sabato 28 novembre 2009

Autobiografia di una repubblica

Sarà che cerco sempre di capire le cose allargando lo sguardo, cercando un collegamento con ciò che era prima, in sostanza mi piace dare una lettura storica anche alle cose di stretta attualità. Per questo ho trovato stimolante l'intervista a Fahrenheit Radio 3 allo storico Guido Crainz, autore del libro "Autobiografia di una repubblica".
Crainz analizza la storia del nostro paese per capire come possa essere diventato una nazione dove regna «la volgarità di un populismo senza regole», la videocrazia imperante, il degrado dell'etica pubblica, la perdita di pudore, una diffusa «corruzione inconsapevole». I punti salienti dell'affascinante quanto pessimista analisi di Crainz sono:
1) Non è vero che tutto si deve ricondurre al carattere eterno degli Italiani, cattivi, individualisti, familistici, non rispettosi delle regole, perchè ciò suona un po' come una semplicistica giustificazione. Anche l'idea che gli Italiani siano qualunquisti e apolitici va sfatata perché l'Italia ha visto decenni di grande impegno politico, caratterizzati da alte percentuali di votanti, elevato numero di cittadini iscritti ai partiti, grande partecipazione ai movimenti. Negli anni Settanta gli stranieri che venivano da noi erano colpiti dalla politicizzazione del nostro paese.
2) Dopo 17 anni dal momento di crisi segnato da Tangentopoli e dall'irrompere delle Leghe è difficile pensare di vivere ancora in una fase di transizione, che sarebbe troppo lunga, bensì il professore teme che quello che vediamo sia un approdo durevole con il quale bisogna fare i conti ragionandoci e non semplicemente sperare in una ventata che spazzerà via la classe politica "cattiva" che tiene in ostaggio la società civile "buona".
3) Negli anni Cinquanta e Sessanta l'Italia cambiò pelle, smise di essere un paese contadino e arcaico, bisognava definire nuove regole e si confrontarono modi diversi di essere Italiani. Questo confronto continuò negli anni Settanta alla fine dei quali però si assistette a processi di degenerazione del sistema politico (Gelli, Sindona, ecc.). Dagli anni Ottanta il modello che disprezza le regole e afferma l'interesse individuale contro l'interesse collettivo ha sempre meno anticorpi. Un certo modo di pensare l'Italia c'era quindi già fin dagli anni del Miracolo Economico ma trovava diversi anticorpi nella società, nei partiti, nei movimenti culturali e giovanili. Il modello di essere Italiano che si è consolidato in questi ultimi quindici anni quindi c'è sempre stato ma sono venuti meno gli anticorpi. Antonio Gambino nei primi anni Novanta affermò che "non è vero che in Italia ci sono più disonesti che altrove, bensì meno onesti che altrove", cioè esiste meno che altrove una rete attiva di persone oneste (anche minoritaria) ma che dia un'alternativa al modello imperante.
4) Per questo è inutile sperare di risolvere tutto con la caduta di una persona perché l'Italia che si è consolidata in questi anni non cadrebbe in un minuto.
Nella singolare raccolta di SMS che gli ascoltatori di Fahrenheit hanno inviato con le frasi per definire il nostro paese Guido Crainz sottolinea il primo come emblematico: SUV in seconda fila.

mercoledì 25 novembre 2009

Niente regali alle mafie


Trovo molto grave l'emendamento inserito nella finanziaria secondo il quale i beni confiscati ai mafiosi saranno venduti per fare cassa. A parte il fatto che è facile immaginare che verranno riacquistati dalla mafia tramite prestanomi, ma soprattutto si vanifica l'importante messaggio di speranza che l'utilizzo sociale di questo tipo di beni trasmette. Le cooperative associate a Libera rappresentano un esempio, pur piccolo, di lavoro legale per tanti giovani del Sud che coraggiosamente resistono alle offerte di arruolamento nella criminalità organizzata. Il fatto che nella piscina della villa di un boss ci facciano i corsi di nuoto per disabili, fa capire che la comunità si è riappropriata di qualcosa che le era stato tolto con la violenza e la prepotenza.

Per questo invito, chi non lo ha già fatto, a firmare l'appello di Libera.

