lunedì 31 ottobre 2011

Ma dove sono io?

Pur rappresentando circa il 2% del peso del corpo, il nostro cervello consuma circa il 20% dell'energia necessaria per tenersi in vita, anche quando non lo usiamo. Ci vogliono circa diciotto anni per completare il processo di fetalizzazione, cioè di completamento della formazione del nostro cervello. Abbiamo circa cento miliardi di cellule nervose, ciascuna con diecimila collegamenti (le famose sinapsi) che cambiano molto velocemente creando continuamente reti neurali. Usiamo solo il 20% di questi possibili collegamenti e più usiamo un certo circuito più esso si rinforza. Tutto quello che percepiamo con i sensi arriva frammentato al cervello, adatto a rispondere a domande semplici e preordinate. E' la corteccia cerebrale che in un terzo di secondo annoda tutti i fili e rende ciò che è arrivato ragionevole e continuo. La guaina mielinica che ricopre il fascio nervoso che collega i neuroni fa sì che l'impulso nervoso abbia la velocità di un jet supersonico anziché quella di un uomo a piedi. Dalla sua presenza, che raggiunge il massimo intorno ai diciotto anni, o dal suo deteriorarsi dipende la velocità dei nostri riflessi.
Non mi stancherei mai di stare a sentire Edoardo Boncinelli, genetista e neuroscienziato dalla grande capacità divulgativa, autore di La vita della nostra mente, presentato anche a Le Storie-Diario italiano.
Quale argomento affascinante sono le neuroscienze! Gli esseri viventi, dice il professor Boncinelli, sono un miracolo della capacità di ottimizzare tutte le funzioni.
Ecco perché ho apprezzato molto le sue tre lezioni tenute al Festival della mente dell'anno scorso e riascoltabili sul sito: La mente e il corpo. Le tre età: la formazione, la maturità, l'invecchiamento.
Non mi stancherei mai di ascoltarlo anche perché è rassicurante. "La mente invecchia molto più lentamente del corpo. Per qualcuno quasi non invecchia. Non è vero che si perde la memoria, si perde la velocità nel richiamare i ricordi, soprattutto i nomi. Basta non arrabbiarsi e non spazientirsi: i ricordi sono lì e ci vuole solo un po' più di tempo per farseli tornare in mente."
Poi il neuroscienziato sconfina verso la filosofia con il concetto di coscienza che ha vari livelli, di cui il più alto, l'io fenomenico, consiste nella "mia personale percezione delle cose, dovuta alla mia storia personale e ai miei ricordi, alle mie inclinazioni e alle mie avversioni, e che nessun altro può afferrare fino in fondo." Un io unico e irripetibile, che non muore insieme al mio corpo e che, almeno per ora, non è possibile replicare. Ma dove si trova questo io? Per quello che ne sappiamo oggi, in quel milione di miliardi di connessioni sinaptiche del mio cervello.

venerdì 28 ottobre 2011

Proposta di legge per l'omicidio stradale

In questi giorni ci si commuove, giustamente, per la morte del pilota Simoncelli. La morte di un giovane è qualcosa di troppo innaturale e quindi inaccettabile. Non importa andare a cercare i dati statistici, per sapere però che l'incidente stradale è tra le prime cause di morte tra i giovani.
Capita così che un ragazzo di diciassette anni a bordo del suo scooter, senza infrangere alcuna norma stradale, venga travolto da un altro scooterista che guida positivo alla cannabis e con un tasso alcolemico di tre volte superiore al limite di legge (significa aver bevuto 15 birre o 2 bottiglie di vino). Capita anche che questa persona che ha spento una vita piena di speranze e di fiducia nel futuro, non solo non venga arrestato subito, ma in carcere non ci vada mai. Questo perchè non esiste per la legge italiana il reato di "omicidio stradale" e che quindi non sia previsto alcun aggravante per essersi messi alla guida in condizioni tali da diventare un arma letale e incontrollabile.
Confesso che mi costa tantissimo parlare di questo tipo di argomento perché, per motivi personali, esso mi provoca un'ansia enorme. Tuttavia mi sono fatta forza perchè ammiro molto quello che stanno facendo i genitori di Lorenzo Guarnieri (che frequentava lo stesso liceo dei miei figli) e perchè non mi sembra possibile che la loro sacrosanta proposta di legge non riesca a raggiungere le 50.000 firme necessarie.
Firmate per favore: www.omicidiostradale.it

mercoledì 26 ottobre 2011

Perché blog?


