come consolatori sono pessimi. ci pesno da un po'. credo ci sia un mix di poca dimestichezza con le emozioni e di sana paura di esse.
    (ho esagerato come al solito, ma era un po che non scrivevo :))

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  8. Cum-patire può anche voler dire "provare sentimenti insieme a ", quindi essere VICINO a qualcuno ma provare i PROPRI sentimenti. Credo che l'importante sia proprio questo: ESSERE VERI, PROVARE I SENTIMENTI VERI CHE SI HANNO DENTRO, se no diventa sforzo, dovere, non sincero e fasullo.

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  9. Grazie per i vostri interventi che mi rassicurano un po'.
    Liber, quanto a capacità di ascolto ed empatia credo di averne. Diciamo che mi ritrovo nel ritratto che fai degli uomini: "ottimi amici se sei in difficoltà e possono fare qualcosa, ma pessimi consolatori". Ecco, mi sento proprio così. Se c'è da agire volentieri, ma se, come di fronte alla morte, non c'è più niente da fare mi sento ammutolita, sento l'inutilità di qualsiasi parola anche se invece razionalmente so che, trovando le parole giuste, si può essere di aiuto. Ammiro chi lo sa fare. Io non ci riesco. Tutto qui.

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  10. Accidenti, Arte, quanto hai colto nel segno. Da quando c'è stato il terremoto non riesco più a scrivere una parola senza sentirla sbagliata. Non riesco a parlare di cose futili e nemmeno di cose importanti. Non riesco a partecipare alla commozione nazionale, e nemmeno a parlare d'altro. Per ora leggo, ascolto, taccio. Passerà.

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  11. Ti capisco, Lupo. Io rimugino, rimugino, mi macero... poi butto fuori e mi sento meglio.
    Adesso mi sento meglio.

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  12. che commento disarticolato che ho scritto ... non ho più l'età per fare le ore piccole :P

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