La lotta alla criminalità organizzata è un tema che mi sta molto a cuore. Per questo vi ho dedicato diversi post:
Quando per scrivere ci vuole coraggio
Il ritorno del Principe
Il punto sull'antimafia
Ed infine anch'io ho letto Gomorra
L'oro della camorra
Piccoli eroi dimenticati
Per amore della Calabria

lunedì 23 novembre 2009

Leggere e scrivere


Leggere

Elisabetta Rasy nel suo libro "Memorie di una lettrice notturna" dipinge venticinque ritratti di autrici del Novecento alle quali si sente particolarmente legata ma più che altro racconta il suo amore viscerale per la lettura. Una passione che risale all'età di otto-nove anni quando essa, come ci racconta a Fahrenheit Radio 3, non sapeva che i libri avessero un autore e pensava che le storie si autorappresentassero. Solo dopo qualche anno ha scoperto che dietro un libro c'è una persona che lo scrive, con le sue virtù e le sue fragilità, e che può anche essere una donna. Sono sicura che molti amici blogger, che so essere lettori forti, si ritroveranno in questo amore quasi morboso verso la lettura e verso l'oggetto libro che racconta Elisabetta Rasy: la sensazione tattile delle prime copertine di finta pelle, la rilettura ossessiva di alcuni libri (pare che abbia letto un centinaio di volte Piccole donne), il fatto che spesso non si ricorda molto di un libro ma si ricorda benissimo il posto o la circostanza dove si è letto.
Leggere per la Rasy non è un evasione ma un invasione nella realtà, uno strumento per essere più presenti al mondo. Ricorda di essere stata rimproverata a scuola perchè leggeva sotto il banco Il Rosso e Nero. Ve l'immaginate oggi un ragazzo o una ragazza che leggono di nascosto sotto il banco? Io no. I suoi genitori la rimproveravano perchè leggeva fino a tarda notte, mentre adesso è assai più comune lamentarsi perchè i nostri figli non leggono.

Scrivere

Anche nella puntata di Le Storie Diario Italiano, dove è stato ospite Luca Ricci autore dell'ironico racconto "Come scrivere un best seller in 57 giorni", si è parlato di libri ma dall'altro punto di vista: quello di chi li scrive. Pare che il consulente dell'editore del primo manoscritto della Recherche di Proust abbia commentato che "non capiva come un individuo avesse bisogno di scrivere trenta pagine per descrivere come si rivoltava nel letto prima di dormire".
In effetti, come ha detto anche Luca Ricci, oggi bisogna essere veloci a tutti i costi, anche e soprattutto nella cultura. Un tempo si poteva fare zapping solo con la televisione mentre oggi si può fare surfing (pare che si dica così) in rete saltando da un pagina all'altra senza necessariamente finire di leggerle. Una forma di conoscenza tutta improntata sulla superficie e sulla velocità. Mi è parsa interessante la definizione che l'ospite ha dato del linguaggio letterario che è tale non semplicemente perchè è scritto (anche un email, un SMS, una chat sono scritte ma sono semplicemente forme orali trascritte) bensì perchè "oppone resistenza". Non so se ho capito bene questo concetto però devo dire che l'ho associato subito al confronto che capita di fare tra i blog e facebook. Non voglio di certo affermare che i blog sono letteratura, ma per me scrivere un post comporta una riflessione, qualcosa che si pondera e poi si scrive (e, per quanto mi riguarda, si rilegge e si ritocca più volte). Penso che invece facebook, twitter o le chat siano invece parole scritte d'impulso.

Come invidio chi ha un rapporto con la lettura come quello descritto da Elisabetta Racy perchè, io al contrario, ho ben presente "la resistenza" che i libri mi oppongono!

giovedì 19 novembre 2009

La goccia del colibrì


Non saranno tredici pannelli fotovoltaici a risolvere i problemi energetici e a salvare il pianeta dal riscaldamento globale, però oggi sono proprio contenta di aver fatto questo passo.
Ricordate la storiella raccontata in questo vecchio post?
Beh, io mi sento spesso il colibrì che fa la sua parte per cercare di spengere l'incendio e da oggi (anzi, a dire il vero, da quando l'ENEL li allaccerà) porto una goccia in più.