  • per sfogare le arrabbiature;
  • per condividere idee, emozioni, riflessioni, soddisfazioni, amarezze;
  • per ricevere commenti (pochi, anzi meglio pochi-ma-buoni che tanti-insignificanti-o-peggio-ancora-insultanti);
  • per consigliare qualcosa che mi è piaciuto;
  • per fare esercizio di scrittura (che ce n'è talmente bisogno, ché poi altrimenti si perde la capacità di mettere insieme un discorso, guarda quanta gente non sa più scrivere due righe);
  • per approfondire, elaborare, memorizzare, assimilare (ché se una cosa che mi colpisce non mi fermo a scriverla, a riassumerla, ad approfondirla con ricerche in rete, svanisce presto dalla mia mente, evapora ed è come se non l'avessi mai sentita/vista/vissuta, e finisce che mi chiedo: "da chi avevo sentito questa cosa? Chi era quello che aveva detto questo? Quand'è che ne ho sentito parlare?");
  • perché mi piace "confezionare" qualcosa (nessuna pretesa artistica o giornalistica, però che bello avere un'idea che piano piano prende forma, si butta giù un po' di parole e poi si cercano i link, e poi si lima l'Italiano, e poi si cerca la foto o la figurina, e poi si fa l'allineamento a destra, e poi il controllo ortografico, e poi si rilegge e si migliora, e alla fine si clicca su "pubblica post");
  • perché mi diverto, perché non vedo l'ora di ritagliarmi quel tempo per scrivere;
  • perché quando rileggo i miei vecchi post mi dico: "Però carino questo, non mi ricordavo di averlo scritto!"
  • perché se poi quello che pubblico piace o interessa qualcun altro, sono ancora più contenta.
Della serie, ogni tanto bisogna andare in loop e ricominciare dall'inizio. ;-)

lunedì 24 ottobre 2011

Il mondo che verrà

Sempre a proposito di trasmissioni che arricchiscono il cervello, molto interessanti ma anche comprensibili sono le lezioni di economia di Romano Prodi che vanno in onda il martedì alle 23 su LA7. Si tratta di tre lezioni, tenute presso l'Università di Bologna, destinate agli studenti italiani e stranieri e arricchite con schede riassuntive, che presentano un ampio respiro: i rapporti economici tra paesi e continenti, la crisi finanziaria e agricola, le risorse, l'energia, le disuguaglianze, i possibili rimedi.
L'economia, pur avendone ricevuto un'infarinatura a scuola, mi risulta sempre una materia ostica e mi dà anche l'impressione che in essa non vi siano tante certezze. Sono temi che in ogni caso, nel nostro mondo così interconnesso e globalizzato, non possiamo permetterci di non conoscere e il professor Prodi, oltre al suo consueto ottimismo (che personalmente non condivido molto), dimostra grande competenza e chiarezza.
Così ho appreso che gli Stati Uniti negli ultimi decenni hanno abbassato le tasse senza poterselo permettere, che spendono il 42% del loro bilancio per le spese militari contro appena il 7,3% della Cina, che il bilancio della California non è messo meglio di quello della Grecia ma può contare su una forte protezione dello stato federale, che l'Euro non fallirà perché la Germania, lo stato europeo economicamente trainante, non ha nessun interesse che esso fallisca, che la mancanza di cibo diventerà una delle principali cause dei prossimi conflitti, e tanti altri elementi utili a collegare la massa di notizie economiche di cui siamo bombardati ogni giorno.
Le prime due lezioni de Il Mondo che verrà sono rivedibili sul sito di LA7 mentre la terza lezione andrà in onda martedì 25.

sabato 22 ottobre 2011

L'angelo, il fantasma e la massa indifferente

Mio figlio deve farsi ricostruire il legamento crociato anteriore del ginocchio, rottosi tipicamente giocando a calcio. Alla fine abbiamo deciso di metterlo in lista di attesa per farsi operare da un noto chirurgo in un ospedale pubblico. D'altra parte, per fortuna, non è un intervento urgente, non gli impedisce di condurre una vita normale, salvo rinunciare a giocare a calcio finché non sarà operato e riabilitato.
Sono ormai passati quasi sei mesi e ci piacerebbe sapere almeno a che punto siamo della lista di attesa, giusto per farsene una ragione. Dopo diversi tentativi telefonando ad un numero al quale non risponde mai nessuno, approfittando di una mattinata libera, mi reco nel grande ospedale ortopedico per cercare di racimolare qualche notizia.
Comincio con il salire al sesto piano (dove avevamo fatto la prenotazione) e mi trovo davanti ad una porta con vetrate opache di quelle che tipicamente accedono ad una corsia di degenza e che si aprono solo dall'interno. Provo a suonare il campanello ma nessuno mi apre. Allora scendo a piano terra per chiedere in portineria se sto provando nel posto giusto oppure no. L'addetto guarda con aria perplessa il mio foglio di prenotazione e mi dice, con fare poco convinto, che devo andare al quinto piano. Anche qui trovo una porta chiusa e anche qui nessuno mi apre.
Torno al sesto piano sconsolata e rassegnata a forzare il mio carattere usualmente rispettoso di regole e di orari e, approfittando dell'uscita di una signora, mi intrufolo.
Nel corridoio deserto passa un'infermiera: "Mi scusi, so che lei non è la persona a cui mi dovrei rivolgere ma è molto che giro e vorrei solo sapere dove poter avere informazioni sulle liste di attesa." Mentre essa non accenna a fermare la sua andatura rimandandomi ad un altro giorno ed un altro orario, ecco che arriva il mio angelo: un'altra infermiera sopraggiunge e si offre di aiutarmi. Mi porta in un ufficio, mi fornisce il nuovo numero di telefono (quello che avevo naturalmente non era più buono), e, con mio riconoscente stupore, si offre di chiamare lei stessa seduta stante l'ufficio in questione. Ottiene così di sapere il nome della persona che può vedere le liste di attesa e mi indica dove trovare il suo ufficio.
"Grazie" le dico, "è stata molto gentile. E' grazie a persone come lei che questo paese non è ancora affondato."
Peccato che la stanza dell'addetta alle liste di attesa sia chiusa e priva di qualsiasi indicazione all'esterno. Di questa signora nessuno sa nulla salvo confermarmi che è proprio quello il suo ufficio. Una sorta di fantasma. D'altra parte di angeli è già tanto se se ne incontra uno al giorno.

giovedì 20 ottobre 2011

Il cheesecake dell'Elena


Tra i pochi negozi del quartiere che frequento, questa piccola bottega mi aveva subito incuriosita per la cura con cui era stata arredata. "Dolci e torte" recitava l'insegna, ma non si trattava di una pasticceria nel senso tradizionale del termine, di quelle in cui si fa a fare colazione la domenica, per intendersi. L'aspetto era quasi di una gioielleria e aveva anche degli orari un po' particolari, se ricordo bene.
Dall'esiguo assortimento dei dolci esposti in vetrina si capiva che erano fatti con ingredienti freschi e di stagione; niente a che vedere con quei dolci surgelati da tirare fuori dal frigo due ore prima dell'uso. Vi lavorava Elena, una ragazza semplice, dal sorriso dolce, simpatica ed estroversa. Stava sempre nel laboratorio retrostante a preparare le sue prelibatezze ed infatti, per accedere al negozio, bisognava suonare il campanello e farsi aprire.
Quando compravo un dolce da lei, chiedeva sempre se era per qualche occasione, per darmi candeline o decorazioni varie, mi chiedeva come era stata la riuscita dell'acquisto precedente e talvolta mi parlava dei suoi problemi familiari col padre malato e fratelli che non l'aiutavano.
Mi è dispiaciuto quando ha chiuso (e tra l'altro no so nemmeno che fine abbia fatto) anche se capisco che non poteva avere grande mercato. I suoi prezzi erano congrui per l'ottima qualità degli ingredienti ma di sicuro alti comparandoli a quelli dei dolci più industriali.
Ci mancano le torte dell'Elena e in particolare ci manca il suo cheesecake di cui mio figlio andava matto.
E adesso si apre il toto-negozio: cosa ci verrà al suo posto?