lunedì 16 novembre 2009

Incontrarsi e dirsi addio

Qualche mese fa, in tandem con Marina, ho sbirciato tra i blog dei nostri amici per capire cos'è che li ha spinti a cominciare questa attività.
Recentemente, forse influenzate dal clima autunnale, ci siamo dedicate invece a capire come e perché si chiudono i blog. Anche qui gli approcci e i motivi sono i più diversi.
Ci sono quelli che maturano questa decisione e sentono il dovere di comunicarlo al proprio pubblico. "Lascio." titola Luca (da notare il punto), salvo poi avere qualche raro ripensamento. "Capolinea", scrive Max altrettanto categorico anche se successivamente si è ricordato di passare di tanto in tanto per lasciarci un saluto e qualche aggiornamento. Ancora più perentorio Unodicinque con il suo "The end." (un titolo da brividi) mentre si sofferma a chiedersi che ne sarà delle tante parole che ha scritto e che si perderanno nel mare dei blog.
Ci sono poi quelli che minacciano ma, per fortuna non mantengono, come Luciano: "Idefix chiuderà e cambierà" oppure Sileno che ha dovuto rimuovere il suo "commiato" dopo le accalorate proteste degli amici lettori.
Invece ci sono tanti, direi la maggioranza, che semplicemente smettono di scrivere e di pubblicare, probabilmente senza nessun proposito definitivo, semplicemente non si dedicano più al blog, come per dimenticanza. Certo, il blog è come un balocco: prima o poi stufa tutti. Pensando ai giovani in particolare, è più che comprensibile che abbiano di meglio da fare. Mi vengono in mente Pandoro, Lorenzo e Saretta. Chissà cosa staranno facendo. Saranno finiti su Facebook?
Per altri la causa dell'abbandono è legata ad un cambiamento nel lavoro come ci aveva prennunciato MarcoUK o ad un particolare periodo della vita come Belphagor, che comunque ha la premura di scrivere Vi amo tutti! e di provare la sua iperattività pubblicando le sue occhiaie.
Ma che pensare di quei blogger grandicelli che spariscono così senza un preavviso, senza una spiegazione, senza un saluto? Fabioletterario che non posta più dal 28 maggio e non fa sapere niente di sé ai preoccupati commentatori, Frida assente dal 3 ottobre, Julo forse sta ancora veleggiando dal 16 di agosto o Mirco che ci ha lasciati l'8 febbraio con una frase di Einstein?
Confesso che ciò mi mette un pochino a disagio. Capisco tutto: la mancanza di idee, la vita che cambia, la voglia abbandonare questa realtà virtuale per dedicarsi ad altro. Come scrive bene Giulia nel suo ultimo post: "C’è bisogno di ripensare e di capire dove si sta andando. Riprendere magari penna e quaderno, lasciare la tastiera."
Benissimo. Ma dietro le tastiere ci sono le persone, persone che abbiamo conosciuto in questo mondo virtuale ma che sono in carne ed ossa. Non sarebbe il caso di salutarle quando si va via? O forse sono troppo permalosa?

sabato 14 novembre 2009

Difendersi dai fulmini

Il saggio Giorgio di Frutti di stagione ci raccomanda in questo stimolante post di "cercare di essere se stessi e non farsi condizionare da quello che fa la maggioranza degli altri". In particolare si riferisce a quando, nella quotidianità, le altre persone si relazionano con noi in modi poco gradevoli, cioè sono collerici, intrusivi, offensivi o sadici.
Questa sua riflessione mi ha fatto venire in mente la mia quoditidianità in ufficio. Il mio lavoro non mi entusiasma ma lo affronto ogni mattina con serena rassegnazione, cercando di non prendermela per le cose che non vanno come vorrei, cercando sempre il lato positivo o, almeno, il lato comico delle situazioni, consapevole che poteva andarmi molto peggio. Capita invece che i miei colleghi scarichino su di me le loro insoddisfazioni. Con la scusa che io sono la responsabile del servizio, spesso mi investono con tutte le lamentele possibili e immaginabili a proposito degli utenti, del programma informatico che non funziona bene e di ogni sciocchezza che fa saltare loro la mosca al naso. Come difendersi da questa energia negativa? In genere riesco a mantenere la calma e il distacco ma talvolta è difficile non farsi coinvolgere. Talvolta percepisco quasi fisicamente un accumulo di elettricità nell'aria come quando si avvicina un temporale e mi sento tanto parafulmine.
Capisco che spesso, dietro gli atteggiamenti polemici e collerici, ci stanno in realtà insoddisfazioni e preoccupazioni che non c'entrano niente col motivo del contendere. Ma allora perché non fermarsi e chiedersi cosa c'è davvero che non va?
Non lo so. Sarà che io, per fortuna, sono abbastanza contenta di me stessa, della mia situazione familiare ed economica. Forse sono fortunata o forse mi so accontentare e so godere quello che ho. O forse un po' tutti e due. Anch'io mi arrabbio qualche volta ma mi passa subito perché mi viene in mente quel proverbio cinese (o di dove diavolo sia) che dice: "Se c’è rimedio non ti arrabbiare, se non c’è rimedio che ti arrabbi a fare?"