lunedì 17 ottobre 2011

I "Felici Pochi", gli "Infelici Molti" e i "Felici, nonostante"

Indagine Demos & Pi: "Lei si definirebbe una persona...

  • molto felice risponde il 19% degli intervistati
  • abbastanza felice 66%
  • poco felice 11%
  • per niente felice 3%
  • non sa, non risponde 1%

Secondo Ilvo Diamanti, ospite di questa puntata di Le storie - Diario italiano, il sorprendente numero di intervistati che si definisce felice si spiega sia con il bisogno di definirsi tale come risposta ai problemi che abbiamo, sia come riflesso condizionato, come difesa, tramite la piccola felicità personale, contro il mondo che ci grava addosso. Tutti ci lamentiamo che le cose non vanno come dovrebbero, ma sentiamo il bisogno di contrapporre a ciò la nostra personale felicità fatta di amicizie e affetti privati.
Comprensibile il fatto che il 98% dei giovani tra i 15 e i 24 anni si dichiarino felici, nonostante le incertezze che hanno davanti (a parte che se c'è stato un periodo in cui io mi sarei definita senz'altro infelice è stato proprio tra 15 e 18 anni). I due fattori che rendono i giovani più felici sono: la cerchia densa di relazioni sociali (basti pensare alla scuola) e la possibilità di progettare un futuro. Il tasso di felicità cala infatti sensibilmente negli ultrasessantacinquenni, a causa soprattutto della solitudine.
I sondaggi vanno presi ovviamente con le molle, afferma persino il professor Diamanti che su di essi ci campa, In effetti chi è colui che, intervistato al telefono un po' alla sprovvista, comincerebbe a lamentarsi delle proprie disgrazie piuttosto che tagliar corto con un "abbastanza felice"? Io stessa mi sono riconosciuta in quel 65% di abbastanza felici, nostante tutto.
Tuttavia il punto essenziale sarebbe mettersi d'accordo su cosa vuol dire felicità, dopo secoli di discussione e fiumi di parole, vedo un po' improbabile.
E se la simpatica Isabel si presenta sul suo profilo con la bella frase di Prevert: "Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l'esempio", a me invece è venuta in mente un'idea di felicità in controtendenza, e cioè come libertà di non essere omologati, espressa magistralmente da Ela Morante nella "Canzone degli F.P. e degli I.M.". Temo che se la Demos & Pi facesse un'indagine "Lei si definirebbe un F.P. o un I.M.?" la percentuale dei primi sarebbe assai più modesta di quella dei secondi!


"Che significa F.P.? Si tratta di un'abbreviazione per Felici Pochi.
E chi sono i felici pochi? Spiegarlo non è facile, perché i Felici Pochi sono indescrivibili.
Benché pochi, ne esistono d'ogni razza sesso e nazione e poca età società condizione e religione.
Di poveri e di ricchi (però, se nascono poveri, loro, in generale,
tali rimangono, e se nascono ricchi, presto si fanno poveri)
di giovani e di vecchi (però difficilmente loro arrivano in tempo a farsi vecchi)
di belli e di brutti (a vero dire, loro pure quando siano volgarmente intesi brutti,
in REALTÀ sono belli; ma la REALTÀ è di rado visibile alla gente...
Insomma. Obiettivamente, per giustizia, qua si certifica, in fede, che gli F.P. sono tutti e sempre bel-lis-si-mi,
anche se per suo conto la gente non lo vede).
[...] E che significa I.M.? Si tratta, ovviamente, anche qui d'una abbreviazione per Infelici Molti.
E chi sono gli infelici molti? Sono TUTTI gli altri [...]".


"L’infelicità dei Felici Pochi è
più felice assai che non la felicità
degli Infelici Molti!
La felicità degli Infelici Molti
Non è allegra! Non è mai allegra!
Per quanto si diano da fare,
gli Infelici molti si devono rassegnare:
LA LORO FELICITà E’ TETERRIMA!questo è regolare!
E l’infelicità dei Felici pochi
Invece è allegra!ALLEGRA!
Dovunque, in ogni caso è allegra: nell’Antartide, o nei Conghi, o foss’amche fra le orchesse e fra i Cannibali
È allegra!
E come si spiega?Mah! La vita è un rebus non c’è rimedio!
Gli Infelici molti ci si possono addannare
Uniti con rinnovato impegno a lottare
Contro questa rogna paradossale
Impiegando tutta la loro energia morale
Industriale nucleare ecc. per combinare
Creazioni originalissime d’infelicità
Contro i Felici Pochi!
Macché!Macché!Non ce la fanno!Se ne devono capacitare
Che a conti fatti gli resta sempre da ingollare questo rospo:
l’infelicità dei
Felici pochi
È
Allegra!ALLEGRA!
AL-LE-GRA!
Nei ghetti
Negli harem
In Siberia
In Texas
A Buchenwald
In galera
Sulla forca sulla sedia elettrica
Nel suicidio.
"


venerdì 14 ottobre 2011

I nuovi mille

Letizia Maniaci, giornalista di Telejato, gira con la sua telecamera e riprende arresti e processi di mafiosi, intervista i suoi concittadini di Partinico sulla mafia. Letizia, nel suo lavoro, ha eredito la passione ed il coraggio dal padre Pino ("è diventata peggio di me e a questo punto non riuscirei a fermarla anche se volessi"). Telejato ha ricevuto tante minacce e intimidazioni. Pino Maniaci è stato malmenato. Tuttavia Letizia va avanti cercando di non pensare ai rischi che corre.

Laura Tartarini, giovane avvocato, ha difeso gratuitamente i giovani ingiustamente accusati di devastazione in occasione del Genova Social Forum. Laura ha studiato per ore e ore i numerosi video di quelle giornate ed è riuscita a far scagionare i suoi assistiti. "Ho fatto l'avvocato perché è una delle professioni che ti consentono di intervenire sulle ingiustizie" dice Laura.

Rosario Esposito La Rossa e Maddalena Stornaiuolo hanno messo su l'associazione VodiSca (che sta per "voci di Scampia, perché la voce è qualcosa che può rompere il silenzio dell'omertà") per sottrarre i ragazzi dalla strada e dalla camorra e coinvolgerli in attività sportive, teatro, musica, ecc. "Non abbiamo cercato il fiore in un deserto," dice Rosario, al quale la camorra ha ucciso un cugino disabile, "lo abbiamo piantato."

Quelle di Letizia, Laura, Rosario e Maddalena sono le storie raccontante nella prima puntata di un bel programma dal titolo "I nuovi mille" in onda su RAI2 il giovedì alle 24.30 (volevate che programmi così li trasmettessero ad ore umane?) ma che per fortuna si può rivedere su RAI.TV. Il programma si propone di andare a scovare storie di giovani italiani animati da ideali forti e valori profondi, esempi positivi di partecipazione e coraggio, come lo erano probabilmente coloro che presero parte alla spedizione garibaldina. In ogni caso una piccola iniezione di speranza, di cui abbiamo tanto bisogno.

"Un ruggito di sdegno e di approvazione surse unanime da quella folla di generosi. Io ne fui ritemprato e da quel momento ogni sintomo di timore, di titubanza e di indecisione sparve."
G. Garibaldi, Le memorie autobiografiche (1888).

mercoledì 12 ottobre 2011

Tu come stai?