mercoledì 11 novembre 2009

Niente di nuovo sotto il sole

"Ancora gli Uffizi?" il prevedibile commento dei miei uomini di casa quando hanno appreso a quale visita degli Amici dei Musei mi ero prenotata. "Ma non ci sei già stata un sacco di volte?"
A parte che, come mi ha suggerito la mia amica R. con cui condivido da una ventina d'anni questa passione, non è che se a uno piace la Nona Sinfonia di Beethoven l'ascolta una volta sola, a parte questa considerazione, la visita è stata particolarmente interessante ed anche originale.
Niente Primavera di Botticelli o Tondo Doni. La giovane archeologa Carlotta Ansaldi ci ha fatto una lezione sui busti degli Imperatori Romani esposti lungo il primo corridoio concentrando l'attenzione sulla personalità dei vari personaggi ritratti, sui loro vizi privati, sui loro difetti ed i relativi espedienti per nasconderli. Sono venute fuori singolari analogie con l'attualità.
Dal riporto di Cesare per mascherare la calvizie ai calzari rialzati di Augusto per rimediare alla sua bassa statura. Fino alla vena di follia che serpeggia da un imperatore all'altro dovuta anche al fatto che, imparentandosi continuamente all'interno della stessa famiglia, le tare ereditarie permanessero. E' venuto fuori il diverso approccio verso le casse dell'Impero. I migliori Imperatori infatti erano sobri nei loro costumi e spendevano per Roma, i peggiori invece sperperavano i soldi nei loro lussi e affamavano l'impero. C'erano persino le grandi opere: come il gigantesco ed inutile ponte che Caligola fece costruire nella baia di Napoli. La nostra guida ci ha raccontato della scarsa considerazione per le donne (specie inferiore necessaria solo per ottenere un figlio maschio), dello stress continuo di chi sa di essere costantemente in pericolo di essere eliminato, di Nerone che fa costruire la sua Domus Aurea dove i sudditi non possono mettere piede e di Tito che invece apre al pubblico il palazzo imperiale (ecco da dove l'ha copiata l'idea il Renzi). Insomma un'ora e un quarto piacevolmente volata.

Sul tema consiglio anche la serie di Alle Otto della Sera Venti Imperatori Romani a cura di Andrea Giardina.

domenica 8 novembre 2009

Mamma orgogliosa /4

Sabato pomeriggio mi è toccata la partita di mio figlio tredicenne. Il centroavanti della squadra avversaria era un ragazzino "con qualche problemino". Polemico e dispettoso, decisamente più alto delle media dei ragazzi, tentava continuamente lo scatto verso la porta avversaria, probabilmente abituato ad avere la meglio sui difensori incaricati di marcarlo. Ha trovato però in mio figlio un avversario con le gambe altrettanto lunghe ma un po' più veloce. Dopo tre o quattro volte che si è trovato tarpato nelle sue azioni personali, il campioncino si è innervosito e ha cominciato ad atterrare il difensore, a tirarlo per la maglia, a mollargli pedate, ecc. Insomma una provocazione continua e non solo nei confronti di mio figlio. L'arbitro sembrava piuttosto distratto e incapace di frenare il nervosismo che saliva in campo. Per fortuna, mio figlio e i suoi compagni non hanno reagito (aiutati dal fatto che stavano vincendo).
Alla fine della partita mi sono complimentata con mio figlio per aver giocato bene e soprattutto per aver mantenuto il suo self control.
"Guarda, mamma, che non sono mica un cretino: l'avevo capito che era un coglione".
Chapeau.