Dopo una giornata mediamente faticosa, passata ad arginare i capricci e le paturnie dei miei colleghi viziati, salgo sullo scooter e mi avvio verso casa con un buon tasso di nervosismo addosso. Al semaforo mi affianco ad un auto vecchiotta con i finestrini aperti e, mentre aspetto il verde, sento l'uomo che sta alla guida che comincia a cantare una vecchia canzone di Baglioni. Da fuori non percepisco la musica che sta ascoltando ma solo la sua voce anche ben intonata: "....ho girato e rigirato... senza sapere dove andare... ed ho cenato a prezzo fisso... seduto accanto ad un dolore... tu come stai?... tu come stai?... tu come stai?.."
Quanti ricordi! Claudio Baglioni era una delle mie passioni di adolescente. Chi della mia generazione non ha sognato a quindici anni su "quella sua maglietta fina, tanto stretta al punto che immaginavo tutto"? Oggi quelle canzoni mi paiono melense, musicalmente banali, intrise di buoni sentimenti nazionalpopolari.
Tuttavia mi piace quest'uomo che canta questa canzone malinconica che si intona a questo sole obliquo di un pomeriggio di autunno. Mi piacerebbe guardarlo in faccia e fargli un sorriso, ma sono troppo timida e temo che smetta di cantare sentendosi scoperto. Scatta il verde l'auto prosegue diritta mentre io giro a sinistra e...
... ma sì, in fin dei conti è così liberatorio cantare! Raccolgo il testimone e proseguo: "...tu come vivi... come ti trovi... chi viene a prenderti... chi ti apre lo sportello... chi segue ogni tuo passo... chi ti telefona... e ti domanda adesso... tu come stai?..."

lunedì 10 ottobre 2011

Il bello e il vero

Dopo vent'anni che seguo gli Amici dei Musei ancora mi ritengo un'ignorante in fatto di arte. Grazie a queste visite ho imparato tante cose, tante notizie storiche, riferimenti, collegamenti, ecc., ma per quanto riguarda saper interpretare un'opera d'arte mi sento sempre un'inetta. D'altra parte qualcuno dice che l'arte è la raffigurazione del "bello", nel senso più ampio possibile, e quindi in questa accezione un'opera deve più che altro parlare alla propria sensibilità, che è diversa da individuo ad individuo.
Ecco che allora la mia sensibilità, mentre non è in grado di apprezzare la maggior parte dell'arte contemporanea, si commuove davanti ad opere come quelle di Lorenzo Bartolini visibili a Firenze alla Galleria dell'Accademia in una mostra dal titolo "Il bello e il vero".
Un personaggio molto particolare, Lorenzo Bartolini, dal temperamento irruento e brusco, tanto che anche i suoi gesti affettuosi venivano spesso scambiati per aggressivi. Litigava con tutti, era sempre senza soldi ma nello stesso tempo non badava a spese per realizzare le sue opere, pagando i modelli perché posassero sempre dall'inizio alla fine (di solito si faceva solo una seduta o due all'inizio per prendere appunti). Aveva delle idee molto innovative in un ambiente ancora neoclassico (prima metà dell'Ottocento a Firenze) e scandalizzò gli accademici portando come modello un gobbo affinché i suoi allievi capissero che "tutta la natura è bella relativa al soggetto da trattarsi e chi sa copiare tutto saprà fare".
«Lorenzo Bartolini era un matto! Ma di quei matti… Vorrei spiegarmi… Insomma era un matto" scrisse Niccola Monti nel 1861. Basta vedere lo sguardo che sprizza vivacità e intelligenza nel ritratto che ne fa il suo amico Dominique Ingres.
Tuttavia, al di là delle notizie biografiche, visitando questa mostra mi sono davvero emozionata davanti a opere come "La fiducia in Dio" che presenta una resa così naturale che si fa fatica a ricordare che siamo davanti ad una statua di marmo. Non possiamo fare a meno infatti di sentirci davanti ad una fanciulla nuda, abbandonata in un momento di stanchezza, con la sua schiena flessuosa, i suoi piedini un po' accavallati, le sue mani delicatamente posate sulle cosce. Stesso stupore che si prova osservando l'estrema abilità nel rendere la consistenza del lenzuolo e del cuscino su cui è posata questa Venere, tanto che verrebbe voglia di tirarlo per lisciarne le pieghe.
Oggigiorno questo gusto di facile e immediata comprensione è ritenuto probabilmente superato da un'arte molto più difficile da interpretare come quella del Novecento. Tuttavia personalmente mi sento più vicina al focoso temperamento Sturm und Drang del nostro Lorenzo.

venerdì 7 ottobre 2011

Mamma scoppiata /1

Nonostante stamani, causa sciopero dei figli, abbia strappato una mezz'oretta in più di sonno, nonostante oggi fosse prevista una giornata leggera al lavoro perché il sistema informatico era giù per manutenzione (ma lo è stata davvero più leggera?), arrivo a quest'ora del venerdì e mi sento davvero stanca, con quel lieve mal di testa tipico dell'affaticamento mentale.
Com'è che non reggo più certi ritmi come una volta? Com'è che mi stanca anche solo guidare in mezzo al traffico (causa sciopero dei bus)?
E poi ci si mettono anche quei due gioiellini, carne della mia carne, che non mi considerano mai quando rivolgo loro la parola, salvo assalirmi appena entrata in casa, neanche tolte le scarpe o lavate le mani, con le loro richieste:
"Mamma, dov'è una saponetta nuova? Mi serve per l'allenamento."
"Ce ne dovrebbe essere rimasta una di scorta nel solito mobiletto"
"No, non ce n'è più!"
"E questa?"
"Sì, ma questa non la voglio, mi fa schifo."
"Mamma, ce l'hai un fischietto?"
"Un fischietto? E dove lo trovo un fischietto? Ah sì, c'è questo che uso per le manifestazioni."
"No, questo l'ho visto ma mi fa cahare [fiorentinismo, N.d.A.]. Ce n'hai un altro?"
"Aspetta, forse nello zaino da montagna ce n'è uno. Ecco qua!"
"E ce l'hai un cordino per metterlo al collo? Non mi dare lo spago da cucina però!"
"Cerca in questo cassetto e vedi un po' da te..."
"Mamma, dov'è la mia felpa?"
"Quale felpa?"
"Ma come! La MIA FELPAAAAA!!!! DOV'E'???"
"Calmati e sii più preciso."
"Ma possibile che non capisci! LA MIA FELPA!!!!!.... Ah, eccola, era nello zaino dello stadio."
...
Finalmente se ne vanno, la porta di casa si chiude, posso finalmente togliermi le scarpe, lavarmi le mani e farmi una bella tazza di tè.

giovedì 6 ottobre 2011

Possiamo ancora dirci un paese cattolico?

Roberto Cartocci, docente di Scienze Politiche all'Università di Bologna, ha presentato il libro "Geografia dell'Italia cattolica" sia a Fahrenheit Radio3 sia a Le Storie Rai3. La ricerca di Cartocci, basata su dati ISTAT, ha cercato di fare il punto sull'adesione degli Italiani al Cattolicesimo secondo diversi parametri: frequenza più o meno assidua alla messa, insegnamento a scuola, otto per mille, matrimoni civili o religiosi, ecc.
I dati direi che non stupiscano affatto. La tabella che riepiloga a grandi linee la situazione è stata mostrata nella trasmissione di Augias e trattata un po' più a fondo nella puntata di Fahrenheit (per chi è interessato all'argomento consiglio l'ascolto di quest'ultima):
  • Cattolici militanti 10%
  • Cattolicesimo di minoranza (assidua pratica religiosa) 20%
  • Cattolici di maggioranza (ridotta pratica religiosa) 50%
  • Non cattolici che hanno fiducia nella chiesa 10%
  • Non cattolici/indifferenti/anticlericali 10%
Alla domanda del titolo non possiamo che rispondere come ha fatto il prof. Cartocci: "Dipende dove vogliamo tracciare la linea." Non ho potuto fare a meno di pensare al mio amico blogger Spunto Cattolico (che credo si collochi nella prima categoria) e alle suo suo sentirsi in minoranza. Da atea convinta e per di più residente in una delle regioni più secolarizzate d'Italia (come un'altro grafico tratto dal libro di Cartocci) capisco perfettamente come possa sentirsi.