venerdì 6 novembre 2009

Donne che mi piacciono /3

Chi ha visto la puntata di Report del 18 ottobre, capirà perchè ho deciso di includere nella mia personalissima lista di donne che mi piacciono, Manuela Amadori ed Elena Ciocca. Chi sono costoro? Sono artigiane del divano, due piccole imprenditrici del distretto di Forlì, famoso per la produzione dei prestigiosi divani Made in Italy, che due anni fa si sono ribellate al sistema di concorrenza sleale che sta facendo chiudere tante piccole aziende.
Dall'ottima inchiesta di Sabrina Giannini (qui il video e qui il testo) emerge che la crisi, almeno per adesso, non c'entra in questa faccenda.
Il punto è che i grandi marchi del settore (quelli che ci tartassano di pubblicità e si vantano della qualità del Made in Italy) per fare offerte sempre più basse impongono ai terzisti dei prezzi sempre più bassi per realizzare divani e poltrone mantenendo però un certo livello. I terzisti italiani, che tra l'altro da contratto vengono pagati tre o quattro mesi dopo la consegna cioè dopo che hanno anticipato l'acquisto di quasi tutto il materiale, non rientrano nei costi a tali prezzi e hanno due possibilità o chiudere o subappaltare a ditte cinesi che garantiscono di rientrarci. In entrambi i casi devono licenziare i propri operai. I cinesi, d'altra parte, si sono fatti furbi. Invece far lavorare tutti gli operai a nero e rischiare ogni tanto la sospensione dell'attività (anche se con una multa di sole 2500 euro si può comunque riaprire) assicurano gli operai a part-time di 20 ore a settimana ma li fanno lavorare 12 ore al giorno. Così se arrivano i controlli l'ispettorato non può sapere se stanno lavorando per le ore dichiarate oppure no. D'altra parte la discrepanza tra ore di lavoro ufficialmente dichiarate e quantità di divani prodotti è tale che balza agli occhi.
Manuela Amadori ed Elena Ciocca si sono rivolte ai sindacati e alle associazioni di categoria ma l'unica cosa che hanno ottenuto per adesso è che non hanno più commesse. Per fortuna però, a seguito di una comunicazione anonima, in Prefettura è stata aperta un'inchiesta.
Interessanti anche le osservazioni dell'economista Giulio Sapelli che ci aiuta a capire perché i cinesi accettino queste forma di sfruttamento, quale dovrebbe essere l'atteggiamento meno ideologico e più lungimirante dei sindacati e come dovrebbero essere ben più severe le sanzioni a chi viene beccato a far lavorare a nero.
"Te lo fanno capire," dice Manuela nell'intervista "non hanno neanche bisogno di dirlo. Il prezzo è questo. Vedi un po' te. Perché tieni tutti questi dipendenti? Dai cinesi costa molto meno. Ed esci che hai il cuore strappato perché come fai ad entrare nella tua ditta dove vedi i dipendenti e prendere in considerazione un'alternativa a quella?"
"Si poteva fare questo giochetto," afferma invece Elena Ciocca, "tanto se volevi rimanere sul mercato, i giochetti sono tanti, però, no, io non scendo a queste schifezze. Queste sono schifezze. Punto."
Che differenza con l'imprenditore che ascoltiamo successivamente e che, quando gli viene chiesto cosa pensa del fatto che lo stesso lavoro ai cinesi costa meno, risponde: "Loro lavorano ad un certo prezzo diverso... quello è un problema loro, non é un problema mio."
Peccato che poi il problema diventa di tutto il distretto in quanto piano piano i marchi si rivolgono direttamente ai terzisti cinesi e ben presto anche lui rimarrà tagliato fuori.
Per fortuna, come dice Milena Gabanelli, non è vero che tutti abbiamo un prezzo. Speriamo che finisca bene per queste due determinate imprenditrici.

mercoledì 4 novembre 2009

Mettersi in gioco

Ieri ho partecipato alla prima riunione del "Gruppo ambiente" al liceo di mio figlio. Si tratta di un'attività volontaria di due insegnanti volta a sensibilizzare i ragazzi sulle tematiche ambientali (raccolta differenziata, acqua potabile, ecc.). E' rivolto principalmente ai ragazzi ma sono invitati anche i genitori. Mio figlio non ha voluto parteciparvi e mi ha anche preso in giro a lungo dicendomi che sarei stata l'unico genitore "tra tanti ragazzini" (salvo poi, quando sono tornata, investirmi di domande curiose per sapere chi c'era, che cosa hanno detto, cosa avete fatto ecc.).
C'erano una trentina di ragazzi (in maggioranza ragazze, tanto per cambiare) e quattro genitori. Le insegnanti promotrici hanno illustrato il programma annuale (proiezione di documentari sull'ambiente, conferenze con esperti, gite inerenti all'argomento). Dopo di ciò bisognava montare i contenitori per la raccolta differenziata e fare il giro delle classi per controllare dove questi mancavano.
I ragazzi si sono buttati subito al lavoro mentre una mamma che era con me ha chiesto timidamente all'insegnante cosa dovevamo fare noi genitori. Per un attimo infatti ci siamo sentite un po' intruse, un po' fuori luogo, ma la professoressa ci ha rassicurate dicendoci che qualsiasi nostro apporto sarebbe stato benvenuto.
Allora mi sono messa a montare i contenitori insieme ai ragazzi condividendo con loro le difficoltà, le battute e anche aiutando quelli più insicuri. Così l'imbarazzo è passato presto e mi sono anche divertita. Non è facile in occasioni come questa spogliarsi del ruolo dell'adulto che educa e mettersi a fare qualcosa fianco a fianco agli adolescenti, ma qualche volta, secondo me, è piacevole e salutare mettersi in gioco.

domenica 1 novembre 2009

Dalla parte di Don Santoro

Da atea convinta quale sono, provo ammirazione per quei preti che non scelgono posizioni di comodo ma che si mettono in gioco e corrono rischi per portare avanti quello che la fede suggerisce loro e che mettono sopra ad ogni altra imposizione dei loro superiori.
Preti come Don Giuseppe Puglisi, Don Giuseppe Diana, Padre Alex Zanotelli, Don Luigi Ciotti, il combattivo Don Andrea Gallo ma anche più semplicemente Don Aldo Danieli (di cui ho parlato un anno fa) sono religiosi che possono far riavvicinare alla comunità dei fedeli chi da tempo non si fida più di un'istituzione che spesso dimostra di essere dalla parte dei potenti, dei ricchi e persino dei mafiosi.
Don Alessandro Santoro è il parroco de Le Piagge, un quartiere alla periferia di Firenze, un quartiere difficile dove abitano i poveracci tra cui tanti stranieri. Una banlieue per intendersi. Alle Piagge Don Santoro con i suoi volontari ha messo su un'attività splendida fatta di doposcuola, alfabetizzazione per stranieri, microcredito, percorsi di accoglienza, riciclo dell'usato, bottega del commercio equo e solidale, incontri culturali, sportello legale, ecc. (vedi il grafico sopra o il loro sito AltraCittà).
Don Santoro però ha recentemente disubbidito all'ingiunzione del Vescovo di non celebrare il matrimonio tra Sandra Alvino, nata uomo ma riconosciuta donna dallo Stato Italiano nel 1982, e suo marito al quale era già sposata civilmente da anni. Don Santoro ha disubbidito e per questo adesso viene allontanato dalla parrocchia "per un periodo di riflessione e di preghiera".
Certo, Don Santoro ha voluto sfidare i propri superiori e forse non valeva la pena di giocarsi per questo la possibilità di continuare la sua preziosa attività sociale. D'altra parte però cinquant'anni fa Don Milani (altro grande prete) ci ha insegnato che "L'obbedienza non è più una virtù".
In ogni caso da osservatrice esterna, penso che le gerarchie cattoliche sbaglino ad arroccarsi in queste posizioni intransigenti basate su principi che niente hanno a che fare, secondo me, con l'amore cristiano. Che male fa questa coppia che si vuole sposare? Quale peccato compie? Certo molto meno male della banca a cui si può versare l'Obolo di San Pietro (una delle banche che "autorizza" il commercio di armi). Tanto per dirne una. Certo molto meno male di tante multinazionali che affamano milioni di poveri nel mondo e contro le quali non mi risulta che il Vaticano si impegni molto.
Personalmente mi sento di sottoscrivere quanto ho sentito dal magistrato Roberto Scarpinato in una conferenza:
"L'Italia è la patria di un Vaticano che, da un lato critica il relativismo dei valori laici, dall'altro pratica un relativismo occulto che consente a ciascuno di scegliersi il proprio Dio che gli aggrada a secondo della sua collocazione sociale senza mai sentirsi per questo in contraddizione. Il Dio dei dittatori e il Dio degli oppressi, il Dio dei mafiosi e il Dio degli antimafiosi, il Dio dei corrotti e il Dio dei poveri cristi a cui i corrotti rubano il futuro. Una Chiesa che è come il banco che non perde mai. Sartre diceva che l'etica consiste nello scegliere. Una chiesa che non sceglie è una chiesa che manca di etica.
In America latina all'ingresso di una cattedrale ho visto affisso un cartello: "Il mondo si divide in oppressi e oppressori. Tu, cristiano che stai per entrare in questa chiesa, da che parte stai?"

Ecco da che parte sta Don Santoro mi sembra molto chiaro, mentre è meno chiaro da che parte sta l'Arcidiocesi di Firenze.


Sul sito della Comunità delle Piagge si può aderire alle iniziative a favore di Don Alessandro Santoro.
Articolo di Don Enzo Mazzi (altro splendido prete di frontiera) sulla vicenda