martedì 4 ottobre 2011

Non tutto il male vien per nuocere

Detesto la banalità di certi proverbi però in questo caso non c'è titolo che calzi meglio. Ulteriori tagli al trasporto pubblico locale fanno sì che il mio autobus del mattino non mi porti più fin sotto le finestre dell'ufficio bensì mi lasci a circa un chilometro di distanza. Ciò mi secca abbastanza, anche tenendo conto che, come al solito invece di incentivare l'uso dei mezzi pubblici, si incoraggia sempre di più il traffico privato. E non oso pensare come sarà con la pioggia e il gelo il prossimo inverno.
Tuttavia in questi giorni, percorrendo questi dieci minuti a piedi, mi godo il primo sole del mattino, l'aria frizzantina, la stradella di campagna che percorro in compagnia dei bei margheritoni gialli di topinambur


dell'Oratorio della Madonna del Piano con i suoi filari di cipressi

e della bella colonica di cui ho scoperto addirittura uno stemma nobiliare.

Un piccolo spicchio di pace prima di tuffarmi tra le odiate carte. Così mi sono detta che, invece di lamentarsi, è sempre meglio prendere il lato positivo delle cose. Finchè durano.

sabato 1 ottobre 2011

Inspiegabile attrazione fatale


Se c'è una cosa che non ho mai capito è che gusto ci sia a sprecare denaro in Lotto, Superenalotto, Win for Life, lotterie, Gratta e vinci, scommesse varie, bingo, poker on line, new slot e via dicendo. Sarà che non sono mai stata attratta dall'ebrezza del vincere. Le cose mi piace conquistarmele con impegno e fatica e non ottenerle solo per essere stata baciata dalla sorte.
Eppure l’Italia è un popolo di giocatori: i numeri che girano intorno alla "filiera del gioco" sono inimmaginabili come spiegano a tal proposito un articolo di Altreconomia e anche un recente servizio di Report.
Ciò che mi fa ancora più rabbia è constatare che si è più poveri, più si gioca, inseguendo il sogno di una svolta nella vita grazie ad un biglietto vincente o ad una schedina azzeccata.
In cima alla classifica del bottino, sembrano esserci gli apparecchi da bar che da soli raccolgono intorno ai 25 miliardi di euro, un fatturato che li rende la terza industria italiana dopo Eni e Fiat.
Senza contare che ovviamente anche la criminalità organizzata ci ha messo il naso, per esempio, imponendo le proprie macchinette.
Se aggiungiamo infine il fenomeno della dipendenza da gioco d'azzardo, causa di vere tragedie personali, familiari e sociali, non possiamo che lodare l'iniziativa dell'ARCI di Empoli che ha deciso di bandire dai propri circoli le famigerate macchinette "mangia-soldi". Purtroppo ciò comporta un bel danno economico per i gestori dei circoli, che guadagnano molto più da videopoker e slot machine che a fare i caffè.
"Più poveri ma più coerenti" è lo slogan di Sergio Mazzocchi, presidente dell'Arci di Empoli, che pare aver fatto scuola in quanto anche Grosseto, Pistoia e, più timidamente, Firenze, stanno discutendo di prendere analoghi provvedimenti.
Le famigerate macchinette ci sono anche dentro il mio circolo, dove già mi faccio detestare a causa delle mie proteste per la TV sintonizzata fissa su Rete4. Se poi mi metterò a inveire contro le slot machine, sarà la volta buona che non mi faranno più entrare.